venerdì 14 marzo 2008

Sull'osservare

I commenti di Chiara a proposito del ruolo dell'educatore aprono, a mio avviso, un discorso che merita di essere sviluppato autonomamente.
Discorso che, quasi mi spiace dirlo, è stato affrontato con molta profondità nell'ultimo secolo, anche in relazione alle sue conseguenze episemologiche e sulla ricerca fisica (sembrava che non andassi a parare su Copenaghen?) - mi spiace, dicevo, perché non posso certo pretendere di fornire un contributo originale, ed anzi queste mie righe saranno sicuramente e pesantemente influenzate da letture e sentiti dire abbastanza banali.

Questa introduzione per dire che non si pretende molto. Dunque...

Vi ricordate il dubbio sistematico di Cartesio? Certamente sì, anche perché è una di quelle cose che più segna lo studente medio: la realtà che osservo è come sembra? Osservo una realtà vera, o c'è un dio maligno che mi inganna?
Il bello di questi secenteschi è il loro realismo di fondo - oserei dire, il realismo di base. Anche nel dubitare si dubita la realtà, giungendo poi alla conclusione che si è dubitato a torto.
Poi il discorso si fa più profondo, e ci si chiede se esista o meno una realtà esterna all'osservatore. Un'oggettività necessaria del mondo, un substrato sul quale, magari, si innestano le osservazioni e le esperienze del Soggetto, ma che rimane inequivocabilmente Oggetto.

In tanti hanno negato, in tanti hanno affermato. È la colpa che si ascrive ai corsi di filosofia delle scuole superiori - e la mia cultura non è andata oltre quelli -, di presentare una rassegna di pensieri tra loro contraddittori come ciechi parti della ragione. Il sogno della ragione genera mostri, come alcuni dicono si intitoli la celebre litografia di Goya. Anche Quello che riteneva di aver messo la parola fine alla storia della filosofia si è ritrovato superato ancora in vita, da nuovi e difformi sistemi di idee. E peggio ancora quelle di chi si professava, in teoria, suo allievo.

E così abbiamo che, al tempo stesso grosso limite ed opportunità feconda, non è stato ancora messo un freno allo Spirito dell'uomo, che continua in tutta libertà a sfornare differenti visioni del mondo.

Fino a questo punto sono disposto a concedere, ai sostenitori della Soggettività: che un occhio diverso vede un mondo diverso, che si rivolga fuori o dentro di Sé. Quello che non posso affermare in buona fede è che occhi diversi guardino mondi diversi. O lati diversi, pure essi siano del medesimo mondo. Perché se la Realtà non fosse Una, inutile essere in molti; inutile studiare, inutile indagarne la struttura. Inutile ascoltarsi, inutile le stesse parole, ed inutile la Parola, o meglio, ó Lógos. Perché che senso avrebbe un medesimo discorso su cose diverse? Od una medesima Redenzione di realtà diverse?

Forse il realismo è un postulato della ragione, e si potrebbe vivere anche accettando l'opposto. Ma la geometria che ne discende è l'unica che abbia senso per tutti.