martedì 30 settembre 2008

Esami di laurea


Per fare un po' di pratica in vista del mio, o forse per necessità mondana, o forse - ancora - per sottile cattiveria, o più probabilmente per tutte e tre le cose insieme, ed anche altre, tra ieri ed oggi ho assistito ad un po' di sedute di laurea; tutte di triennali. Tanto, sebbene ci si lamenti sempre dei pochi laureati, sono comunque abbastanza perché tra essi ci sia qualche conoscente.

Così, ieri sono stato alla laurea in (credo) Scienze e tecniche psicologiche conferità dall'Università degli Studi di Bergamo di una vecchia compagna di Liceo, che - è un peccato - era così intelligente è si è ridotta a questa specie di semplificazione della tesina di maturità, che era la sua tesi - dalla commissione giudicata ottima, e dunque tremo per gli altri, e non mi stupisco del fatto che - come discorrevo con i genitori di un'altra conoscente laureanda - in Italia non ci sia la cultura dello psicologo - e l'imbarazzante collegamento tra Jung e Pauli, che mi fa sovvenire la nota (almeno tra soci) facezia del tipo che, alla maturità, dopo aver presentato "Alla sera" di Foscolo, fa il collegamento a scienze parlando della luna, perché si vede di sera. Lasciamo perdere, per carità di patria, la curiosa fisica narrata a psicologi, di cui si è salvato solo il concetto di forza di scambio, per quanto palesemente frainteso - ma, almeno, era presentato abbastanza bene.

All'opposto, e salubre balsamo per un cervello ferito, le tre prime lauree in fisica teorica dei miei compagni di corso, che sono state discusse e proclamate questo pomeriggio. La teoria BCS della superconduzione per l'ormai dott. Galasso (relatore prof. Destri), Aspetti matematici della dinamica di fluidi poco viscosi per il dott. Paleari (relatore prof. Noja) e [un lunghissimo titolo che non ricordo a proposito di quantum computing] per il dott. Piasini (relatore chiar.mo prof. Cattaneo). L'esca che mi ha attirato in aula tesi è stata, come facilmente intuibile, la seconda; ma soprattutto la terza, pur trattando di questioni che è un eufemismo dire di interesse per me marginale, e nonostante abbia sforato, e non di molto, il tempo di presentazione concesso da regolamento. Non per nulla, credo sia l'unica tesi di fisica teorica a proporre qualcosa di originale (oltre quel poco della mia), e condivide con me la fortuna di essere stato preceduto (ma nel suo caso anche sperimentalmente, che è peggio) da un risultato di questa primavera, per l'implementazione di una porta quantistica di CNOT. Alla fine, tre meritati 110eLode, anche solo per il brillante percorso di studi.

Ma, in effetti, sebbene il vedete come noi fisici siamo meglio degli psicologi (come il cielo è alto sulla terra) sia una motivazione forte, non è questa l'unica osservazione da fare; in particolare, è interessante - e un po' triste, da parte nostra - osservare con che differenza sono vissute le lauree. Ieri, in Sant'Agostino a Bergamo, sembrava di assistere ad uno spin-off de Il Ballo delle debuttanti, oggi ok ho visto Piasini con la camicia, ma non c'è stato niente dell'impianto celebratorio a cui i cliché mi avevano abituato. Niente alloro - il che non è un male, visto che l'unica degna sua collocazione è l'arrosto, e non la testa della gente - per quella ci sarebbe il tocco (i lettori segnino); né fiori, ma per degli uomini sarebbe stato anomalo. Poi io sono dovuto scappare, ma spero ci fosse almeno lo spumante. E poi, cosa più importante perché riguarda anche me, devo capire se il fatto che ieri lo strambo "storico del pensiero scientifico" abbia chiamato la Manzini dottoressa ed oggi il non meno strambo luminare della meccanica statistica abbia chiamato i tre laureati sia un caso, il solito inutile snobismo dei miei professori nei confronti della laurea triennale (se vi sembrava inutile, non la facevate e morta lì) oppure un effettivo cavillo normativo che non conosco. Per quanto ne so, dottorini forse ma comunque dottori, dovremmo essere.

Ah, va bene gli applausi ma guai se qualcuno rumoreggia diversamente, dopo la mia "difesa" della tesi, neh...

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lunedì 29 settembre 2008

Tabelle alcolemiche

Sabato sono uscito a fare un giro con qualche amico, con l'impegno di tornare presto perché l'indomani avrei dovuto intervenire alla vendemmia del rosso (del pochissimo rosso, tra perenospera e flavescenza dorata forse ne usciranno tre damigiane - 150 litri, contro una produzione consueta attorno ai cinquecento).

Insomma, giusto il tempo di una birra, di due o tre commenti nei confronti degli altri avventori, e certamente - anzi, il piatto forte - dare un'occhiata alle tabelle alcolemiche che da questo fine settimana sono obbligarie.

Esperti molto più blasonati di me hanno già espresso tutte le perplessità a proposito di quei dati, perché non è sensato dare valori medi quando perfino il contingente stato di salute del fegato influisce sul tasso alcolico nel sangue (e, comunque, alcol nel sangue non è uguale ad alcol nel cervello); ma, in effetti, non è per lamentarmi delle tabelle che scrivo, ma per vantarmi: perché con quello che bevo di solito (in un locale, il discorso varrebbe per n locali solo se esistesse un pulsante "reset") sono sempre sotto; anche a stomaco vuoto.

Il fatto che il discorso di prima debba valere anche in questo caso, e che quindi non sono comunque indicative, viene elegantemente glissato.

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sabato 27 settembre 2008

Academica

Conciocchè [nota: sono perplesso anch'io per l'accento grave, ma è attestato in Foscolo] sarà pubblico codesto documento, mi premuro di segnalare la sintesi della mia tesi della mia tesi di laurea intitolata Geometrie generalizzate e modelli sigma non lineari per i lettori interessati. Al solito, è presente nella cartella della colonna di destra, ma si accede più agevolmente dal link diretto.

Comunque, non c'è ancora niente di definitivo, perché deve passare ancora, la prossima settimana, sotto il giudizio finale del relatore. Ad ogni modo, la versione è abbastanza stabile, come si dice in gergo informatico. Il font scelto è un po' insolito, e sono convinto che me lo farà cambiare; benché così faccia moltissimo libro degli anni Trenta, e di conseguenza mi piaccia non poco.

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I migliori anni della nostra vita

Sempre grazie all'ormai onnipresente FB, ma anche ai solidi antichi mezzi del telefono, della lettera raccomandata e del piccione viaggiatore, ieri sera si è concretizzato il ritrovo della V G '05, cioè della mia classe del Liceo.

Dire che si è concretizzato il ritrovo è di per sé fuorviante e decisamente eccessivo, anche perché - benché gli avvisi fossero stati ampiamente diramati - non eravamo che in sette; e, tra l'altro, come si dice, i soliti sette, cioè quelli che fanno sempre carte false per intervenire. Escluso Picca, che abbiamo contattato e praticamente trascinato per il collo.

Due volte in due settimane che si rinverdiscono i fasti del liceo - è stagione, probabilmente, ed il fatto che c'è chi s'accinge a laurearsi, ed a mettere una pietra sopra un'altra fase della vita favorisce senz'altro; benché, a differenza di quella volta, i compagni di classe sembrino molto meno cambiati (e, non si offendano, maturati) rispetto alla media; e, senz'altro, mi ci metto anch'io, che in questi anni devo aver raggiunto nuove vette di cinismo, ma senza esagerare. Benché una mia eventuale aggiuntiva perfidia, come notizia, svanisca di fronte al capitolare del caposaldo dell'indifferenza, dell'eroe del cinismo e del Prometeo del disinteresse. Insomma, Picca ha la ragazza (o, meglio, la notizia è che ha lo sbatti di averne una!).

Sono sempre i migliori ad andarsene per primi. Infatti, i peggiori (i "bruttazzi") sono ancora, a targhe alterne ma sostanzialmente con regolarità, sul mercato.

Va assolutamente fatta un po' di cronaca perché ieri sera si è sfiorato il parossismo dell'idiozia (o, essendo che per la quasi totalità siamo studenti, della goliardia, come non ha mancato di farci notare Gaffo). Ci siamo trovati in città bassa e siamo andati in un locale dei pressi, uno di quelli tranquilli, a fare in noi sette più casino di tutti gli altri avventori (ma non delle cameriere, che continuavano a rompere bicchieri), nel ricordare il passato, aggiornarsi sul presente e prospettare il futuro. Finché gli sguardi imbarazzati degli altri avventori, ed i bicchieri vuoti, ci hanno spinto ad andarcene e migrare ad un altro locale. Dopo aver gentilmente ma fermamente rigettato l'ipotesi dancereccia, abbiamo optato per salire in Città Alta onde salutare un paio di compagni incastrati con il lavoro; e - essendo che il sempiterno motorino di Picca si è digievoluto in un'imponente motocicletta - una nostra compagna ha sottratto un casco perché "è bellissimo andare in moto" (rigorosamente con la ó chiusa, in quanto della Valle Imagna), e noialtri ci siamo stretti in cinque nell'auto di Fiorini. Mentre il passeggero s'allontanava dal rock dell'autista per mettere le peggio tamarrate ad un volume tale da far tremare i finestrini, e tamarramente salivamo per una deserta Valverde, incrociando di quando in quando pedoni in discesa, gli altri due dovevano precederci in Colle Aperto.

Fai una vasca della Corsarola, aspetta ad un capo della città. Fanne un'altra, aspettali di nuovo; aspettali e basta, seduti fuori dalla Marianna; e questi due non arrivano. Cinque minuti d'attesa, e si è iniziato a malignare; ma quarantacinque, e ci si preoccupa, e non poco. Riprendiamo l'auto, ed iniziamo a girare in cerca di lampeggianti dell'ambulanza; e, dopo aver escluso con ragionevole confidenza la loro presenza dentro le mura, siamo scesi di nuovo allo stadio dove avevamo lasciato le auto, ma anche lì nessuna traccia. Allora, visto che ormai era tardi, e preoccuparsi fa venire fame, abbiamo deciso che con buona probabilità erano a mangiare un kebap (no, non è vero, ma ci siamo giustificati così) e siamo andati al Dessi. Ben satolli, torniamo indietro e - benché di Picca non ci sia traccia - finalmente appare la Pellegrini; la quale racconta la propria lacrimevole storia.

Avendo deciso per un motivo non meglio specificato di salire non da Valverde, che era l'itinerario che ci eravamo detti ed il più corto, ma dall'ingresso d'onore di Porta s. Agostino, si trovano i vigili che deviano il traffico ed informano della chiusura serale estiva (ormai sa un po' di presa in giro) di Bergamo Alta. Ritenendo loro che anche noi avessimo trovato il medesimo impedimento (ed è un po' un mistero perché a Valverde non c'erano né pilomat né sbarra né uno straccio di cartello di divieto), stazionano in uno dei pochi locali aperti nei paraggi in attesa che ci facciamo vivi. Ma qui il problema. Picca deve aver cambiato numero dai tempi del Liceo, e sebbene noi lo tempestiamo di telefonate, probabilmente stiamo chiamando una SIM che ormai giace in qualche discarica di materiale tecnologico; o il cellulare di un bambino pachistano in Pakistan. Mentre la signorina, per essere più comoda in moto, aveva lasciato a noi la borsa, con i soldi, con il telefono. E Picca, parimenti, non aveva il numero di nessuno di noi (cosa che non ci era sembrata necessaria, ma la prossima volta che lo becco su Messenger me lo faccio dare ché non si sa mai).
Come si poteva immaginare, né alla studentessa di Scienze Politiche né all'Architetto è venuto in mente che bastava che lei chiamasse con il telefono di Picca il proprio cellulare (il cui numero si assume lei sappia) perché noi rispondessimo e vivessimo tutti felici e contenti.

Alla fine, felici forse no ma contenti senz'altro - pur con l'impegno di rifare, e stavolta costringere tutti a venire - ce ne siamo tornati a casa verso le due.

NOTA: Gaffo studia a Milano e pare abbia un appartamento tutto per sé: sappia, se mai leggerà il post, che voglio fargli un'offerta che non può rifiutare - non nel senso che non gli convenga farlo; ma proprio che non ne avrà la possibilità.

Non so bene come funziona con le autorizzazioni, ma per chi può vedere qui si trovano le foto della serata scattate da Fiorini.

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venerdì 26 settembre 2008

Peggio che un figlio

Si annuncia con la presente che la tesi di laurea, quella che sì è una tesina che porta via non più di un mese di lavoro, quella che prendi un capitolo da un libro che ti interessa e fa' il riassunto, quella che non importa su cosa la fai, basta che sia corta e non ti porti via tempo, è finita. Modulo il relatore, nel senso che da martedì ci si dedica alla correzione definitiva. Ma intanto è un bel pacchetto di fogli scritti fitti fitti (e lo so che si potrebbe ingrandire il font, ed allargare l'interlinea, e chissà cos'altro, ma sta così bene in tutto e per tutto simile ad un libro stampato, che i piccoli esperimenti che ho fatto la rovinano soltanto).

E sono passati (se la memoria non m'inganna) più di dieci mesi. Sono stati consultati libri ed articoli accademici a decine, è quasi poderosa, ho ricevuto apprezzamenti nei corridoi del dipartimento di matematica da professori terzi. E, se ho fatto il conto giusto, più di quattro punti su otto e sette di credito non mi darà.

Quindi ho buttato via un anno (o meglio, il tempo libero di un anno)? A parte il fatto che il gruppo di fisica teorica ha avuto un esodo di studenti, perché non si può snobbare così tanto il lavoro e l'impegno della tesi, anche solo per soddisfazione dei laureandi, e che molti hanno cercato asilo dai particellari, a matematica o a informatica...Non credo, comunque, di aver buttato il mio tempo, perché abbiamo aperto questioni che, nei prossimi mesi, finita la foga della laurea, si spera risolveremo. E potrebbero aprirsi spiragli in qualche altra università. Forse. Intanto, non rimarrò con le mani in mano.

Presto in arrivo un'anteprima consultabile

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giovedì 25 settembre 2008

Sociologia spicciola

Questo pomeriggio sono stato un po' in giro per consegnare agli adolescenti del mio gruppo gli inviti per il nuovo anno di catechesi. La cosa ha portato via due ore; il che è certo dovuto all'estensione del comune di Scanzorosciate (ed è un po' la controindicazione di fare un gruppo unico per tutte le parrocchie), ma anche al numero dei nostri adolescenti.

Che un gruppo di quinta superiore, limitatamente a quelli "fidati", conti in un paese una ventina di persone, è una gran cosa il cui merito non è certo solo del curato e degli educatori, ma va cercato decisamente più in alto. Domani, in effetti, sarà il turno dei quattro-cinque più in forse.

Intanto, il giro di oggi è stata un'occasione per toccare con mano quello che dicevo, dieci giorni fa, al gruppo Scuola, Università ed Associazioni dei Giovani Democratici, ad un oriundo casertano che stentava a crederci; qui, i ragazzi interrompono la scuola superiore per andare a lavorare, e presto non importa loro niente di niente se non il proprio lavoro, e gli amici - il che gioca a nostro vantaggio, finché gli amici sono in oratorio. Su una ventina di diciottenni, sette non sono stati reperibili perché impegnati, in vari ambiti, con il lavoro. Per mercati, sul cantiere, in fabbrica.
E a volte pensiamo che le politiche giovanili siano il divertimento, la scuola e l'università.

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martedì 23 settembre 2008

Bibliografia

Come anticipazione per i lettori, la bibliografia della mia tesi di laurea. E, meglio tardi che mai, contestualmente elimino dalla cartella dei miei lavori qui nella colonna di destra (a proposito, da oggi Linux mi visualizza tutto sballato...più tardi controllerò Windows e cercherò di risolvere il problema) l'antica versione del primo capitolo della tesi (per dire, quello stesso capitolo ormai è il terzo...).

Ancora qualche sforzo...

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lunedì 22 settembre 2008

Curò in autunnale

Esiste un blasonato legame che lega i fisici alla montagna. Ad esempio, forse non tutti sanno che Enrico Fermi e gli altri ragazzi di via Panisperna erano appassionati di alpinismo. E, anzi, leggo che nell'ambiente accademico di Roma la montagna era tenuta in gran considerazione, e che anche mostri sacri della matematica (Levi-Civita, per dirne uno il cui nome giace sottotraccia alla tesi) condividevano questa passione. Dunque, niente di insolito scoprire che, anche tra noi ben più modesti studenti e laureandi di Milano - Bicocca, la passione è diffusa, ed in più di un'occasione sono i monti a fare da cornice alle nostre "gite sociali". Purtroppo, come al solito, di rinvio in rinvio si arriva a fissare un'escursione come quella di sabato e domenica praticamente all'ultimo fine settimana utile prima della neve (perché ad inizio stagione, quando sarebbe forse più facile organizzare, è più cosa da alpinisti su misto - che da camminatori, per quanto con buona gamba). Ed abbiamo così raggiunto un compromesso scegliendo i due giorni trascorsi, pur cadendo in contemoranea con l'ultima apertura stagionale delle cascate del Serio, e dunque con una folla che invadeva tutto il bacino del Barbellino e Valbondione.

Così, con le persone che, alla fine, sono riuscite ad intervenire - ed eravamo in cinque, tra matematici, fisici e fisici che vogliono passare a matematica - siamo partiti con tutta calma nella mattinata di sabato ed abbiamo raggiunto non Valbondione, bensì Lizzola (dal punto di vista pratico, perché il parcheggio - a differenza di quelli di Valbondione - non ci avrebbe dato problemi, dal punto di vista alpinistico per intraprendere la bella risalita della Val Bondione e la discesa per la Val Cerviera). Iniziando a calcare il sentiero alle undici, ci si inoltra in lieve pendenza nella valle, fino ad incrociare il Sentiero delle Orobie nel tratto Curò-Albani dopo circa un'ora di marcia (sì, probabilmente troverete scritto che ci vuole di più, siamo partiti benino) e si inizia a salire più decisamente tra i rododendri, piegando a destra onde rimontare un gradino e sbucando nella ondulata torbiera che occupa il bacino degli antichi (non so quanto antichi, sulla mia cartina sono ancora segnati) laghi di Sasna, da dove in breve, guidati da un barek (qui per informazioni in merito agli alpeggi della montagna bergamasca) raggiungiamo la baita di Sasna dove - essendo giunta l'ora - ci fermiamo a mangiare.

Alla ripresa dell'escursione, che ormai si svolge in severo ambiente d'alta montagna, inizia a sorgere il problema serio della due giorni, ovvero le ultime ore di vita degli scarponi di uno di noi - si sa come vanno le cose, quando la suola inizia a scollarsi, e si sa che il momento del commiato dalle proprie calzature è ormai inevitabile. Sbuchiamo, dopo qualche tempo, nella piana lunare che si trova alla testata della valle, e che si incunea tra i monti d'intorno, mentre le nuvole attorno alle cime alla nostra destra (cioè quelle sul confine con la Val di Scalve, alla nostra sinistra sono ancora sgombre) decidono di calare e di avvolgerci. Il proprietario degli scarponi sifuli si ferma, mentre ci inoltriamo alla cieca (senza segnavia né omini e sostanzialmente a naso) verso il Lago di Bondione, che troviamo proprio nell'ultimo circo della valle, tenendoci in movimento per non iniziare a sentire seriamente freddo. Riprendiamo a salire, stavolta con molta più pendenza, per guadagnare gli ultimi cento-duecento metri di quota che ci separano dall'incrocio con il sentiero Curò (che unisce l'omonimo rifugio nostra meta con il rifugio Tagliaferri al passo del Venano, quattro ore sopra Schilpario); ma le scarpe si degradano velocemente, ed il passo giocoforza rallenta esponenzialmente. Come non bastasse, siamo sempre più profondamente immersi nelle nuvole e basta rimanere indietro quindici metri per sparire dalla vista. Si sentono anche voci nella nebbia che non dovrebbero essere nostre, ma non incontreremo anima viva (come, del resto, non incontriamo dalla partenza e non troveremo fino all'arrivo). Arriviamo all'incrocio, sotto il passo di Bondione, in quello che non esagero essere per me il posto più suggestivo dell'escursione, sassi sassi ed altri sassi tra le affilate creste che scendono dal Tre Confini, ormai sopra le nuvole. Saliamo gli ultimi metri che ci portano alla crestina che corre sulla destra orografica della Val Cerviera (dunque, guardando da fondovalle verso la testata), con il sole che illumina radente, avanti a noi, i laghetti di Val Cerviera (che raggiungeremmo seguissimo la cresta, ma poi bisognerebbe scende al Curò lungo una non meglio definita "variante" non segnata sulle mie mappe e, soprattutto, a me ignota), ed il Coca in fronte a noi, ed il mare di nubi che si stende sul fondovalle.

Scavalchiamo lo spartiacque e ci abbassiamo rapidamente lungo una traccia innevata (qui ha nevicato in settimana, ed è rimasta una spolverata sui versanti esposti a nord) calandoci nel ghiaione della testata della valle. La Val Cerviera è lunga, e si scende alternadno ampi ed ameni paesaggi ondulati (specie nella parte più alta) a ripidi gradini sui quali il sentiero procede controgradiente, ed il sole cala, ancorché non velocemente senz'altro inesorabilmente, mentre il nostro passo rallenta (il nostro sfortunato collega ormai scende in ciabatte, che hanno più suola degli scarponi) ed io cerco disperatamente di farmi tornare alla memoria tutti i dettagli di questa valle, scesa di corsa saranno ormai minimo due anni, per rassicurare gli altri ma soprattutto me stesso che saremmo arrivati al rifugio senza dover accendere le frontali, e che al rifugio non avrebbero dato via i nostri letti non vedendoci arrivare. La discesa della valle dura due ore, e fortunatamente le nuvole, viste dal di dentro, non erano fitte come quelle dell'altro versante, così ci rendiamo conto quando arriviamo all'imbocco, ad una decina di minuti dal rifugio, sulla comoda mulattiera militare. Alle sette meno un quarto.

Fortunatamente non ci sono stati problemi con i posti letto (una sorta di regolamento dei rifugi dice che, se il prenotante non arriva entro le sei e mezza, il gestore può lasciare il posto ad altri escursionisti), ed abbiamo così preso posto nel rifugio invernale (perché la folla convenuta per l'apertura delle cascate aveva saturato l'estivo, e si stava stretti anche di là), che altro non è se non il vecchio rifugio, con sparante camerate soppalcate. Condividiamo la nostra con due mamme con bambini e (purtroppo) con una compagnia di giovani, chiaramente in totale promiscuità di genere come s'usa nei rifugi. La principale fregatura di stare nell'invernale è dover uscire alle fredde intemperie della sera per raggiungere la sala da pranzo, e soprattutto per sopportare l'incredibile accecante sbalzo termico (accecante, perché appanna gli occhiali che hanno un tempo di recupero più lungo di quello della fotocromia). Mangiamo bene, e beviamo un po' meno - ci consoliamo pensando che sia vino da montanari - e, dopo aver rinunciato a farci servire al tavolo, ci spostiamo nella sala comune per giocare un po' a carte e bere un bicchierino. Tentiamo, con immani sforzi, di insegnare a Chiara la briscola chiamata e quando, dopo un paio di mani fallimentari, rinunciamo decidiamo di andare a letto. Le signore con i bambini non sono andate in camerata da molto, e le troviamo ancora alzate, mentre i nostri compagni "giovani" stanno cantando a squarciagola i cori dell'Atalanta e quelli "da bevuta". Presto, pur con l'inevitabile difficoltà di dormire nel sacco a pelo, ci assopiamo, anche perché sentiamo parecchio nelle gambe la lunga camminata, anche se non fatta a passo di corsa.

Appena preso sonno, sembra che la camera cada a pezzi. La compagnia della Valle Imagna (mentre cantavano a squaricagola chi è nato a febbraio... non siamo riusciti a cogliere da che paese, e come si vedrà il mattino seguente non sarebbero riusciti a rispondere) è stata cacciata a forza dai rifugisti, ed ubriachi fradici e chiassosi cercano di trovare posto ciascuno nel proprio letto, e trovare il telefonino smarrito facendolo suonare all'impazzata. Credo di non aver mai sentito prima di allora una madre bestemmiare, per cercare di zittire l'orda. In quanto a me, sarà che sono addestrato con gli adolescenti intemperanti, sarà che quando sono già a letto deve essere o mio dovere alzarmi o essere tremendo quello che succede, sarà che - a ragione - ho valutato che, quando si cerca di arginare un ubriaco, quello tende a far peggio, fattosta che mi sono girato dall'altra parte sperando che la marea passasse presto; ma non l'ha fatto abbastanza. Ed in più ero ostaggi della mia cuccetta, perché non potevo calarmi (per andare in bagno, ad esempio) in quanto quella sotto di me era occupata da due di loro, che carini. Chiara mi aveva costretto a chiudere l'anta, ché altrimenti ci saremmo svegliati alle quattro (e che ci sarebbe stato di male?), e così sono rimasto ore all'oscurità girandomi nel sacco a pelo, cercando di non appoggiare la testa direttamente sul cuscino, e tentando di indovinare il tempo che passava; finché sono ho realizzato che, sporgendomi, riuscivo a recuperare il telefono, e scoprire così , qualora fossi stato solo, sarei stato in piedi già da tempo. Mi accorgo che Claudio, che dorme di fronte a me, è sveglio, e presto decidiamo, avendo sentito rumoreggiare le signore con i figli, che è ora di levarsi su - abbastanza incuranti dei giovani, che non si capisce perché siano venuti a dormire ed a rumoreggiare quassù, se tanto vogliono vedere le cascate, e quindi devono scendere subito a valle. Beh, subito, quando smaltiranno la sbornia.

Noi, intanto, abbiamo rinunciato al giro in programma, in parte per la questione degli scarponi, in parte per le pessime nuvole basse che preludevano ad una giornata fredda ed umida. Dopo la colazione saliamo, di buon passo più che altro per stare caldi, al Lago Naturale con il rifugio Barbellino, che è ancora immerso nell'oscurità, tra nubi gonfie e la mole imponente del pizzo Strinato, dietro cui si nasconde il sole. Spero sia uscita la foto dell'ombra del pizzo proiettata sullo schermo di nuvole; ci sono cinque gradi scarsi, e ripariamo presto all'interno, dove - avendo definitivamente rinunciato alla briscola chiamata - intavoliamo una partita di Machiavelli; un gioco decisamente troppo anarchico per i miei gusti (io sono devoto alla scopa liscia, per quel che mi riguarda). Ci scaldiamo ciascuno come può (anche usando in modo improprio gli infusi bollenti, e facendo€ onore alla grappa di Paolo) e ci risolviamo a mangiare lì (anche perché l'originale, cioè mangiare all'aperto, è improponibile); dopodiché ci facciamo forza e scendiamo, nelle nuvole sempre più fitte. Non si vede il lago artificale del Barbellino, non si vede il rifugio Curò dal sentiero, scopriamo che l'apertura delle cascate è stata un fallimento, in quanto non si vedevano (e così sta bene a quei giovinastri).

Non è più prestissimo, ed il segnavia dà tre ore fino a Lizzola - tre ore, senza contare il fatto delle ciabatte, ed il sentiero non è un autostrada. La cosa più saggia è che i due che hanno l'auto (io e Claudio) corrano a Lizzola (se abbassassimo i tempi da tre ore a due e mezza sarebbe un affare) mentre gli altri, con tutta calma (normalmente ci vuole un'ora e mezza per raggiungere Valbondione, su una larghissima mulattiera) scendono in paese. Partiamo a gambe levate, scavalchiamo una torma di calmi discesisti, ed in un amen siamo al bivio con il sentiero delle Orobie. Si taglia in piano, su pendii scoscesi, e di quando in quando attraversiamo scarichi di detriti che ci rompono il passo. Come, purtroppo, so bene, la cosa meno sensata per scendere da 1900 metri a 1260 è iniziare a salire, ed ovviamente il sentiero lo fa, ed alterna ripide discese ad incredibili strappi di salita. Arriviamo stravolti (e c'è chi sta molto peggio di me) a Lizzola dopo 1h45'; ed avremmo potuto fare più veloce, se fossimo stati disposti a morire tentandoci. E facciamo bene, arrivando a raccogliere gli altri che sono arrivati da poco più di dieci minuti.

Commiati direttamente a Valbondione, ché le nostre strade si dividono, per comodità. Nonostante la discesa della Valle Seriana sia una delle strade più rischiose, in quanto a traffico, non abbiamo problemi dopo il famigerato semaforo di Colzate - e forse ce ne sarebbe un po' anche all'altezza di Nembro, ma svicoliamo elegantemente per la vecchia strada.

Temo sia finita la stagione dell'escursionismo in alta montagna, a dire il vero con il botto - nel senso, l'ultima è stata la migliore della stagione; e se arrivano le foto (quando le fanno gli altri, l'ottativo è d'obbligo) tutti capiranno il perché.
A meno che il GAP...

Il tragitto dell'escursione su Google Earth.

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venerdì 19 settembre 2008

Gatto di Yang-Mills

Il gatto si Schroedinger ci ha stancato, anche indipendentemente dalla meccanica quantistica. Per prima cosa, è una questione che conoscono tutti dal liceo; e poi, è inflazionato; tutti conoscono il tristo destino del povero gatto-zombie.

Più a lieto fine (per quei pochi che lo capiscono, io stesso confesso di esserne più affascinato che altro) la storia del gatto di Yang-Mills, che cade sempre in piedi - e quindi un po' tutti i gatti sono gatti di Yang-Mills, mentre ben pochi sono di Schroedinger. Anzi, secondo me nessuno. Ne avevamo già parlato, a dire il vero, ma mi è sembrato il caso di una trattazione dedicata, mentre in quell'articolo era solo un problema tra gli altri.

Abbiamo qui una trattazione quasidivulgativa, e poi (udite udite) l'articolo originale di Montgomery Gauge theory of the falling cat, Fields Institue Communications, 1993.

Passate al Lato Oscuro della fisica, sperimentali!

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Lussana party

ovvero, la prima prova della non totale inutilità di Facebook.

Ieri sera sono così intervenuto ad un distinto e rispettabile (in questo, assai diverso dagli originali, ma sono gli altri che cambiano) party mondano degli ex studenti del Liceo Lussana. E, sebbene sulle prime poco entusiasta, si è rivelata una squisita occasione per rivedere volti noti e vecchi amici, conoscenti, benauguranti, nonché un paio di professori-istituzione che si sono fatti vedere.

Non che sia stata una serata malinconica, ma è comunque notevole vedere come il tempo che passa abbia lasciato un segno. Ho già detto, ed è un bene, che siamo diventati tutti molto più posati. In ragione diretta agli anni di uscita. E, a parte alcuni casi clamorosi, il tempo ha anche stemperato e mostrato la vanità di tanto ardore adolescenziale, quando ci si scannava per le elezioni e si veniva - quasi - alle mani per l'ennesimo insensato tentativo di occupazione. Diventiamo adulti, ciascuno con il proprio passo, ma inesorabilmente. Bello.

Poi ci sono le note di colore. Poiché l'ingresso al locale, fino a tardi, era riservato agli ex studenti che potessero dimostrare di esserlo, avevo messo a soqquadro la camera per trovare l'annuario di quinta, nel timore che all'ingresso non ci fosse nessuno di mia conoscenza, e avessi problemi. Timore che si è clamorosamente disciolto quando, ancora ad una ventina di metri dal cancello - trovare parcheggio è stato alquanto tedioso - il nostro organizzatore, con cui ci conoscevamo poco più che di vista, si sbracciava a salutarmi e veniva incontro tendendomi la mano. Pare proprio che si ricordino ancora tutti di me. Addirittura, è stato captato il mio nome rimbalzare da un capannello all'altro, al mio passaggio, da parte di persone con cui mai ho parlato in vita mia, e che non ricordavo assolutamente. Non mi rendevo conto di essere celebre, allora. O meglio, sapevo di essere noto tra i miei avversari, ma mai avrei detto così widely. Mi sa che è venuto il momento di tornare a far visita ai professori...

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mercoledì 17 settembre 2008

Cronache del regno di Carlo IX

Questo, con tutta probabilità, è un libro che nessuno dei miei lettori avrà letto. A meno che, certo, in futuro qualcuno cerchi su Google il libro, anche noto come La notte di S. Bartolomeo perché una professoressa di francese particolarmente puntigliosa si sarà concentrata su un'opera minore di un autore minore, quale il nostro Prospero Mérimée. Una professoressa anche bibliofila, perché l'ultima edizione che porta questo titolo (non ho capito bene perché sia stato riedito nel 2007 con un altro titolo) è del 1943, e l'edizione in mio possesso del 1931 (storia lunga, tra l'altro, perché il primo acquisto, di qualche anno fa, su una bancarella, mi aveva fornito un libro mancante dei capitoli centrali (ancorché, non centrali per la trama) - quelli, appunto, della famosa notte del 24 agosto 1573 - e solo di recente (tre giorni fa, per essere pignoli) sono riuscito a mettere le mani su un'edizione integra: la Treves del 1931.

Il romanzo ha quasi lo sviluppo di un racconto, e ci è voluto davvero poco (di fatto, il tempo in sala d'attesa del dentista per mia sorella, ed il ritorno a casa in coda). E, probabilmente, ha ben poco spessore letterario; anche se esiste, in Internet, una lettura di Mérimée abbastanza profonda da soddisfare il mio gusto (lettura che vi sfido a trovare, comunque), che lo descrive come una sorta di romantico riottoso, cioè uno scrittore figlio del suo tempo, del primo Ottocento appassionato di Ivanhoe e di Notre Dame de Paris, e di tutte queste storie ricche di colore (romantic, nell'accezione originaria del termine), ma con un carattere ritroso e schivo, che quindi finisce per scrivere di amori tragici, lotte fratricide, vendette magie ecc. ecc. descrivendo tutto con cinica e fredda distanza. Poi, è vero, altrove ne ho letto come anticipatore del decadentismo, con le sue femmes fatales di cui la più celebre, che conoscono tutti - anche quelli che del nostro non hanno mai sentito parlare - è Carmen della Carmen.

Comunque, il lato che - come può ben immaginare chi mi conosce, o chi ha letto abbastanza di queste pagine - preferisco è il primo, in questo romanzo ben rappresentato.

È la storia di un giovane ugonotto che raggiunge Parigi durante una delle brevi tregue tra una guerra di religione e l'altra, per mettersi al servizio di un celebre ammiraglio protestante accolto a Corte. Ivi reincontra il fratello, che non vedeva da anni perché convertitosi al cattolicesimo e, persosi durante una delle varie guerre, si era messo al servizio del Re (il Carlo IX del titolo) ed era diventato ufficiale dell'esercito. Qui Mergy, il giovane, viene introdotto alla vita ed alle dissolutezze della corte, pur conservando caparbiamente la propria fede, anche contro la propria amante, di cui è innamoratissimo e che riesce a conquistare manu militari al precedente cavalier servente (cornuto e mazziato, in quanto i favori della Contessa gli erano stati tolti alla comparsa di Mergy, ed il reliquiario dono della Contessa salva la vita al giovane durante il duello, ed il giovane per pura botta di ... lo uccide nel duello medesimo), che fa di tutto per convertirlo. Accanto al nostro poveraccio idealista schiavo d'amore - a cui non va la mia simpatia se non nella rocambolesca scena della fuga travestito da frate, quando viene costretto al famoso ego te baptizo piscem da una soldataglia ubriaca - abbiamo l'eroe tragico della vicenda, il fratello al tempo stesso buono (più che buono, ragionevole) ed ateo, che per una stupida questione d'orgoglio abbandona la chiesa riformata e, di conseguenza, viene spacciato per cattolico, ma che rifiuterà sul letto di morte i conforti dei due religiosi che si contendono la sua anima; e che è il vero testimone del massacro, essendo l'altro nascosto dietro le sottane dell'amante. Riflessione sul fanatismo religioso dell'una e dell'altra fazione, e sui motivi molto più prosaici che spingevano il Re ora a parteggiare per gli uni, ora gli altri; il tutto scritto con una forma chiara, limpida, e con uno stile leggero; che ne fa, di fatto, una sorta di feulleiton predumasiano scritto con nitore settecentesco.

E poi, usa più volte una delle mie parole preferite, mezzana.

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martedì 16 settembre 2008

Everything will be OK in the end

Scopro così che la testatina di Farfintadesseresani è un modo di dire abbastanza diffuso in ambiente anglosassone. Qui, ovviamente, non ha un significato ottimista o consolatorio.

Ma serve per dire che siamo alla frutta.

Almeno, alla frutta della Laurea in Fisica. Finiti gli esami, in dirittura d'arrivo la tesi, proposte di ricerca per la Specialistica. Sembra proprio che tutto vada a gonfie vele, senza motivi di esaltazione, ma serenamente in porto.

Dov'è la fregatura?

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domenica 14 settembre 2008

Al party mondano col telefonino in mano

Alla fine abbiamo optato per l'abito da sera, ma non di gran sera (che quindi rimane un unicum di questo Ultimo dell'Anno, per ora). Ed abbiamo approffittato della festa per raccogliere materiale onde redigere il presente post (sì, lo so che il titolo è lungo, ma una volta s'usava; quello dei Principia è più lungo, ad ogni modo).

Saggio Sulle Serate Mondane
così come in uso tra i Giovani Orobici
con Elementi di Dinamica Sociale
scritto et annotato dal sig. Casati
studente in Milano

È ben noto in letteratura che il compleanno più importante è quello che realizza la maggiore età. In altri termini, se è vero che non esistono momenti in cui si invecchia più di altri, ed in effetti si invecchia senza discontinuità, dovendo mettere una linea di demarcazione tra minore età e maggiore età è con buona generalità costume metterla al compimento del diciottesimo anno d'età. E, probabilmente per festeggiare l'assoggettarsi al Codice Civile (con tutte le cautele che il fatto comporta), si tende a fare di tutto per ottenere la miglior giornata della vita (fino a quel momento); che poi ci si riesca, è un altro paio di maniche. Ma, in fondo, a noi non interessa che l'intento riesca o meno - specie se il diciottesimo non è il nostro, e considerato che uno diventa maggiorenne una volta sola, è statisticamente più probabile che sia il diciottesimo compleanno di qualcun altro - dunque presenziamo, quando possibile, con spirito olimpico da far invidia a De Coubertin.

Comunque, a questo specifico compleanno di ieri, le premesse per farsi sfiorare da un minimo di apprensione c'erano; premesse, come gli assidui ed affezionati lettori avranno colto, che avevano deciso di concretizzarsi nella questione della scelta d'abito. Premesse, che andiamo brevemente ad esporre.
La festeggiata gode certamente di un discreto successo sociale, e gli inviti per il compleanno, già nell'aria da una decina di giorni, si sussegivano e diramavano in tutte le direzioni. E, per rendere speciale l'evento, la location prescelta (cui possiamo anche fare un po' di pubblicità, dài, anche per la cameriera tra le più appariscenti del paese - ancorché con un animo da camionista bulgaro) non è certo mal trovata; anzi, già di suo avrebbe potuto far nascere il dubbio che la cosa non si sarebbe potuta risolvere in una serata tra amici, una chitarra e uno spinello di Eliana memoria. Nei giorni seguenti, a rendere ancora più palpabile l'excalation di affettazione, ecco che arriva a casa una gradita mezzana portando gli inviti su cartoncino, necessari all'ingresso. Abbiamo scritto affettazione, e non eleganza, perché l'impressione - almeno per il momento - era che si tentasse di mimare un ricevimento serio, senza però essere del tutto preparati in merito; ad esempio, un invito su cartoncino fucsia - e, appunto, nessun tipo di indicazione in merito all'abbigliamento. Quindi, improvvisazione. Né si venga a dire come vuoi che ci si debba vestire? o, meglio, come vuoi che tutti si vestano?, perché qualche anno fa sono stato ad una festa di analogo ambiente sociale (era un fine quinta superiore del Mascheroni, appunto) e le donne erano tutte rigorosamente in lungo, e gli uomini in abito scuro.

Alla porta, come previsto, c'è chi controlla l'elenco degli invitati (bene, sono l'ultimo della lista), e veniamo introdotti nel locale. Il tempo incerto ha costretto a preparare il buffet in una sala dell'interno, e poiché i nuvoloni minacciosi che hanno scaricato acqua per buona parte della giornata (ed in buona parte sulla mia testa, ché ero in giro per librerie con Fabio, il mattino) si erano aperti da poco, dalla nostra terrazza vedevamo di sotto il sole riflesso sul cotto bagnato. Ecco, ad avere una macchina fotografica bisognava prendere il tramonto. Dopo aver lasciato il Borsalino sull'attaccapanni, iniziamo ad osservare i convenuti (e, soprattutto, i loro vestiti, per decidere se ero così overdressed come di primo acchito m'era parso). Ok, la cravatta non l'aveva nessuno. E, del resto, di quelli che conoscevo ben pochi sarebbero stati in grado di legarsela al collo. Però, nel complesso, gli uomini erano vestiti (a parte un paio di clamorose eccezioni) in modo adatto. Bene. Niente pesce fuor d'acqua. Il problema erano le donne (o ragazze); perché va beh, su quelle dell'oratorio non c'era molto da sperare. Nessuna è venuta con la divisa da animatrice del CRE, e quasi nessuna con minigonna inguinale, e questo è direi un risultato. Ma le studentesse dell'iperfighetto Mascheroni sono state veramente deludenti. Tutte con l'abito (segna un punto), e quasi tutte con un bell'abito. Ma da pomeriggio (il che significa: sopra il ginocchio), maledette. Mi sono consolato concludendo che, in fin dei conti, sbagliavano loro e non io. Mi chiedo se il dubbio, almeno, avesse sfiorato anche loro, mentre le immaginavo accompagnate da mammina per le boutique del centro. E mi rispondo che è era improbabile, quanto meno.

Per essere una festa ci si diverte ben poco, esordisco rivolgendomi al primo degli altri ospiti che conosco. Tutti in fila lungo il terrazzo, in silenzio o - al limite - parlottando sottovoce col vicino, commentando il tempo la politica lo sport, e segretamente attendendo Briatore che, essendo dalle parti di Monza per il Gran Premio di Formula 1, probabilmente sarebbe passato a fare un saluto, atterrando in elicottero tra i vigneti splendidamente abbronzato e col sorriso al Botox in faccia. Il disgelo è stato lento; un paio di presentazioni, i gruppi di amici che si trovavano e facevano capannello (e la curiosità di vedere quanta gente sarebbe riuscita a rimanere sul terrazzo senza causarne il cedimento), e la nostra ospite con gonna a palloncino (già indossata, se ben ricordo. Un punto in meno. Al Galà di Capodanno. Mezzo punto in più [perché allora è colpa mia, ché è stata una mia idea {il Galà, non l'abito}]) che rimbalza da un gruppo all'altro a fare sorrisi carini, avvisare che il buffet è in lieve ritardo e distribuire i talloncini dei drink. Rigorosamente divisi tra quelli per minorenni e quelli per maggiorenni. Primo locale della storia con barman rispettosi della legge. Segna un punto. Nel frattempo, l'atmosfera si fa lentamente meno tesa, mentre ospiti su ospiti continuano ad arrivare, e supereremo abbondantemente la cinquantina; cose fatte in grande, per la celebrazione della nostra ospite che ha concluso la scalata alla maggiore età. Addirittura striscioni come quelli dei matrimoni, ad indicare la stretta viuzza che conduce tra vigneti al posto.

Apertura del buffet, ed orda decisamente poco elegante che vi si fionda sopra; da segnalare la festeggiata che sgomita per raggiungere il tavolo, perché era stata sopraffatta, e quello che, adocchiato un avanzo di piadina in un angolo, si fa pochi problemi a sottrarlo di nascosto. E finalmente si scende a bordo piscina, ed al bar. Pur tra mille differenze, adesso gli ospiti convenuti si sforzano, lentamente, di conversare gli uni con gli altri, mollemente distesi sui divani in vimini (che, ma pensa, non sono molli a propria volta); ma senza esagerare, ché un problema diffuso di questo tipo di feste è che sono presenti, con buona generalità, due gruppi che non si conoscono e che non hanno interazioni: quello dei compagni ed amici di scuola, e quello degli amici e compagni del paese. Tra l'altro, molto spesso dal profilo socioculturale così diverso da rendere arduo, se non impossibile, il comunicare anche volendo - ci sono passato, alla festa per i miei diciannove; ed ho deciso che non era opportuno ripetere, perché è un po' una fregatura per tutti; ed a te, ospite e festeggiato (saranno tre volte che slitto tra i due significati di ospite, ed immagino che ormai i lettori saranno nel panico; chissà perché i latini non hanno adottato la pratica distinzione host-guest. Qui sta per host), non resta che elargire la tua presenza agli uni ed agli altri, e scontentare tutti. Così, a parte una breve conversazione sui virus informatici, abbiamo marcato anche visibilmente ciascuno il proprio territorio: noi di Scanzo sotto il padiglione, i mascheroniani a bordo piscina; mentre si alzava un'aria fredda che ha costretto buona parte delle ragazze a coprirsi rovinando irrimediabilmente l'abbinamento cromatico degli abiti. Dopo un primo drink è venuto il momento dei regali; e quando si invitano cinquanta ospiti, pur essendo diffusissima la pratica - che non ho mai amato fino in fondo, pur confessando di avervi spessissimo fatto ricorso, specie quando manca l'ispirazione - del regalo in condivisione, i regali sono molti. Ed alcuni decisamente simpatici, belli o curiosi - altri, ad onor del vero, di dubbio gusto. Per motivi legali, purtroppo, non mi è permesso di fare esempi, comunque si sappia che niente che ha a che fare con i camaleonti li rende un articolo di gioielleria che vale la pena di indossare. Un po' di ginnastica etilica, ovvero scendere le scale prendere da bere tornare su, mentre all'orologio appare evidente che il programma, formalizzato nei minimi particolari, sta saltando. Ad ogni modo, programma che lasciava dei buchi inspiegabili tra un'attività e l'altra, ma non abbastanza da rendersi conto che c'è un problema a proposito del disco time (il problema mega tuffo in piscina va da sé, non lo si affronta neanche con la temperatura che scende intorno ai quindici gradi). In sostanza, gli amici mascheroniani che dovevano mixare non avevano pensato al cavo minijack-RCA (e, anzi, dalle loro facce mi è venuto il dubbio che non sapessero cosa fosse, un RCA - quelli bianchi e rossi, ma voi lettori lo saprete già sicuramente), e dunque ci si è dovuti accontentare della lounge-music di default, che però non permetteva certo di ballare. Benché non sono certo sia stato un male, stanti i probabili gusti commerciali dei selezionatori, e senz'altro della festeggiata.

Arriva, in ritardo rispetto al programma che la prevedeva fiscalmente alle 21.08, la torta, e bisogna dire che è stata ben trovata, in quanto consisteva nel mangiarsi un pezzo di festeggiata; forse un po' meno trovata la foto che, scattata oltre un anno fa alla precedente festa di compleanno - informazione facilmente rintracciabile sullo space della di cui -, la vede con un taglio di capelli diverso, ed in una posa che io non avrei scelto di rivelare al mondo, diciamo un po' frivola, e piuttosto mi sarei fatto fare una foto apposta dal fotografo. Comunque, a me è toccato un bicipite (o meglio, quello che sta attorno all'omero - che siano muscoli, ho dei dubbi), e del buon vino spumante, Prosecco di Valdobbiadene, perché è noto che ai ragazzi, ed ancor di più alle ragazze, piace quell'abominio dolce del Moscato d'Asti, o comunque un qualsiasi vino "con le bolle" che abbia un sapore rivoltante.

La festa continua, arriva anche l'Epo a fare una visita ecumenica; e rigorosamente questi bravi bambini (non l'avrei scritto, se lo pensassi, né l'avrei corsivato se pensassi che qualcuno ci possa credere) tornano a casa, i più raccattati da qualche genitore che si sacrifica a trasportarli. Ed è giunto il momento di fare l'attività primaria per gli uomini, e quella che più li contraddistingue e più li mette nei casini: esprimere giudizi. Ecco, in breve il mio giudizio sulla festa. Bella, ma non divertente. Per esempio, settimana scorsa ero passato ad un codiciottesimo (cioè un diciottesimo condiviso da due festeggiati) e ad un certo orario, comunque non tardissimo, si era dovuta aggiungere al gioco della bottiglia una regola che vietasse l'incesto omoerotico. Qui, l'aria e l'atmosfera da party mondano hanno, probabilmente, tenuto a freno tutta la stupidità che, è inutitile nasconderselo, sotto sotto covava. Poi certo, l'altra festa aveva a che fare con un contesto completamente diverso. È interessante osservare come, passati i sedici - a occhio - inizino a divergere quanti, fino al mese prima, erano esattamente il medesimo clichet di adolescente standard. E come la scuola faccia parecchio, in tal senso. E, nel caso che discutiamo, faccia bene. E, infatti, ne sia venuto a casa soddisfatto. Cosa che non è da sempre.

Note conclusive
È ampiamente inutile, ora, fare i nomi. Primo, perché chi conosce sa - anche perché era stato invitato, come tutti; secondo, perché anche se a nome cognome aggiungessi indirizzo codice fiscale e contatto messenger, non ne saprebbe molto di più chi non conosce. Ma, visto che chi ha orecchie ascolti, il mio regalo era il celebre capovaloro di Flaubert.

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sabato 13 settembre 2008

Tutto si tocca


E vale anche per la matematica della tesi. Tenetevi forte alle sedie.

E, con questo, automaticamente consigliamo la visione del bellissimo film di cui il trailer.

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venerdì 12 settembre 2008

Domanda

...che sembra stupida ma non lo è. Soprattutto, non è banale trovare la risposta.

Per una festa a bordo piscina dalle 18.00 alle 24.00, abito da sera o da pomeriggio? O due abiti, con pausa cambio d'abito (ché l'abito da sera prima delle 20 è vietato)? O né uno né l'altro, ma bermuda e maglietta (questa la escluderei, a dire il vero...)

E poi (ma senza voler offendere nessuno) questi bruti di bergamaschi compaesani ci penseranno cinque secondi, o si vestiranno nell'unico modo che sanno, e credono elegante, cioè con una camicia sbottonata, pantaloni attillati e cravattoni oversize?

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mercoledì 10 settembre 2008

Higgs

Visto che qualcuno più autorevole di me ha già fatto outing, mi associo anch'io (pubblicamente: nelle conversazioni private è più di un anno che lo sostengo).

Niente bosone di Higgs

Ma non si sieda troppo sugli allori, prof. Hawking, ché anch'io voglio la sua cattedra.

(lo sanno ormai tutti, oggi si accende LHC, e da qui c'è la diretta, a partire dalle 9)

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lunedì 8 settembre 2008

Associazioni studentesche

Ieri pomeriggio - a dire il vero, quindi, in data ed orario un po' antipatici, ma gli impegni politici di questi fine settimana sono fitti - prima riunione dei tavoli tematici dei GD Bergamo, che già c'è da essere contenti che siamo riusciti ad organizzarli ed a decidere come organizzarli.

Se il nome prima riunione dei tavoli tematici non accende i vostri cuori di lettori, sappiate che credo sia il nome meno evocativo che si potesse trovare; ma, del resto, i nomi evocativi sono perlopiù sono ingannevoli, e dunque è meglio un nome in burocratese che dica (quasi) esattamente di cosa si triatti. Quasi esattamente, perché siamo pur sempre dei politici, e dunque le parole hanno un significato leggermente dalla lingua normale. Ad esempio, si parla di tavolo ma gli unici ad avere un tavolo fisico eravamo noi (e forse quelli della Formazione, ma non quelli dell'Organizzazione).

Ad ogni modo, intenso sforzo - per quello che è filtrato - organizzativo per invitare il maggior numero possibile di giovani piddini, ed una platea di ventisette-trenta persone (se non si è contato nessuno due volte) - cosa che ha permesso di lavorare bene nei vari gruppi, ma che in effetti è un po' deludente, dopo aver visto le persone che erano venute un sabato pomeriggio di luglio, tra l'altro senza una sala vera.

Divisione per tavoli, dicevo, che mi ha portato a lavorare a Scuola, Università ed Associazionismo, "forte" della passata militanza e dei contatti con diverse realtà di associazionismo cattolico. Tavolo che, almeno per ieri, si è limitato ad affrontare le prime due delle sue diciture, a parte l'interessante ma utopico discorso del forum delle Associazioni Giovanili, che ci è stato raccontato esistere in Campania e mi risulta esserci, tra gli altri, anche in Veneto, ma senz'altro in Lombardia e nella Bergamasca in particolare non è pensabile, anche perché si tratta di un tavolo istituzionale che ha a che fare con gli sghèi (a proposito di sghèi, quando eravamo piccoli c'era una barzelletta politicamente scorretta su un rapinatore di Bergamo ed un bancario di Milano) ed i tribunali e tutte quelle cose che non è che ci sia la fila di associazioni giovanili. E, comunque, è un tavolo istituzionale, e noi siamo un interlocutore politico - fino a prova contraria, od all'insediamento di un nuovo Partito-Stato.

Per quanto riguarda la scuola e l'università, il punto principale (e dirimente, quando le cose saranno definite) è il rapporto con le associazioni che orbitavano intorno alla SG (o, a sentire i loro rappresentanti, cui SG orbitava intorno, e non si capisce chi sia la remora di chi, ma visto che si è finito a parlare di soldi, un'idea ce l'avrei) e che adesso bisognerà un po' capire come trattarle.

Intanto, sembra che se la vogliano cavare benissimo da sole, ed io sono solo che contento, ché sono un ventre molle politico non indifferente (nel senso, sono meno PD di quanto io sia disposto a concedere), e specie per quella delle superiori (che, avviandosi a diventare costola ufficiale della CGIL, dà problemi che non sono il solo a vedere) - a mia memoria, incredibilmente minoritaria, almeno alla mia scuola, che era di sinistra - che salta su con ricatti politici, con pretese che - posto che mai ci sarebbe saltato in mente di presentare liste PD nei licei - per far loro un dispetto non vedrei male disattendere, ok sono conciliante solo nelle scuole dove non si presentano; ma che almeno abbiano lo stomaco ed il fegato di presentarsi con il loro nome, e non dietro liste tipo Lista Losca o Lista uovo, l'unica che si sbatte, o Topolino e Pippo per la Rinascita del Natta. E comunque, che decidano cosa vogliono fare da grandi nel loro supercongresso nazionale di ottobre, ché noi siamo un partito e non un consiglio d'istituto.

Discorso diverso - e se possibile più delicato, anche per toni - a proposito dell'università, perché a mio avviso i tempi sono decisamente maturi per presentare liste PD, come ci sono liste della Lega o di Alleanza Nazionale; tenendo conto, però, che la rappresentanza politica nostra, almeno qui a Bergamo, è garantita (ed abbondantemente) da una lista (e relativa associazione regolarmente registrata) che non è parte del partito, e che pertanto dovrà autonomamente decidere, a sua volta, cosa fare da grande. Tenendo presente che il partito (né la giovanile) può dare deleghe in bianco di rappresentanza, qualcosa del tipo noi GD riconosciamo Officina 33 quale interfaccia politica in università, la politica di Officina 33 è la politica universitaria dei GD. Quindi, amici sì, ma stiamo attenti. Perché qualcuno di noi ha il proprio orizzonte politico in università o nella scuola, ma io credo che si debba guardare per prima cosa al partito (ok, per prima cosa al Bene Comune, ma ci siamo capiti), e decidere il resto di conseguenza, alla luce della nostra politica.

Intanto, sono perplesso da alcuni dei più ggiovani (eh già, non sono più il più giovane), e dal loro senso distorto di confronto democratico - qualcosa del tipo democrazia libertà ecc. ma con quelli non mi siederò mai, nemmeno per litigare. E dal fatto che stia a loro la nostra rappresentanza nelle superiori.

Ma andrà tutto bene; al limite, come il Gattopardo, benché intanto ci si batta per il contrario.

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sabato 6 settembre 2008

Il principe Caspian

Alla fine la noia ci ha preso alla gola, ieri sera, e siamo andati al cinema. Anche come modo per evadere da una settimana di tesi. Al solito, andare al cinema a caso implica doversi sempre fermare nell'imbarazzo della scelta davanti al cartellone dei film in programmazione, ed epiche lotte, perché ciascuno tira acqua al proprio mulino, ed ai propri gusti. Così, solo la mancanza della proiezione di mezza sera per Batman mi ha salvato da un film d'azione (benché non sia riuscito a far convergere su Ozpetek, che non è che mi piaccia, ma almeno è un film serio; alla fine, con riserva, siamo entrati nella sala - deserta, e con aria condizionata a palla - in cui avrebbero trasmesso Le Cronache di Narnia - il principe Caspian. Va beh, ho pensato, ci tocca. Tra l'altro, dopo averne letto una recensione tutto sommato positiva su uno dei blog che seguo (e che ora non riesco più a rintracciare, ergo se l'autore legge il mio me lo segnali che amo la precisione), aver ascoltato il resoconto affatto negativo della mia sorella piccola che c'è andata con le amichette, ed aver letto illis temporibus tutto il librone.

Quindi, per prima cosa, la storiella d'ammmore buttata lì tra i personaggi è completamente infondata, stando al romanzo - ed anche fuori luogo, visto che non muove un iota della trama - ed anzi, mia sorella sostiene che, semmai, lui flirta con l'altra, ma io non ricordo e poi lei l'ha letto dopo e poi, in fondo, l'ammmore non interessava certo all'autore (e, anzi, si starà rivoltando nella tomba). A parte questo, però, mi sembra che il film renda abbastanza bene e clima e storia.

Certo, questo non basta, né contribuisce più di tanto, a renderlo un bel film; forse ha ragione Fabio, ed a proposito di film tratti dal fantasy Il Signore degli Anelli ha detto tutto quel che si poteva dire, tanto che il regista ha attinto a piene mani dalla resa visiva di alcune sequenze in quello; e, si badi, sia per eventi narrativamente analoghi - che, in effetti, fanno parte di una sorta di sottofondo fantasy comune: abbiamo, ad esempio, Edmund che si lascia cadere di schiena da una torre per sottrarsi alla cattura, perché c'era un grifone (?) su cui saltare, allo stesso identico modo - non solo narrativo, ma anche visivo - in cui Gandalf fugge da Orthanc; e le armi d'assedio, e l'esercito schierato attorno alla roccaforte dei Nostri sono l'esercito di Mordor schierato in fronte a Minas Tirith. Considerato che di un film non c'è solo la trama, dunque, non possiamo essere entusiasti di fronte a simili deja-vù; che, in fondo, sono più innocui del duello girato come in 300.

Invece che perdersi ad inseguire ritagli di fotogrammi, dunque, è stato forse più interessante giocare alle differenze, in questo caso Tolkien-Lewis. Se anche Fabio, che vedeva il film con me, ha notato che in questa Narnia non si conosce nulla dei vari animali che la abitano, di cosa sia successo nei secoli prima, di perché si usi questo simbolo piuttosto che quell'altro, significa che l'impressione di profondità, la cui assenza Tolkien deprecava nell'opera di Lewis, non è affatto accessoria; e che, pur restando godibile la storia, il "mondo" non funziona; ma non è la differenza più interessante, penso, perché è troppo chiara. Invece, riflettiamo un attimo: abbiamo mai visto in Tolkien un duello tra campioni (cosa molto medioevale)? La risposta è no; lance spezzate, scudi frantumati, eserciti saccheggi e sangue, ma mai uno scontro tra due uomini al posto di una battaglia, al contrario che in Narnia. Il cui motivo, a mio avviso, va ricercato nella diversa mitologia di riferimento - già dal nome, si capisce che Lewis ha in mente il mondo greco-romano; e nel mondo greco-romano (e poi, passando nel medioevo, attraverso quei popoli che più ne hanno subito l'influsso) abbiamo Achille ed Ettore, Orazi e Curiazi, e così via. Al punto che quasi mi viene da scusare chi ha pensato questo duello come una sequenza da 300, che in fondo è di ambientazione greca.

Per finire (fortuna che questo post non è un tema, ché non ha nessun senso logico), un indovinello - facile, secondo me, ma non così universalmente. Quando il Capitano dei Topi perde la coda, prega Aslan che gliela ridoni. E i suoi soldati si offrono di tagliare la propria, se il loro capo non la riavrà. Non per le tue preghiere, ma per l'amore dei tuoi uomini ti ridono la coda, dice Aslan. Chi ci ricorda? (risposta precisa, prego).

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giovedì 4 settembre 2008

La realtà imita l'arte

...e lo trovo alquanto ironico (per quanto, certo, andrebbe distinta realtà da notizia del TGCOM, e arte da commedia).
che, poi, non ha nessun senso titolare "lascia l'ex", perché l'ex è tale dal momento che è lasciato, e non prima.

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mercoledì 3 settembre 2008

L'eterno ritorno


No, non sono passato da Kant a Nietsche. Anzi, più ne sto lontano, meglio è.

Da matematico (alquanto mediocre, ma questo è un discorso a parte), sono convinto che le uniche cose che contino siano quelle che non cambiano, che sono vere ieri oggi e per sempre; da credente (immagino peggiore che matematico, il che è tutto un dire) che le cose (la Storia, se preferite) vanno in una direzione, ed arriveranno e saranno finite - il che, in latino, si dice perfette, e non è un caso.

Festeggeremo, allora, perché le cose (o le persone, se preferite) non cambiano, o ci rattristeremo, ci adireremo, prenderemo cappello perché non migliorano?

Bella domanda. Intanto, contempliamo l'eterno ritorno dell'identico, e sorridiamo (vocabolo trabocchetto: è noto che Cassa non sorride, ma deride) a quelli che ci sono invischiati dentro.

Finché arrivi il Temporale sopra questa città (sì, una canzone di Lorenzo Cherubini, alias Jovanotti, più che mediocre; un miracolo). E chi ha orecchi, ascolti (chissà poi perché con la ritraduzione del Lezionario hanno cambiato intenda, che mi sembrava avesse una sfumatura diversa; ma, nel nostro caso, meglio ascolti).

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martedì 2 settembre 2008

Festa...

Anche se non lo sanno, e probabilmente a dirglielo si offenderebbero anche, il mio Curato ed il Direttore dell'Oratorio sono più democristiani di quello che vogliono far credere; né si stupiscano lettori non miei compaesani (né si stupiscano il doppio quelli di rito ambrosiano, per cui curato è parroco, e vicario curato) che i due ruoli siano distinti, perché il curato è il curato di Scanzo, e responsabile della Pastorale Giovanile di Scanzorosciate, mentre il direttore è direttore dell'oratorio di Rosciate, ed è un laico (e, incidentalmente, è Fabio). Infatti, esistendo un movimento sottotraccia di festaioli da discoteca nellì'oratorio, ed essendo tale movimento ripetutamente colpito da varie manovre ed iniziative (che, bisogna dire, molto spesso nascondono l'intento estetico dietro quello educativo, ammesso che ci sia), tira e molla, insisti oggi insisti domani, mio fratello è riuscito a farsi approvare una festa lento violento (che penso non molti, fortunatamente, conoscano, ma è la musica che fa di recente Gigi D'Agostino), ma a patto che non fosse pubblicamente pubblicizzata, e non potesse fregiarsi del titolo OrSI, cioè Oratori di Scanzorosciate Insieme (acronimo che dovrebbero conoscere tutti, ormai, ci manca solo che lo scriviamo sui muri come i motti che inneggiano al Duce).

Senza patrocinio, dunque, e con la voce che è girata praticamente solo in Messenger (e questo perché il curato non sa quanto sia potente, probabilmente), stasera si presenta all'Oratorio di Rosciate, un po' scaglionata per orari, un trenta quaranta persone, di età che va dalla terza media (credo, così ad occhio) alla quinta superiore, e qualche fuori quota, come il sottoscritto arruolato per impostare l'impianto audio e suonare la mezz'ora in cui non è ancora arrivato nessuno. Non che mi fossi preparato con chissà quanti scrupoli, ma la mia bella playlist di musica difficile c'era (ed anzi, è rimasta là quando sono andato via); un po' troppo difficile in alcuni tratti, temo, se facevo sentire una pietra miliare della musica ambient di Aphex Twin ed uno (non uno qualsiasi, il DJ house della serata, che suona anche in qualche locale, di tanto in tanto) mi ha chiesto se stavo ascoltando una messa cantata. Intanto, mentre affluiva varia umanità, problemi tecnici hanno fatto dilatare il tempo del mio set, finché è arrivato Fabio che, subito attratto dalla macchina per gli effetti del Cassina (ManuelC DJ, o come si fa chiamare ora, quello dell'house, insomma), ha proposto la cosa più divertente che mi sia capitata di fare ad una festa, cioè un live. Io con la mia batteria elettronica e qualche synth sul computer, lui manipolando la propria voce, con effetti trance e cose del genere. Ci hanno praticamente dovuto cacciare dalla consolle, perché altrimenti saremmo andati avanti tutta sera, e gli altri suonatori attendevano il proprio turno. Per primo, mio fratello, che al solito attacca con il liscio che trae in inganno i vecchietti del bar, e lentamente si trasforma in techno. E canzoni dance che fanno tornare giovani, come quando si aveva l'età di questi adolescenti.

Per poi rincasare, ancora presto, perché - certo - mi stavo divertendo, anche troppo. Ed è sempre bene non divertirsi troppo. E poi, anche, perché domani si deve universitare, possibilmente con la faccia sveglia di uno che sa quello che vuole dalla vita.

Ne passerà di tempo, prima della prossima festa. E nell'elenco delle cose da fare, accanto ad una festa progressive con i brani più ballati dell'inverno 1995, ora c'è anche un DJ Set live con tanto di tastiera MIDI. Quando ce ne sarà il tempo, e l'occasione (anzi, citando Cesare nel De Bello Gallico, pro tempore et pro re).

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Nodi

Prima che qualcuno creda che ho qualcosa da fare, è opportuno che legga questa discussione a proposito del problema che più d'ogni altro assilla un uomo vero.

Un adulto medio conosce due, tre tipi di nodi. In realtà, la topologia della cravatta consente di sbizzarrirsi in un numero a tre cifre di nodi diversi - posto che si posseggano cravatte abbastanza lunghe, e soprattutto colletti abbastanza ampi. Fortunatamente, non c'è bisogno di arrivare a tanto, perché gli stessi ad aver studiato questi problemi si sono anche occupati di selezionare ottantacinque nodi gradevoli anche esteticamente.

Come in tutte le scienze esatte, però, il loro contributo principale, e che rimarrà nei secoli, non è la classificazione e l'elenco dei nodi, ma aver creato una notazione universale per i nodi alla cravatta, che permette la portabilità assoluta delle spiegazioni; tutto è spiegato ed elencato nel sito del professor Fink (e cosa se non un matematico poteva essere?), a questo indirizzo. Vengo così a scoprire che il nodo che uso quasi sempre (e che io consideravo una sorta di mezzo-Windsor) è in realtà il nr. 9, che ha in ventura di non avere nessun nome ufficiale.

Ergo, ego te baptizo nodo Casati (e nell'immagine se ne vede la resa).

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lunedì 1 settembre 2008

A breve si riprende...

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