mercoledì 19 marzo 2008

Nazione e Stato

Ritengo non mi possa più esimere dallo scrivere un paio di righe a proposito del Tibet. Un po' perché l'80% dei blogger ha riempito il proprio sito di facce piangenti di donne in miseria, di bandiere giallo-blu-rosso-bianco-raggiate, perché la Cina è cattiva e anche comunista.

Forse, qualcuno dei miei lettori più fedeli ricorda i giorni delle manifestazioni dei monaci birmani, ed il mio commento di allora. O forse no. Comunque, con queste poche righe (tra cinque minuti chiudo il laboratorio ed il computer mi viene fuori dagli occhi) ho premura soprattutto di mettere in luce il fatto che, in sostanza, la libertà e l'indipendenza di questa o quella nazione nei confronti di uno stato più o meno oppressore o più o meno imperialista, è un'arma come un'altra da buttare nell'arena delle relazioni internazionali, che sappiamo bene funzionare come le guerre anche quando si è in pace. Parimenti, che gli appelli al boicottaggio delle Olimpiadi saranno rigettati per primi dalla maggioranza degli atleti, che in fin dei conti vivono in funzione della vetrina olimpica (pensate agli oscuri giocatori di softball, od alle eptathloniste), e per secondi dai Comitati Olimpici Nazionali, che sappiamo essere strettamente legati ai governi. Perché non ha molto senso fare una crociata contro uno Stato, se si sa di non poter vincere, o che vincere non conviene (con la Cina, il primo caso). E che, in fin dei conti, è raro che alle cancellerie nazionali stia a cuore la vita del proprio singolo cittadino che si va a cacciare in mezzo ad una rivoluzione, figuriamoci le vite dei cittadini degli altri.

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