lunedì 26 marzo 2007

Tirando le somme sul congresso regionale

In realtà, sabato sono stato nervoso ed insofferente per quasi tutto il giorno. Nonostante proficui ed importanti accordi con gli altri giovani della Lombardia, il discorso politico più generale assumeva le forme di un trito e ritrito ripetere le cose gradite a Roma, con solo ogni tanto qualche accento critico. La relazione di Bonfanti, mirabile nei toni e nei contenuti, l'avevo sentita definire, per i corridoi e tra i posti a sedere, il "canto del cigno" di un condannato alla morte politica; certo, il mio sostegno al suo ordine del giorno non avrebbe cambiato la situazione.Poi, all'improvviso, la situazione si è sbloccata; una riunione dei coordinatori provinciali, l'ordine del giorno un poco emendato dai passaggi più forti, ed eccoci verso le cinque del pomeriggio a chiederne l'approvazione. La prima parte, autonomia politica, organizzativa e finanziaria dei livelli regionali, per un partito veramente federale, come da statuto. La seconda parte, pariteticità e chiarezza nel percorso verso il cammino democratico, mai socialisti o cose del genere, correnti organizzate e finanziate. Apriti cielo! Una vasta folla di politici arrivati in qualche modo in parlamento, perché negli ultimi dieci anni è motivo di vanto non essere capaci di fare i politici, che si scagliano contro l'ordine del giorno perché non potrebbero votare sì. E votate no, li si invita prima cortesemente poi con toni sempre più chiari, che siamo stanchi di votare solo sulle cose per cui siamo tutti d'accordo e lasciar perdere quelle in cui bisogna vedere chi vince e chi perde; perché altrimenti perderebbero sempre. Dopo una faticosa composizione si vota per parti, e la prima viene facilmente approvata. La seconda è sul filo del rasoio, ma vinciamo per 5 voti (così il conteggio, e i due vicepresidenti che eseguivano la conta erano entrambi contrari). Portate a casa, liberali veri o presunti, pedine di Prodi o di Rutelli. Il partito lo fanno uomini e donne, non fantocci messi su per fare audience. E il secondo ordine del giorno: dare all'assemblea federale il potere del congresso, per poter meglio gestire i prossimi mesi. Anche qui, scandalo: l'assemblea andrà alla maggioranza del partito, i popolari: chi prenderà le decisioni volute dalla fracassona minoranza di Parisi e co.? Ma siamo già ringalluzziti dalla vittoria di prima, e si va alla conta e ancora si vince, stavolta coi tre quarti dell'assemblea.
A margine di questo, sono anche stato eletto, grazie al coordinamento dei Giovani e del partito di Bergamo, in assemblea regionale. Nonostante la stufata, una gran bella giornata. Sono anche stato in giro con Quaresima...

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venerdì 23 marzo 2007

In vista del Congresso Regionale

Domani si svolgerà, all'Hotel Michelangelo di Milano, il II Congresso Regionale Ordinario di DL - La Margherita.
Ma di ordinario questo congresso non avrà nulla.
In primo luogo, l'unica mozione accettata dalla Direzione Federale ci imporrà una data di scadenza, per far piacere a chi sono dieci anni che cerca di distruggere i partiti per poter governare senza di loro; in secondo luogo, forte cova il rancore e la delusione della componente maggioritaria del partito, che più ha pagato in termini politici e meno ha raccolto da questi cinque anni. Siamo nati come partito federale, su base regionale, e non possiamo nemmeno scrivere un documento politico in autonomia, per non parlare degli statuti e dei regolamenti. Una masnada di vaneggianti politologi emiliani e romagnoli, che mai avrebbe potuto osare insidiare il Partito Comunista ed i suoi epigoni, sta trascinando nel baratro il già provato centrismo delle regioni del nord. La nostra autonomia ideale prima ancora che politica, il mettere al centro non i rapporti economici e produttivi né i diritti e le libertà individuali. Che siano coniugati a destra o a sinistra, solo questo ha diritto di cittadinanza nella nostra Italia. Abbiamo perso la bussola, non sappiamo dove stiamo andando, e ci aggrappiamo, per non essere sbattuti nel baratro della sinistra, al mondo dell'imprenditoria e dei cosiddetti poteri forti. Noi non dovremmo essere un partito che fa, come ha fatto, patti non con il Diavolo, ma con innumerevoli diavoli per stare al potere.
Noi abbiamo un punto di riferimento, la persona umana con la sua dignità, dignità che ci impone di rispettare la sua libertà ma di metterla di fronte, anche, alla sua responsabilità nei confronti di se stessa, dei propri vicini, della comunità intera. Responsabilità etica e morale, prima ancora che economica. Ma andate a dirlo, non dico nelle piazze, ma nelle nostre sedi di partito. Ad essere benevoli, ti danno dell'ingenuo e controproducente idealista. Poi ci lamentiamo che le persone abbandonano la politica, ed a distanza di oltre dieci anni da Tangentopoli la cosa più di moda è ancora quella di fare i politici senza esserlo. Mentre decine di migliaia di giovani si mettono al servizio di fette di comunità e di società, e nel loro piccolo contribuiscono al bene di tutti. Ma guai alla politica, pensano, che invece è la garanzia più efficace per mettere d'accordo tutti, per intervenire non sul caso disgraziato o sulla situazione difficile, ma sulla collettività. Inutile. Continuiamo a correre verso il Partito che darà finalmente casa a quanti non sono stati in grado, in sessant'anni di Repubblica, di fare politica, e che ora diventeranno i leader del primo (o secondo o terzo) partito antipolitico della storia italiana.

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lunedì 19 marzo 2007

Grido disperato

Eccomi, appena rientrato dalla tre giorni ginevrina.
Non so se ho fatto bene ad andarci. Sulle prime non volevo; so quanto posso essere scostante, e c'è qualcuno con cui non lo voglio essere. Poi mi hanno convinto, e sono andato. Sono stato bene, nonostante una piccola disavventura meglio di quanto pensassi, e per qualche ora meglio di quanto avrei dovuto.
Adesso è importante, se non riesco a farlo da me (e non ci riesco, credetemi), qualcuno mi deve aiutare. Non è, o non è solo, quello che sostiene qualcuno, cioè una questione di egoismo. Per me, comunque, non vedo alternative. Ma penso a qualcun'altro, che non si merita il tormento che gli darei. Dovete impedirmi, a tutti i costi, di innamorarmi. Non fa altro che danno, agli altri prima che a me. E non voglio fare altri danni.
Non lasciate che mi innamori!

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martedì 13 marzo 2007

Razionalizzare la pioggia

Come la pioggia. Siamo bravissimi a prendere qualsiasi cosa, ad ingabbiarla in un'equazione più o meno elegante, a spogliarla della sua sordida concretezza ed a trovarne una formulazione necessaria. Possiamo parlare di velocità limite, di forza viscosa, introdurre la nostra equazione dv/dt=(mg-bv)/m, e questa è la pioggia.

Così possiamo prendere il problema di settimana scorsa e ricondurlo sotto il nostro controllo. Ho passato una settimana a cercare di razionalizzarlo. Di far sparire l'indistinto affollarsi di sensazioni per tirarne fuori una verità. Ma non c'è. Non c'è verità nella volontà. Questo è un problema. Sarebbe consolante per tutti trovarne. Una cosa voluta, sempre voluta, fortissimamente voluta, diventerebbe vera. Buona. Perché la Verità ed il Bene si accompagnano, e le verità che fanno male sono comunque un bene, per l'ordine delle cose, per l'etica di chi vive, per la vita di chi vuole. Invece non c'è verità nella volontà. Scommettiamo su una cosa, facciamo di tutto per essa, la innalziamo come obiettivo dell'azione e metro del giudizio. Ci dà un movente, finché l'abbiamo davanti agli occhi. Come con le teorie fisiche, la seguiamo fino alle estreme conseguenze; e, proprio quando sembra più forte, sembra poter regolare non solo noi ma tutto, si schianta contro il muro della Verità. Vano sarebbe il nostro agire, se scoprissimo la Verità quando intralcia i nostri piani. Ma si può pensare ad una Mistica della Verità. La Verità si fa scoprire prima, ma al contrario della Volontà non vuole, non fa. Essa è. Il volere, il fare, implicano movimento tra le parti, e ce l'ha già detto Parmenide: non è qui il vero. La Verità è, nessuno di noi la prende e se la mette davanti, già si staglia contro l'oscurità dell'arbitrio, da prima che vogliamo, mentre vogliamo, quando abbiamo smesso di volere. Ma, al contrario delle nostre volontà, non sbraccia, non si coniuga alle misere contingenti realtà. È come una montagna: le nubi delle sensazioni la possono nascondere, ma non ne fanno sparire la mole. Sentiamo che incombe su di noi anche se non la possiamo distinguere. E, come la montagna, non è fine a se stessa. Lo può sembrare; ma ben misera vita se lo fosse. La Verità non fa quasi mai bene all'animo, che invece si appaga delle sensazioni; non ci dice cosa fare; come la montagna punta al cielo, così la Verità indica fuori di sé a chi cerca il Senso (nel senso di significato, non di sensazione). E, a noi, a me, oggi, come qualche giorno fa, è il Senso che manca. Non voglio indagarlo, perché si fa alla svelta a confondere il Senso con il senso, e pensare che abbia Senso quello che ci appagherebbe, o anche, al contrario, che lo abbia quello che ci distrugge, se vediamo solo grigio di umida pioggia. Ma anche la pioggia ha il suo Senso, e l'equazione la sua soluzione.

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martedì 6 marzo 2007

Piove...

Yes, the newspapers were right: snow was general all over Ireland. It was falling on every part of the dark central plain, on the treeless hills, falling softly upon the Bog of Allen and, farther westward, softly falling into the dark mutinous Shannon waves. It was falling, too, upon every part of the lonely churchyard on the hill where Michael Furey lay buried. It lay thickly drifted on the crooked crosses and headstones, on the spears of the little gate, on the barren thorns. His soul swooned slowly as he heard the snow falling faintly through the universe and faintly falling, like the descent of their last end, upon all the living and the dead.

Ecco, con la differenza che la neve è bella, attutisce i rumori e le spigolature, cancella le cose brutte con il suo manto; mentre la pioggia è grigia, aggiunge con lo sciabordio delle pozzanghere rumore al rumore, fa fango anche dove, prima, era bello. Così mi sento oggi.
Non vorrei essere frainteso, in primo luogo: sono contento quando piove, mi piacciono i giorni grigi ed umidi. Non perché siano belli, ma perché sono a misura d'uomo, conformi alle brutture in cui vive, non lo fanno sentire piccolo ed inutile; se poi è grigio, e non si ha panorama, ecco che si è paghi di se stessi.
Non sono quello che sembro e, per converso, non sembro quello che sono. Ci ero riuscito, quasi, in lunghi anni avevo inspessito la corazza, non ti curar di loro, ma guarda e passa l'avevo marchiato sulla coscienza; ero consapevole di non poter piacere a nessuno, in questo modo, ma mi ero reso conto che, alla fine, anche a me non piaceva né sarebbe piaciuto nessuno, e quindi tanto meglio. Avevo, ed in realtà ho, molto altro a cui pensare. Fossi rimasto da solo, avrei lavorato di più. Se qualcosa, qualcuno, qualcuna fosse cominicato ad interessarmi troppo, non c'era che una possibilità: turarmi il naso, andare là e farmi odiare. Il che mi risulta facile.
Ma questo errore, no. L'ho fatto mesi fa. Inutilmente mascherato. Che colpa ne ho io, dicevo, se le sensazioni mi fanno "patire", e pur sapendo che non avrei dovuto farmi piacere nessuno, lei mi piace? In fin dei conti, questo non influiva né sull'azione, né d'altro canto potevo prendermela per qualcosa indipendente dalla mia volontà. Non siamo noi che facciamo le sensazioni, noi prendiamo solo le decisioni. E l'ho sostenuto, per mesi; con coerenza anche grottesca, con ostentato disinteresse. "Fare finta di niente", questa la mia bussola. Ignorando una cosa, questa non esiste. Sparisce. Si leva di torno con i problemi che porta con sé.
Peccato per un particolare. Io so essere falso, sarò un mentitore spudorato, farò di tutto perché nessuno sappia se penso o meno quello che dico, se voglio o meno quello che faccio. Vorrei ingannare tutti, non so ingannare me stesso. Eppure lo sentivo, sul fondo dell'anima, il lento infausto ribollire. Potevo, posso ridere quando voglio essere serio, posso essere serio quando vorrei soltanto essere altrove; non posso volere di non volere. E questo mi ha rovinato, mi rovina.
Sentivo in questi giorni il troppo sublime dispiegarsi della stagione...io odio la primavera. È troppo bella. Nessuno se la può meritare. Ed odio quelli che sono contenti perché è primavera. Di che vi rallegrate? È forse merito vostro?
Ma lasciamo perdere. Non diamo la colpa all'asse terrestre, o al Creatore. Perché, pur sapendo che non era vero che mi piaceva e basta, pur sapendo che non era vero che io mai e poi mai avrei potuto (nell'ordine) abituarmi, affezionarmi, voler bene a qualcuno anche dopo quella lunga e patetica vicenda chiusa anni fa, ho finto di crederlo con tutti, ma soprattutto ho cercato di ingannarmi?
Adesso è peggio. Non è morto nessuno, certo. Domani è un altro giorno, certo. Un sacco di banalità di tenore più o meno simile, che non ho capito perché si dicono che da che mondo e mondo non hanno mai consolato nessuno...
La cosa assurda è che, oggi, non ho mica avuto sorprese. Sapevo dove stavo andando a parare, prima di affrontare la cosa. L'ho sempre sostenuto davanti e contro quegli inutili ottimisti dei miei colleghi. E adesso si vedrà

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sabato 3 marzo 2007

Bonfanti sull'Eco di Bergamo

Dall'Eco di Bergamo del 2.03.2007

«Per il momento siamo ancora al se. Sarebbe prematuro certo provare impazienza, ma credo ci sia da chiedersi come la Margherita potrebbe incrociare queste nuove dinamiche interne alla coalizione (l'ingresso di Follini, ndr). L'aver inseguito il progetto del PD fino ad annullarsi in esso può essere un handicap di non poco conto in un contesto come l'attuale. L'eventuale costituirsi sulla destra del PD di un soggetto politico che includa l'Udeur, spezzoni dell'UDC ed espressioni del moderatismo laico costituisce infatti una potenziale alternativa per l'elettorato della Margherita non persuaso dalla scelta del PD. Viceversa, la presenza della Margherita in quel processo di aggregazione le assicurerebbe un ruolo di guida formidabile. Capisco che molti temano questi eventuali sviluppi, tuttavia è una delle poche strade possibili per giungere a garantire al centrosinistra quella sicurezza numerica senza la quale è difficile interpretare al meglio il ruolo di forza di governo»

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