giovedì 24 dicembre 2009

Natale

Trascorsi molti secoli da quando Dio aveva creato il mondo e aveva fatto l'uomo a sua immagine;
e molti secoli da quando era cessato il diluvio e l'Altissimo aveva fatto risplendere l'arcobaleno, segno di alleanza e di pace;
ventuno secoli dopo la nascita di Abramo, nostro Padre;
tredici secoli dopo l'uscita d'Israele dall'Egitto sotto la guida di Mosè;
circa mille anni dopo l'unzione di Davide quale re d'Israele; nella settantacinquesima settimana della profezia di Daniele;
all'epoca della centonovantaquattresima Olimpiade;
nell'anno settecentocinquantadue dalla fondazione di Roma;
nel quarantaduesimo anno dell'impero di Cesare Ottaviano Augusto,
mentre su tutta la terra regnava la pace,
nella sesta età del mondo,
Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell'eterno Padre,
volendo santificare il mondo con la sua venuta,
essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo,
trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo.

E’ il Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la natura umana.

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giovedì 17 dicembre 2009

Giovinezza


Ancora un episodio della vicenda di Lui

Camminava a passo svelto tra la folla della Galleria Vittorio Emanuele. Aveva preso una decisione che comportava seri rischi, ma d'altra parte in mezzo alla gente che prendeva parte alla passeggiata domenicale ben pochi sarebbero stati in grado di seguirlo senza farsi notare. Questo era di importanza primaria, dopo che saltando da un tram in corsa era riuscito a far perdere le proprie tracce a quell'uomo di mezza età con un'insolita (e sospetta) giacca di tweed ed un paio di favoriti di foggia straniera. Per la sicurezza della propria borsa, invece, non poteva che affidarsi alla manetta, opportunamente nascosta dalla giacca troppo lunga, che gliela legava al polso. Per la sua sicurezza, era meglio non pensarci. Del resto, nessuno avrebbe dovuto saper niente del suo trasporto. Anzi, forse nessuno ne sapeva niente, ed era sceso dal tram solo per paranoia. Ma sempre meglio che avere un gentiluomo di Sua Maestà britannica alle costole.
Tagliò per la diagonale piazza Duomo, evitando di incrociare i due carabinieri a cavallo che avevano occhi più per le giovani a spasso negli ultimi giorni di primavera che per l'ordine pubblico; quando fu dalla parte opposta della piazza, si infilò nella più stretta delle vie e si dedicò ad un giro piuttosto tortuoso, sempre dalle parti della biblioteca Ambrosiana. In piazza San Sepolcro, all'infuori di una beghina che usciva dalla chiesa, sembrava non esserci nessuno.
Gettando uno sguardo sul palazzo in cui era atteso si chiese come facesse la gente a non aver mai pensato a finanziatori occulti di quel partitino dello zero virgola; dello zero virgola, ma molto rumoroso; ma del resto tutti gli estremisti erano molto rumorosi, in quegli anni. La questione fondamentale, ora, era capire se convenisse farli tacere, o far urlare loro parole condivisibili.
Quelli dell'Alleanza Industriali, a quanto pareva, propendevano per la soluzione due. Per ora non ci erano riusciti, ma continuavano a prestargli gratis la sede.
Era venuto il momento di dare una scossa alla situazione. Lui tirò il fiato, diede una lisciata ai baffetti impeccabili, ed entrò nel portone.
Nemmeno in guerra aveva visto una soldataglia peggiore. «Sono atteso», si limitò a dire alla specie di sergente appesantito dalle più incongrue decorazioni che avesse mai visto, da fez nastrini e cordicelle, che faceva un solitario nella guardiola del portiere. Nonostante indossasse abiti civili, e passasse per corridoi in cui erano buttati qua e là squadristi coi loro manganelli, nessuno lo fermò; solo ogni tanto si levava qualche occhiata scontrosa, che Lui tacitava con lo sguardo che dispensava, durante la guerra, alla rassegna della propria compagnia. La faccenda buffa è che quegli sgherri fissavano lui, con sospetto per via dell'abito elegante, del volto rasato, dell'aspetto aristocratico, e non sembravano prestare attenzione alla valigia che cercava di muovere il meno possibile, mentre saliva al piano nobile e percorreva il corridioio per il salotto di rappresentanza.
Alle pareti, teschi e gagliardetti degli arditi, una sorta di raccolta di souvenir della Guerra.
La prima persona a rivolgergli la parola fu una giovane. Lui si trovava dinanzi alla porta chiusa del salotto, colto nell'attimo d'esitazione tra il bussare o attendere che qualcuno lo notasse - in fondo doveva essere atteso - ed introducesse.
«Signore, può accomodarsi ed attendere con noi»
"Noi" erano due giovani sorelle con l'abito della festa e l'aria spaesata di chi è la prima volta che si trova in un posto del genere. In un posto che, Lui riteneva, non avrebbero mai dovuto frequentare. Probabilmente anche loro stesse non erano entusiaste della propria posizione; anche perché gli squadristi non avevano di meglio da fare che fissarle con insistenza o cercare di risultare, con esiti disastrosi, sufficientemente urbani per attaccare bottone.
Lui, al contrario, non aveva nulla da dimostrare; inoltre, doveva evitare di far cadere l'attenzione sulla valigetta e sul suo strano braccialetto. La ragazza che gli aveva rivolto la parola denotava una spigliatezza, ancorché non sufficiente per confonderla con una ragazza introdotta in società quali quelle che Lui frequentava, bastante per passare un quarto d'ora ameno. L'altra sorella, invece, doveva essere d'indole ben più riservata. Probabilmente un partito migliore, per qualche rampollo del paese; peccato fosse meno graziosa della prima.
Mentre a mezza voce ciarlava del più e del meno, «Lei è mai stata a Roma, signorina?», Lui cercava di dedurre cosa le conducesse a quello che non era certo un ritrovo d'educande. Ci avrebbe visto meglio delle donne pubbliche, Lui; non le figlie di uno stampatore di Tirano - annotò mentalmente: libelli eversivi in Valtellina, controllare.
Non aveva idea di quante visite potesse ricevere il capo del movimento, ed a quali scopi. Erano circa venti minuti che facevano anticamera, ormai. Lui non avrebbe potuto dirlo con precisione perché il movimento necessario ad estrarre l'orologio dalla tasca avrebbe probabilmente scoperto le manette, e non era il caso. Tra l'altro, per salutare le signorine avrebbe dovuto dar loro la destra, dalla padella alla brace. A meno che fossero fatte entrare loro per prime.
Cosa che, fortunatamente ma ragionevolmente, avvenne. A metà del suo ragionamento, dalla porta uscì un vecchio artritico, vestito di una camicia nera troppo larga. Invitò le signorine Zinella -Zinella, segnato- ad entrare, e chiese a Lui se volesse qualcosa da bere. Mandatolo a far fare un caffè, Lui si gettò attorno un'occhiata, constatò con un sorrisetto che, sparite le signorine, era scemata anche l'attenzione degli squadristi; ed in due mosse si liberò il polso, in tempo per prodigarsi in una regolare presentazione - che prima aveva evitato per non dover stringere mani o fare il baciamano (ché non sarebbe da fare, perché non sono sposate: ma saranno abbastanza erudite da saperlo, o preferirebbero comunque riceverlo, per vantarsi con le amiche di aver conosciuto un vero gentiluomo, in città?). La giovane e graziosa Pace, la timida Giaina («diminutivo di Giovanna, nostro padre è alquanto eccentrico»). Lui le guardò prendere lo scalone, prima di voltarsi ed entrare, borsa alla mano, nel salotto in cui era atteso.
Pesanti tende alle finestre, affacciate sulla piazza quasi deserta; un tavolino rotondo per prendere il tè; un vecchio divano ed una poltrona in coordinato; una scrivania insolitamente sgombra di carte, per il direttore di un giornale. Davanti alla scrivania una seggiola imbottita: le signorine dovevano essere state ricevute al tavolino, sebbene fossero state congedate in breve tempo. Dietro la scrivania riluceva la calvizie dell'uomo. Di fronte a lui, una mezza risma ordinata di carta bianca. Accanto alla risma, una penna. Non era certamente lo studio in cui lavorava.
«Si accomodi, dottore»
Lui, soffermandosi artatamente ad esaminare la foto di un gruppo di commilitoni in divisa da bersagliere, notò con la coda dell'occhio le due giovani uscire dal portone; solo allora, un momento prima di dare l'impressione di essere scortese, depose cappello e soprabito sul tavolino, guadagnò la seggiola e posò la borsa sulla scrivania.
«Un'altra campagna elettorale, per le ennesime elezioni politiche. Mi chiedo sempre cosa ci troviate, voi politici»
«Ed io mi chiedo sempre perché voi signori non facciate un partito vostro, invece di venire ad elemosinare da noi»
«Per via del suffragio universale; ma definirei assai opinabile dire che siete voi a farci l'elemosina.»
E, così facendo, aprì la borsa e mostrò all'interlocutore il suo contenuto. Per quanto si sforzasse di non mostrare sorpresa, questi non poté fare a meno di sobbalzare.
«Sì, sono tanti. Vedete di guadagnarveli»
«Con questa donazione, penso proprio che i bolscevichi non metteranno a repentaglio il raccolto, come l'anno scorso»
«I proprietari che rappresento ne confidano. E confidano anche che con le elezioni del mese prossimo si dia una scossa al Paese»
«I cuori degli Italiani si rivolgeranno a noi in questo momento di crisi; la borghesia e gli amici dello straniero che affamano il popolo soccomberanno sotto l'autentico sentimento che sorge dalla coscienza nazionale»
«Devo confessarle che fatichiamo a capirla, talvolta. L'abbiamo appena finanziata affinché siate d'ostacolo alle rivendicazioni dei braccianti»
«Ma quei vostri braccianti non sono italiani autentici, sono ammorbiditi e corrotti dal veleno bolscevico e da sobillatori stranieri, che vogliono indebolire la nostra economia e con essa l'Italia!»
«Come dice lei. Coloro che rappresento, comunque, gradirebbero una ricevuta»
Scribacchiò su uno dei fogli che aveva di fronte, «Il sottoscritto, a nome della federazione dei Fasci di Combattimento, riceve da...?»
«Unione Agraria Italiana»
«..dall'Unione Agraria Italiana lire 150 000 quale contributo volontario...»
«Lasci perdere, non andremo certo a metterla sui giornali questa nota. Lire 150 000. Stop. Serve a me per dimostrare che ho fatto il mio dovere.»
«Va meglio lire 150 000 per mezzo del dottor Fabiani
«Andrà benissimo»
Appallottolò il foglio su cui stava scrivendo e ne prese un altro:

Il sottoscritto, a nome della federazione dei Fasci di Combattimento, riceve dall'Unione Agraria Italiana lire 150 000, per mezzo del dottor Fabiani.
M.

Lo ripiegò con cura, sigillandolo in una busta, e lo consegnò a Lui; il quale, congedandosi, raccolse dal tavolo anche la brutta copia. Poi, riprendendo cappello e soprabito, diede ad intendere che non voleva si sentisse mai parlare dell'incontro; e si raccomandò, ancora una volta, per il sereno svolgimento del raccolto.
Lui scese velocemente le scale ed uscì in piazza. Senza doversi più preoccupare della borsa e dei soldi, si sentiva parecchio più leggero; anche le casse dello Stato dovevano avere la stessa sensazione, pensò quasi sorridendo.
C'era meno gente in piazza Duomo, si stava avvicinando l'orario del pranzo. Come al solito, invece, l'usciere della piccola filiale della Stefani presidiava l'ingresso dell'ufficio, con la sua mole da ex pugile che sembrava occupare tutta la guardiola. Lui entrò sbrigativo, e si mise a parlare seccamente, più al vento che all'usciere: «Allora, tre cose: Primo, c'è in giro un inglese che stamattina mi seguiva; Secondo, fatto tutto: telegrafate a Roma; Terzo...avete corrispondenti a Tirano?»
«Signore, non è nemmeno sede di prefettura...» rispose con un po' d'imbarazzo l'impiegato
«Non c'è bisogno di dire nulla, giusto?»
«Agli ordini», gli rispose portando la mano alla fronte. Lo sguardo di Lui avrebbe potuto fulminarlo; l'usciere bofonchiò delle scuse e gli consegnò un biglietto ferroviario.

Nella salone della Stazione Centrale, Lui esaminava il tabellone dei treni in partenza. Scorreva con lo sguardo passando dal primo treno per Roma a quello per Tirano, e viceversa. Avrebbe potuto giungervi prima di notte. Si risolse ad una decisione quando ormai la locomotiva aveva cominciato a sbuffare. Si accomodò in poltrona, e riprese ad esaminare la vicenda delle signorine Zinella, ed a cercare di mettere a fuoco il motivo per cui un incontro banale avesse attirato la sua attenzione. Giaina e Pace; con nomi del genere, il padre non poteva che essere anarchico - o socialista rivoluzionario; forse, a Pace avrebbe preferito Guerra, ma probabilmente la moglie aveva conservato un po' di buon senso. Uno Zinella anarchico, o sociorivoluzionario, in alta Valtellina. Non sarebbe dovuto essere molto difficile scoprire molto su di lui; e, soprattutto, cosa avevano le due figlie da confabulare con un arruffapopoli.

Dodici ore (di cui ben poche di sonno) ed un bagno veloce dopo, Lui attendeva nella divisa d'ordinanza, nell'anticamera di Sua Eccellenza il Ministro Rodinò, al piano nobile di Palazzo Baracchini.

«Non sapevo che si chiamasse Fabiani, colonnello»
«Ci sono diversi avvocati Fabiani, Eccellenza. Ma non ne conosco nessuno.»
Il Ministro si stava rigirando tra le mani la ricevuta per l'utilizzo di quei fondi riservati. «Beh, la faccia archiviare»
«Senz'altro, Eccellenza. Posso chiederle l'autorizzazione ad infiltrare i Fasci di Combattimento?»
«I compiti di polizia politica dovrebbero essere affare della Guardia Regia»
«Forse, ma non sono riusciti nemmeno ad individuare l'inglese che suggerisce la linea ai fascisti. Almeno io so che faccia ha.»
«Colonnello, lo so che è inutile negarle l'autorizzazione»

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mercoledì 2 dicembre 2009

Applicazioni Fisiche della Teoria dei Gruppi

Con ieri ho portato a casa un'altra casella del libretto, sulla strada ancora tutta in salita per diventare Dottore Magistrale (ma in latino suona meglio, sarò "Maestro").
Si tratta dell'esame di Applicazioni Fisiche della Teoria dei Gruppi, che al di là dello spreco di maiuscole significa algebre di Lie, con particolare riferimento all'algebra del gruppo di Poincaré e ad SU(3) dell'interazione forte; esame che avevo messo in conto di fare per la prima-seconda settimana di novembre ma che è lentamente scivolato fino a ieri, complice anche la continua procrastinazione (dieci giorni, di giorno in giorno) del docente, preso dal dover far "supplenza" ad un collega assente.

Esame oggettivamente non difficile, che in sede di prova scritta (come al solito, è tipico degli esami con Girardello) ha avuto come principale difficoltà capire cosa lui volesse - né è facile all'orale, ma almeno lì continua a correggerti finché imbocchi la strada giusta; difficile capire cosa lui volesse, e tra l'altro il professore giustamente si lamenta, perché basta andare a chiedergli e ti spiega. Solo che, mentre fai l'esame, difficilmente ti passa per la testa che la risposta che tu daresti alla domanda non sia quella che vuole lui...

Pagando questo scotto, alla fine è andata bene e sono riuscito a portare a casa un 28, che credevo di aver buttato alle ortiche impelagandomi in tableaux di Young che quasi non sarei nemmeno tenuto a sapere, avendo evitato l'esame di Metodi Matematici avendone affrontato due terzi degli argomenti a Fisica Matematica il terzo anno.

Anche se per indole sarei portato a mettermi sugli allori una settimana, non c'è tempo. Anche perché tra un esame e l'altro sarebbe anche il caso di fare un po' di ricerca, e quindi devo mettermi a ripassare i miei cari vecchi bialgebroidi.

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sabato 28 novembre 2009

Quando sei nato non puoi più nasconderti

...anche se ci provo, ad esempio lasciando in coma il blog per oltre un mese. Un mese ed oltre passato a studiare per l'esame di Applicazioni Fisiche della Teoria dei Gruppi, che non sarebbe nemmeno troppo difficile, non fosse che il professore sono dieci giorni che mi tiene sulle spine, e «Le telefonerò per avvisarla di quando posso farle l'esame. Posso chiamarla fino alle undici?». È anche ricominciato il semestre, e seguo finalmente il corso che attendevo con ansia da quando ho visto la riorganizzazione della Laurea Magistrale, e cioè Meccanica Superiore. Un corso che non farà saltare di gioia il ministro Gelmini, visto che siamo due studenti per due professori (ma è tutta colpa dei matematici che non amano la fisica matematica e, fosse stato per loro, avrebbero mandato il corso deserto); ma che fa saltare di gioia me, e per il corso e per la compagnia qualificata.

Ma questa routine è ben poco accanto a quello in cui sono stato incastrato - e possiamo anche, col senno di poi, congratularci a vicenda che sia stata una bella mossa - e cioè sono stato eletto Coordinatore del Partito Democratico di Scanzorosciate e Gorle, proprio questo mercoledì. Tutto assolutamente concordato, anzi. Richiesto. Quasi imposto. In effetti, faccio un po' di fatica ad immaginare quei circoli dove ci si scontra all'arma bianca per eleggere il coordinatore. Da noi è quasi solo una questione di disponibilità. Che non ho saputo negare di fronte alle richieste di molti amici (loro magari si offendono, preferendo compagni) del circolo.

Adesso, tra le mille altre cose da fare, c'è anche questa. Che va fatta bene, ché già ogni giorno c'è sempre il rischio che la più parte dei miei compaesani rifluisca nelle rassicuranti tiepide acque delle "radici", e ci mancherebbe prestare il fianco.

A parte che non starei lì a farmi colpire.

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martedì 27 ottobre 2009

Democratico, popolare, liberale

Pare che finalmente Rutelli si sia convinto a mollare gli ormeggi, per la costruzione di un partito riformista «autenticamente democratico, popolare e liberale». Il finalmente non va letto con quel sorriso d'esultanza, palese o implicito, che molti lasciano trapelare su Facebook o nei commenti riportati in calce all'articolo sui quotidiani online.

Da parte mia, avrei voluto esserci, al teatro Parenti di Milano, per vederglielo dire dal vivo, e - certo - per sentire Dellai che, dopo aver inventato la Margherita, ora guida l'Unione per il Trentino che è, a mio avviso, il più significativo esperimento (ma un esperimento che è il secondo partito della provincia, proprio dopo il PD) di partito-calamita del voto moderato di centro e centrosinistra, con il suo impianto cristiano-democratico e la sua capacità di mettere all'angolo Lega e PDL.

Pace, non sono potuto andare a Milano; per fortuna che Sky ha fiutato l'aria che tirava ed ha proposto la diretta del convegno (penso che ora lo stia rimandando in loop, ma non esageriamo), così mi sono sentito più o meno tutto quello che c'era da sentire, e condivido le preoccupazioni; soprattutto quella, non rivolta soltanto al gruppo dirigente, ma a moltissimi militanti ed elettori, per cui si tratta di persone che negli ultimi vent'anni hanno cambiato quattro partiti ma pensano ancora di essere nello stesso. In totale buona fede, e buona pace del fatto che diventano ogni giorno di più minoritari; se si aggiunge che ormai i voti si prendono dalla mezza età in su (e basterebbe guardare i giovani venuti alle primarie a Scanzorosciate, per confermarlo), non ci attende nulla di buono. Niente di buono ma, certo, molto rassicurante.

Quanto a me, non sono mai stato rutelliano, andando la mia fiducia ad altri personaggi dal passato più lineare. Bisogna, però, ammettere che la stagione della Margherita, senza dubbio foriera di innovazione sul piano politico e senza la quale il PD non avrebbe certo visto la luce, è da ascrivere in gran parte a suo merito, per la capacità di progettare il futuro. Chicca: nella foto, scovata su un vecchio server della Margherita, il congresso fondativo di Parma, nel 2002. Il giovane che, al centro, protende la mano per stringerla al Francescone è un giovanissimo (16 anni) Cassa.
Detto questo, però, ritengo che un minimo di apertura di credito alla nuova linea politica del PD vada concessa. Se non altro, non posso dire di non condividere i toni, a tutta prima pacati e responsabili, di Bersani, molto più di quanto condividessi le urlate di Franceschini, che continuo a ritenere un espediente tattico per smarcarsi da quello e per attirare frange movimentiste in vista delle primarie; espediente non riuscito, o perlomeno non a sufficienza. Dietro i toni rassicuranti, però, non si può fingere di non vedere dove vuole andare a parare. Ma nel PD tutti sanno fare il proprio mestiere, ed io ritengo che Bersani sarà convinto, con le buone o con le cattive, a fare in modo che il PD sia ancora accogliente per chi non viene dalla radice comunista, e non ne vuole sapere di esservi innestato sopra. Diciamo così, conviene anche a lui, conviente a tutti. Perché, vecchio refrain, comunque vada noi vinciamo.

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sabato 24 ottobre 2009

Beat!

C'è chi dice che stiamo invecchiando, appunto perché viviamo una regressione storica dei gusti musicali. Già quest'estate a voi piace "Un'estate al mare" perché siete vecchi, ed in effetti abbiamo avuto come colonna sonora tutto un frullato di trash ottantina, che ancora in qualche angolo di chiavette usb o di raccolte di cd per l'autoradio sopravvive.

Ma il colpo di grazia è venuto tra settembre ed ottobre, con la riscoperta della musica beat degli anni Sessanta, dagli Equipe 84 ai loro mille cugini o emuli.
Fiutato il colpo, vado a cercare tra i cataloghi delle varie librerie internettiane la Messa dei Giovani, non il primo ma certo il più genuino esempio delle cosiddette messe beat che hanno avuto i loro quindici minuti di notorietà sul finire del decennio, in piena riforma liturgica; forse poco più di un quarto d'ora, ma certo non si può dire che siano famose. Per dire, non ne avevo mai ascoltato mezza, mentre l'idea di questa musica del diavolo in chiesa era più o meno circolata in qualche ambiente di liturgisti che frequentavo.

Ier l'altro è così arrivata a casa mia, ben impacchettata, questa composizione del maestro Giombini eseguita in italiano dal complesso sardo de I Barritas ed in inglese dai The Berets.

Spero che sia una cosa passeggera perché altrimenti sono messo male, ma mi fa diventare matto. Certo, con simili arrangiamenti non ce la vedo proprio suonata e cantata in chiesa - pur avendo la forma di una Missa con tutti i carismi, introito gloria graduale alleluia... - ma alcuni dei pezzi non sfigurano accanto ad alcuni altri pezzi "contemporanei" che ogni tanto si infilano, specie a Scanzo. Anzi, se un pregio bisogna riconoscere allo spirito generale della messa, è che non è patetica per niente (a parte forse l'Offertorio, ed infatti la suora lo conosceva). E poi, pur essendo il Gloria il pezzo più sopravvissuto alla sua epoca (questa messa fu eseguita per un paio d'anni all'Oratorio San Filippo Neri di Roma, dal 1966) - a me sembra troppo giojoso - il mio preferito è senz'ombra di dubbio il Santo, di cui - ora che lo ascolterete - vi innamorerete anche voi. Ecco.

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venerdì 25 settembre 2009

Conseguenze

Fatto
A mia sorella piace cucinare

Ne consegue che organizza una cena con i suoi amici
Ne consegue che una sera di settimana scorsa fanno tardi giù in taverna
Ne consegue che, quando hanno finito, c'è una sua amica da accompagnare a casa
Ne consegue che deve tirar fuori l'auto in retromarcia
Ne consegue (sapendo guidare come io so cucinare) che demolisce specchietto (e non solo) dapprima contro il cancello, poi contro il muro in fondo alla discesa
Ne consegue che si deve procurare uno specchietto di ricambio
Ne consegue che lo si procura da uno sfasciacarrozze
Ne consegue che bisogna chiamare qualcuno per montarlo, e chiamo un mio amico
Ne consegue che viene da me ieri, e dapprima sostituiamo il pezzo, poi tentiamo altre varie riparazioncine.
Ne consegue che scende anche mio fratello, per qualche motivo eccessivamente di buon umore
Ne consegue che lancia idee strampalate, che noi perlopiù bocciamo
Ne consegue che s'ingegna a trovare qualcosa a cui difficilmente direi di no, e trova la montagna
Ne consegue che inventa di andare al Curò, l'indomani, e che riesce a convincere un numero sufficiente di camminatori
Ne consegue che, indipendentemente dalle condizioni meteo, stamattina alle sette si parte con l'AX rattoppata e ripulita, destinazione Valbondione
Ne consegue che ci mettiamo sul sentiero alle otto e dieci, incuranti di brume e nebbie e del fatto che non si vede la testata della valle
Ne consegue che, all'altezza del bivio con la Direttissima, inizia a piovere a catinelle
Ne consegue che ci facciamo la Direttissima sotto l'acqua, ed arriviamo al rifugio (per fortuna aperto, con questa ormai relativamente nuova gestione) peggio di pulcini bagnati.
Ne consegue che passiamo mezza mattinata a scaldarci al fuoco ed a giocare alla Torre di Hanoi fino all'ora di pranzo, che consumiamo in parte al sacco in parte caldo.
Ne consegue, ovviamente, che a parte la prima mezz'ora scendiamo che non piove e quasi quasi sembrerebbe poter uscire il sole.
Ne consegue che stasera andrei anche a letto presto, ma tanto non posso

La foto non c'entra niente con la camminata (forse come metafora dell'acqua a catinelle), serve per dare una rappresentazione grafica del concetto di "cascata di eventi"

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mercoledì 2 settembre 2009

Quando ci si perde

Come ormai si è ampiamente dimostrato, non è che io riesca a stare in casa, fermo e calmo, per più di tre giorni di fila. E così, avvicinandosi pericolosamente il limite, ier l'altro - che sarebbe lunedì 31 - sono partito per un'escursioncina che doveva essere facile facile, salire al rifugio Albani (1940 m) dalle baite Möoschel che sono sopra Valzurio, in comune d'Oltressenda Alta (1265 m). Poiché il sito del CAI di Bergamo, che ha una bella mappatura elettronica dei sentieri, mi dava tre ore di tempo, avevo fatto conto di salire in un paio d'ore, star su tranquillo, scendere di volata e - magari - risalire per un pezzo anche all'Olmo, che avrei fatto due rifugi in un giorno e non è cosa da buttare via.

Invece, sotto molti punti di vista la gioranta è stata sfortunata; in primo luogo perché la strada fino alle baite è percorribile solo da fuoristrada, previo pagamento di tariffa, e con la mia macchinetta mi sono dovuto sobbarcare tre quarti d'ora buoni di cammino in più, partendo da Spinelli che è l'ultimo luogo in cui arriva l'asfalto. La cosa più grave è, stata, nondimeno, imboccare il sentiero sbagliato (CAI BG 314 invece di 311) e salire verso il passo degli Omini; e - essendo già salito di duecento metri almeno prima di rendermene conto, perché si era nel bosco - decidere di non tornare indietro, ma di attraversare la valle fino a raggiungere il sentiero vero rimanendo in quota, tagliando per pascoli e sperando di trovare le tracce di sentiero che la cartina Kompass Foppolo-Valle Seriana indica. Dal file di Google Earth, che siete invitati a scaricare, con il percorso si dovrebbe poter evincere il mio percorso, in cui ho sì trovato vecchie tracce di sentiero, ma così labili e sconnesse da non riuscire a seguirle per più di cinquanta metri. Poi, va da sé, finalmente sono riuscito a ritrovarmi sul sentiero vero ed in breve a raggiungere l'Albani, rinunciando nel ritorno all'Olmo perché si era perso parecchio tempo, tra il tratto in più e la mia gita fuoristrada.

Nel bel mezzo della mia traversata nel deserto mi sono ritrovato in una conca sotto la parete del Ferrante, nella quale troneggiava un vecchissimo ed abbandonato capanno da pastori, che ha però la peculiarità di aver scritto, a caratteri cubitali, in minio, sulla lamiera arrugginita, "1961" e "S.A.R" (non saprei dire con certezza se i punti ci sono o meno, io ce li ho visti), e poi in piccolo graffiati mille nomi di persone passate di lì, dai tipici cognomi Oltressendesi, tipo Baronchelli. Il punto è, a mio avviso - bisogna sì considerare che avevo sbagliato sentiero, ma poi ho sempre saputo con discreta precisione dove fossi - questo; ecco, a tal proposito invoco i miei lettori, ma più facilmente i visitatori occasionali, che sappiano darmi informazioni sul capanno, e su eventuali ascensioni al Ferrante da quella posizione (vedevo abbastanza distintamente un ghiaione che mi avrebbe portato, credo, a scollinare dall'altro versante, un duecento metri sopra il punto in cui mi trovavo).

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lunedì 31 agosto 2009

Di qui passò Francesco - Le foto

Chiedo scusa ai lettori, ma ormai questo Facebook fa talmente tutto in uno che proprio non mi è venuto in mente di segnalare altre foto oltre quelle che ho messo tappa per tappa.

Non che siano tutte quelle scattate da mio fratello (che sono troppe, e perlopiù inutili), ma qualcosa in più si trova in questo album pubblico di Facebook - appunto.

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sabato 29 agosto 2009

Di qui passò Francesco - Mappe e bilancio


Inizio subito deludendo i lettori attenti alle pieghe della mia psiche; con bilancio non intendo introspezione, cosa mi aspettavo e cosa mi ha lasciato quest'esperienza, ma piuttosto analisi complessiva del cammino dal punto di vista escursionistico

Per prima cosa, segnalo il must delle escursioni che riporto su questo blog, e cioè il file .kmz che riporta i tracciati delle tappe su Google Earth (o meglio, riporta i tracciati così come li ho percorsi io, e quindi tiene traccia di scortaröle, deviazioni ed errori), e - novità di questa edizione - include i link diretti ai post del blog che le descrivono.

Per quanto riguarda il giudizio sul cammino in generale, bisogna per prima cosa dar conto del fatto che, in giro per la rete, esistono opinioni virulente, che lo stroncano indicandone tutti i limiti, anche in maniera ingenerosa; per quanto non possa non concordare con lo scrivente, e pure a mio avviso il percorso è tutto fuorché per famiglie. Certo, tutti noi siamo arrivati, per quanto acciaccati, fino in fondo, ed io - ad avere un'altra settimana - non mi sarei tirato indietro dal proseguire fino a Poggio Bustone. Ciò non toglie che, se i pellegrinaggi organizzati pianificano di metterci più di dieci giorni, per fare le prime sette tappe, qualcosa vorrà pur dire. Poi ci sono le storie mie, per cui ho apprezzato molto le prime due tappe, che in un modo o nell'altro somigliavano a tappe di montagna, e molto meno quelle che si snodavano sui crinali assolati delle colline, o - peggio ancora - tagliavano pianure su lunghi inesorabili rettifili.

Dal punto di vista tecnico, gli scarponi d'alta montagna che ho portato, e che mi hanno con ogni probabilità incrinato un osso del piede destro, erano del tutto eccessivi; anche se nelle prime due tappe - appunto, si diceva - le scarpe da ginnastica erano un po' leggerine e avrebbero mancato di grip, da Sansepolcro in poi erano più che adatte; solo, c'era il rischio che si infradiciassero, beccando una giornata di pioggia. Poi, con tutto la deferenza che si può portare a chi ha individuato il percorso e scritto la guida, troverei assai azzardato procedere solo con quella o - peggio - affidandosi ai tau gialli che di quando in quando appaiono; come segnavia, ci sono dei cartelli metallici molto accurati soprattutto dal punto di vista dei tempi di percorrenza (a chi mai potrà interessare, però, sapere che gli mancano 6.22 ore a Gubbio?), che però da Gubbio in poi non sono più riportati, ma la segnaletica complessivamente è caotica, e caotizzata dal fatto che si contendono l'attenzione "Di qui passò Francesco" (frecce e tau gialli, cartelli metallici del CAI con tau in evidenza), "Cammino di Assisi" (frecce verdi), "Cammino di Francesco - Via Francigena" (cartelli metallici gialloblu) e, naturalmente, il CAI - che come spesso mi è capitato di vedere in Appennino, segnavia (voce del verbo segnaviare) con massima accuratezza le strade asfaltate, ed è carente nei tratti di sentiero. A mio avviso, ma un po' lo dico anche perché è il mio mestiere, durante le escursioni, è indispensabile avere con sé mappe che diano un minimo di possibilità di orientarsi e trovare punti di riferimento anche esterni al cammino. Purtroppo, le carte Kompass iniziano ad essere disponibili più o meno dalla Madonna di Montecchi in poi; prima, abbiamo trovato in loco una mappa della Comunità Montana Alto Tevere Toscano o come si chiama, ma comunque da Città di Castello a S. Benedetto Vecchio si va quasi completamente alla cieca, e questo - a mio avviso - è un problema specie per chi affronta il cammino da solo o quasi (anche se pure noi abbiamo avuto il nostro bel da fare, a capire dove si fossero persi i nostri colleghi, durante la terza tappa).

Per quanto riguarda il percorso, devo dire che a tratti lo trovo insensato. O, quantomeno, bizzarro - se l'obiettivo è andare ad Assisi, soprattutto. Se divaghiamo, e decidiamo che l'obiettivo possa essere fare un duro trekking per monti e colli, tra Toscana ed Umbria, allora diverse scelte vengono messe sotto una luce diversa; ad ogni modo, rimangono e rimarranno sempre quelle tre-quattro deviazioni che secondo me vanno seriamente considerate, in un'eventuale riedizione della guida. Alcune siamo riuscite a prenderle, durante questa settimana, altre sono rimaste solo sulla carta, perché sconsigliato di lasciare la via vecchia per la nuova. Mi viene quasi voglia di rifarlo, per dimostrare che avrei avuto ragione io...

Nella foto, il "logo" del pellegrinaggio: zaino e Basilica

Le puntate del Diario del Cammino:

  1. Giorno 0
  2. Compagni di cammino
  3. Prima tappa (La Verna - Cerbaiolo)
  4. Seconda tappa (Cerbaiolo - Sansepolcro)
  5. Terza tappa (Sansepolcro - Città di Castello)
  6. Quarta tappa (Città di Castello - Pietralunga)
  7. Quinta tappa (Pietralunga - Gubbio)
  8. Sesta tappa (Gubbio - Biscina)
  9. Settima tappa (Biscina - Assisi)

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19 agosto - Settimo (e ultimo) giorno

Sulla carta questa tappa è lunghetta, ma siamo rinfrancati dal fatto che sia l'ultima. Passando accanto al castello di Biscina si scende dapprima per sterrato, poi per alcuni ripidi tratti di sentiero - che sembrano messi apposta per ostacolare quanti, come mio cugino Davide, procedono coi sandali per via delle vesciche (sandali che, dopo aver provato praticamente quelli di tutti, in data odierna sono i miei - ma se avessimo saputo prima che gli sarebbe venuto così facile camminarci, glieli prestavo già da un paio di giorni) - alternati (perché mi sembra giusto) con altrettanto ripidi strappi in salita, fino alla strada - direi di servizio, visto che è piena di segnali di divieto d'accesso e la carta Kompass ritiene di metterla sotto il teorico livello di massimo invaso del, per il lago di Valfabbrica, che è poi una specie di gigantesco stagno puzzolente causato dallo sbarramento del Chiascio da parte di una diga ciclopica, che chissà se è mai servita a qualcosa di serio. Dopo averla seguita per qualche chilometro fino alla diga, ignorando alcuni segnavia che, stando alle mappe, ci avrebbero offerto certo la visita di una pieve e di un grazioso agglomerato di case, ma regalato un su e giù inutile, ci mettiamo nella piana del Chiascio, dalla località Barcaccia dove un tempo partivano i traghetti per l'attraversamento del fiume (che mi chiedo come sia mai stato possibile navigare senza grattare il fondo), che seguiamo su strada bianca dapprima in pieno sole, poi ombreggiata fino alle porte di Valfabbrica, che raggiungiamo in salita, e sono già due ore e tre quarti dalla partenza.

Dopo esserci procacciati il pranzo, proseguiamo, infilandoci fortunatamente presto, dopo pochi ma intensi minuti di rebatù sull'asfalto, in un fossato/valletta detto Fosso della lupa, in cui si sente l'insolito - per questo pellegrinaggio, direi che è la prima e l'unica volta che capita - gorgogliare di un ruscello non in secca che ci accompagna per quasi tutta la - peraltro assai ripida, a tratti - risalita, che si conclude sul crinale della collina. Altri duecento metri di strada bianca e siamo al GPM della tappa odierna. Su strada asfaltata, in lievissima discesa, giungiamo a Casa Coppe, dove attendiamo gli altri e mangiamo, ospitati per quanto concerne acqua, vino e grappa - prodotta a Pedrengo, ironia della sorte - dai gentilissimi agricoltori. Si scende poi, tutti insieme, dapprima su strada e poi per sterrato fino a poco prima di un poggio (Assisi, ormai, è visibile all'orizzonte dal GPM, ma il Subasio si intravede anche da Biscina) che, tra qualche imprecazione di troppo, risaliamo per ridiscendere ai piedi della collina su cui sorge Assisi. Con qualche incertezza, in silenzio, tentiamo dapprima di raggiungere la basilica superiore risalendo nel bosco, ma il segnavia del CAI si perde nella fratta, e noi con lui. Tornando sulla strada cerchiamo qualsiasi risalita purché non quella segnata sulla guida, che ci porterebbe su fino al cimitero; e troviamo una strada pedonale, chiaramente in ripidissima salita ed in pieno sole; sbuchiamo alla Basilica Inferiore, saliamo la rampa di scale e ci ritroviamo (con Davide, che sotto l'effetto dell'Aulin ci ha preceduto) nel piazzale della Superiore, per concludere il pellegrinaggio.

Nella foto, noi buttati sul piazzale della Basilica Superiore

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18 agosto - Sesto giorno

Dopo una lunga colazione, trascinata tra panifici, pasticcerie e bar di Gubbio, partiamo per quella che dovrebbe essere una tappa di decompressione, ma che si rivelerà delle peggiori, ancorché breve; forse anche per l'ondata di afa che sembra aver investito l'Umbria, considerato che - a sera - scopriamo essere morta una persona di caldo, proprio a Gubbio. Si scende da Gubbio e si esce dalla città, dopo aver gettato un rapido sguardo alla chiesa della conversione del famoso Lupo, prendendo poi un lunghissimo pianeggiante asfaltato rettifilo che taglia la pianura come un coltello, quasi esattamente in direzione sud, fino a Ponte d'Assi, e poi si porta - senza quello spreco di asfalto che sono i tornanti, ma direttamente per la linea di massima pendenza - fino a quota 560, con assurde rampe. Di lì si prosegue il classico saliscendi da crinale, ben presto lasciando l'asfalto per imboccare una delle solite strade bianche, fino a casa Pratale, che sovrasta un bel castello riattato e, dall'altro lato del vallone, un'abbazia che, non fosse che è fuori strada, magari saremmo anche passati a visitare. Poco dopo casa Pratale, dopo un paio di tornanti in discesa che nascondono una provvidenziale fonte, si giunge a Santa Maria delle Ripe, piccola cappella-tabernacolo con una specie di libro di vetta, dove ci si ferma per pranzare. Sembra che il cammino sia più breve e facile del solito, e più breve lo è davvero, stando alle mappe; ma per quanto riguarda la semplicità avrei due o tre cosette da dire, considerato che dopo pranzo saliamo leggermente fino all'eremo di San Pietro in Vigneto, e poi scendiamo sempre su strada bianca per qualche tratto, prima di immetterci nel delirio. Scendiamo ripidissimi in una specie di fosso di scolo, fino a raggiungere il fondo di una valletta, sovrastati dal viadotto di un acquedotto (o gasdotto, o altro dotto); risaliamo poi dall'altro versante, per bosco e boscaglia, fino ad una vecchia chiesa sovrastata dal castello di Biscina, nostra meta, che sembra a portata di mano appena una sessantina di metri più in alto. Sembra, perché scendiamo nuovamente l'ennesima stretta ed ombrosa valletta, guadiamo un torrentello e risaliamo l'altro versante, di terra nuda sotto un sole battente per oltre un centinaio di metri. Dove il sentiero, ormai tornato viottolo, sbuca sulla strada - asfaltata - che percorre il crinale c'è una presa d'acqua (accanto ad una sorta di paradiso del barbecue) che al tempo stesso mi salva la vita e me l'accorcia parecchio, in quanto - abbondantemente dissetato, e praticamente fradicio di acqua e sudore - sbucando sul crinale battuto dal vento poco ci manca che mi venga una congestione immediata (nonostante i minimo trentacinque gradi, mi tentava la giacca a vento...). Sono poche centinaia di metri, praticamente in piano, prima che si entri nella - spettacolare - tenuta Biscina dove, insieme alla seconda piscina che salto della settimana, ci vengono assegnati due appartamenti in una villetta, vicino ad altri pellegrini - tra cui una berlinese con bambino al seguito che compie il nostro stesso cammino ma con mezzi di fortuna. A ben vedere, domani sera già saremo ad Assisi ed il cammino sarà finito. A questo punto, siamo quasi tutti dell'idea che era ora.

Nella foto, la pausa pranzo presso S. Maria delle Ripe

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giovedì 27 agosto 2009

17 agosto - Quinto giorno

Dapprima si scende fino al fondo della valle, tra discussioni (se seguire il segnavia o il buon senso) che lo scoprire che le diverse vie si riuniscono poco prima della risalita in Pietralunga sopisce - con il buonumore che sempre caratterizza le prime ore di marcia. Dopo la salita e la brevissima visita nel bel borgo di Pietralunga - visita che serve più che altro a fare la spesa per la giornata - scendiamo in una valle isolata, sul nastro d'asfalto (valle ignota alla nostra guida, che ci faceva fare tutto un altro giro, ma noi seguiamo il segnavia che anche nei giorni precedenti si sono dimostrati più saggi, e ci consoliamo pensando che, nel paio d'anni intercorso tra l'edizione in nostro possesso ed oggi, appunto siano stati razionalizzati alcuni tratti di percorso, già di per sé non brillantemente saggio, visto che predilige lunghi giri altalenanti ai percorsi più diretti) fino ad incrociare la carrareccia che sale al nucleo abitato di San Benedetto Vecchio (dove torniamo ad essere d'accordo con la guida) e brevemente scende al vecchio - chiuso ma apparentemente nuovo di pacca - monastero. Si scende ancora, lungo la strada asfaltata che condurrebbe nella piana egubina, fino all'incrocio tra la strada bianca, indicata sia dalla guida che dai segnavia e che con lungo giro ed insensata salita ci porta a scendere nella valle al di là dei poggi che ci sbarrano la strada, ed il sentiero - che si vede benissimo tagliare come una lama e perpendicolare alla linea di massima pendenza - che ci permetterebbe di scavalcarli, seppure passando per la cima di uno di essi rimanendo comunque a quota complessiva più bassa. La mia stima è che, scavalcando appunto questo Monte Spesce, alto settecento e rotti metri, si risparmierebbe almeno un'ora, ma forse anche un'ora e mezza di cammino, per giunta evitando di superare gli ottocento metri del Poggio del Prato. Il fattore, ma più che altro le sue vacche e - soprattutto - i suoi tori al pascolo ci fanno optare per la strada più lunga, mentre un gruppetto di noi, i più disastrati, decidono di scendere per la strada asfaltata che - si calcola - comunque è facilmente percorribile e fa risparmiare parecchio tempo. Dopo, infatti, che la tappa di ieri ed il primo paio d'ore della tappa odierna si erano svolte senza la "copertura" di una carta diversa da quella, abbastanza limitata, riportata sulla guida, siamo finalmente entrati nella zona coperta dalla Kompass Gubbio-Fabriano, e quindi sappiamo valutare con precisione eventuali percorsi alternativi.

Ci aspettava una lunga risalita su una delle consuete abbacinanti strade bianche, tra vecchi cascinali in avanzato stato d'abbandono, fino ad una bella pineta sommitale ed una ripidissima - ai limiti dello spaccagambe discesa che ci riporta su una strada asfaltata - dall'altro lato del famoso Monte Spesce. Lunga e riarsa traversata, tra saliscendi e senza un goccio d'acqua - da Pietralunga, neanche una stilla - fino alla Madonna dei Montecchi, dove invece di acqua ce n'è parecchia, ed anche ottima - almeno per gli standard dell'acqua umbra. Eccetto il don, che dapprima per un malinteso è corso avanti (pensando aver io tagliato per sentieri che in effetti avevo indicato, ma che mr. Gap aveva sconsigliato) e poi ha deciso di proseguire fino a raggiungere quanti scendevano per strada, attendo gli altri in modo che ci si fermi insieme a pranzare. Sollecitati da un violento temporale che si gonfiava alle nostre spalle ripartiamo fino ad arrivare alla frazione di Loreto, appena in tempo prima che si scateni l'Apocalisse, da cui ci ripariamo rifugiandoci - grazie al sacrista - nella bella chiesa, dove ci fermiamo per un'oretta in attesa che passino grandine, acqua e fulmini (visto che pochi si fidano della possibilità di costruire una gabbia di Faraday unendo i bastoncini telescopici).

Non ci pentiamo di aver perso un'ora perché il temporale ha - fortunatamente - rinfrescato l'aria e l'ambiente, e quindi scendiamo rilassati (io ho rimesso gli scarponi, temendo più l'umidità del dolore, e del resto i sandali favoriscono le vesciche, che infatti dopo quasi tre giorni di tali calzature si sono formate) dapprima a Monteleto, indi nel bel mezzo della piana di Gubbio, che ancora non si vede nascosta da un cementificio. Attraversiamo questa piana noiosa per qualche chilometro, prima che la città ci si stagli dinanzi, e con la città la prima gelateria del Pellegrinaggio, e con la prima gelateria le strette stradine per cui s'ha da inerpicarsi fino a giungere, abbastanza stremati, al convento delle Domenicane dove siamo ospitati. In effetti, ne valeva la pena, del tramonto a Gubbio. E della serata, giacché si cena in un buon ristorante e si passeggia per le vie, fin troppo animate per via della Missione Giovani dei Frati Minori di Sicilia, che spero per loro che con quel trambusto convertano qualcuno, ma ci credo molto molto poco. A me nauseavano, con trenini e coreografie da inno del CRE sopra un impossibile pout-pourrì di canti sacri e profani. A meno che - certo - dietro i canti profani si nascondesse qualche segreto messaggio subliminale interpretabile in senso cristologico. Tipo oh Susanna non piangere per me, piangi piuttosto sui peccati dei tuoi figli, durante la via Crucis.

Nella foto, alcuni di noi, al tramonto, sul parapetto della piazza di Gubbio, quella dove dovrebbe esserci la stazione dei Carabinieri (stando a don Matteo) e invece c'è un noiosissimo museo.

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16 agoto - Quarto giorno

Partiamo al mattino, dopo la Messa ed una colazione più che degna, dalla Villa Sacro Cuore di Città di Castello; il piede non è migliorato, nella notte, e quindi ho deciso di affrontare tutta la camminata del giorno con i sandali - d'altra parte, stando alla guida ed al buon senso non dovrebbero esserci tratti di sentiero, ma il nostro cammino si consuma tutta tra strade sterrate o asfaltate. Per viottoli e calmi saliscendi, attraversando un "poligono" d'addestramento per cani da caccia - di animali al passo, direi - si giunge fino alla strada provinciale Città di Castello-Pietralunga, che inesorabile si infila dritta come un ago tra i colli, e che seguiamo per alcuni chilometri. Ce ne stacchiamo per salire - ancora, seguendo i segnavia ma contro il parere della guida - sulla destra verso il crinale della collina, circondati da vigneti elettrificati e magra riarsa vegetazione. Giunti al crinale ritroviamo l'asfalto, che seguiamo per innumerevoli saliscendi sempre sotto il pieno sole, non bastando i rari alberi a garantire l'ombra. Qualcuno deve aver utilizzato questo tratto di strada per una gara ciclistica, perché dipinti sull'asfalto ci sono ancora le scritte che misurano il nostro percorso, di cinquecento metri in cinquecento metri, fino al gran premio della montagna che corrisponde con il termine dell'asfalto e l'inizio dello sterrato, che dal punto di vista climatico è ancor peggio perché tutto quel bianco riflette ed abbacina, in modo che il caldo non ci picchi solo in testa ma salga anche dal basso; sembra di stare in un forno, ma in uno di quelli studiati perché il calore si diffonda uniformemente. Finalmente, stando alla guida dopo cinque chilometri di questa tortura, arriviamo in lieve discesa alla Pieve de'Saddi (una chiesina con annesso cimitero, abbandonati e con sorgente disseccata ci avevano fatto un po' temere) dove ci sono acqua ed ombra a volontà, per un parco pranzo, un po' di riposo ed una partita a carte.

Il proseguo è dapprima in discesa, fino a raggiungere la strada asfaltata a fondo valle, e poi in salita, piuttosto dolce, fino allo spartiacque con Pietralunga, che però ci rimane nascosta sulla destra. Ultimo delirante sforzo in salita per raggiungere l'albergo, che si trova in località Candeleto, che - guardando le strutture, direi negli anni Settanta - penso volesse diventare una sorta di comprensorio di villeggiatura affacciato su Pietralunga - ed agli anni Settanta sembra pure che risalgano gli ospiti del nostro albergo -, con campi da tennis, piscina, campeggio ed appunto il nostro albergo dove chi s'è ricordato di mettere nello zaino il costume da bagno si gode una nuotata nella piscina privata. Del resto, la tappa è stata sufficientemente rapida per arrivare in tempo utile, verso le quattro del pomeriggio. In effetti, pare che - a parte gli ideologicamente contrari alla piscina - io sia l'unico ad essersi dimenticato il costume, ma mi consolo con il whisky&soda più economico della storia.

Nella foto, a bordo piscina

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mercoledì 26 agosto 2009

15 agosto - Terzo giorno

Si scende dal Convento dei Cappuccini, un po' dolorosamente per quel fastidioso dolore al piede insorto il giorno prima, - seconda lettura, l'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte - fino alla città, e si attraversa tutta la pianura per vie che tagliano i campi, in alcuni punti a ridosso del muro di cinta della Buitoni. Ad un certo momento, col don, si devia per sentieri lasciando il resto della comitiva a rosolare sull'asfalto, mentre noi lambiano campi di tabacco, percorriamo tratti di quello che ha tutta l'aria di essere un semplice fosso - con tanto di ortiche - ed arriviamo sulle pendici del colle su cui sorge Citerna, nostra tappa intermedia abbastanza in anticipo per evitare la salita dell'inutile poggio che la guida indica e che gli altri, ligi al dovere ed ai segnavia, affrontano.

Il problema della giornata, che sarà poi - in realtà - il problema più grosso dell'intero pellegrinaggio, è che il gruppo di coda, formato da quattro di noi, non sopravvive allo scavalco di questo poggio, che la guida segnala per l'orribile campanile moderno, che certo è moderno ma ho visto di peggio. Dopo averli aspettati, insieme agli altri che a questo punto ci avevano raggiunto dove inizia la salita seria per Citerna, a lungo e telefonicamente contattati, e dopo aver dedotto, stanti le mappe, che tanto più fuori strada di così era impossibile, ed averli indirizzati per Monterchi via strada provinciale, li abbandoniamo un po' al loro destino e risaliamo a Citerna, bel borgo
medioevale - non so se uno dei borghi più belli d'Italia, come recitano i cartelli ad ogni angolo, ma senz'altro merita di farci un salto - presso cui facciamo una prima pausa, ma. Ma, sia per venire incontro a quelli che sono fuori strada, e che dovrebbero giungere non a Citerna, bensì a Monterchi, che per venire incontro al don che vuole vedere la Madonna del Parto, conservata presso il museo di Monterchi stessa, decidiamo che non è Citerna il luogo deputato al nostro pranzo, ma Monterchi, che tanto bisogna semplicemente scendere dalla collina, dal lato opposto rispetto a quello da cui siamo saliti. Io parto un po' prima, perché il piede protesta sempre di più, specie in discesa, e messo sulla cattiva strada da un'indigena imbocco un sentiero, o una traccia di, che attraversa in ripida discesa dapprima il deserto, poi il Getsemani, in cui m'oriento seguendo il letto di un torrente disseccato, fino ad arrivare sul Lago di Tiberiade, che con una certa difficoltà aggiro ritrovandomi poi in pochi minuti a Monterchi, non dove mi aspettavo di arrivare, ma di lusso - per come s'era messa. Devo abbandonare gli scarponi e ripiegare sui sandali. A Monterchi (che, ovviamente, non è in pianura, ma su una piccola collina che va brevemente percorsa fino in cima) pranziamo, sempre in vana attesa delle pecorelle smarrite che, stando a quanto ci riferiscono, sono riuscite a sbagliare ulteriormente ed a dirigersi dalla parte opposta rispetto a Monterchi, una volta trovata la strada "giusta". Ci immettiamo anche noi sull'apparentemente lunghissimo ed apparentemente infinito e non apparentemente, ma veramente torrido nastro d'asfalto che correrebbe dritto fino a Città di Castello, nostra meta, per lasciarlo dopo poche centinaia di metri risalendo un colle (scendendo da Citerna, avremmo comunque dovuto risalirlo, quindi siamo rientrati sul percorso standard) fino alla sommità - l'ultimo tratto è un bello strappo - dove troviamo un agriturismo dal quale quasi non ci lasciano più andar via, tanto sono ospitali ed intenzionati a rimpinzarci. Discendiamo al fondo dall'altro lato e scavalchiamo un altro colle, giungendo a Lerchi. Qui, anche data l'ora, ma soprattutto le nostre condizioni, abbandoniamo ogni velleità di risalire (peraltro inutilmente) all'Eremo del Buon Riposo (che - per come eravamo messi - più facilmente sarebbe divenuto l'Eremo dell'Eterno Riposo), ma seguendo la strada con scorciatoie varie proseguiamo nella piana fino a Città di Castello, che purtroppo va attraversata tutta, in direzione terme, e - non paghi - va lasciata per risalire su un ulteriore poggio, per giungere alla lontana (ma confortevole) Villa Sacro Cuore, dove alloggiamo. Il gruppo dei quattro dispersi, a cui s'è aggiunto Marco che ci avrebbe raggiunto in giornata, durante la tappa, arriva a destinazione - ripescato dai gestori della Villa - poco prima che noi ci si metta a cena. Anche per oggi, missione compiuta.

Nella foto, l'arrivo a Città di Castello, ignari che ci volesse ancora un'ora abbondante di cammino.

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14 agosto - Secondo giorno

Scendendo dall'eremo, in dieci minuti si raggiunge l'inizio della tappa. che ci porta a rialzarci senza troppa fretta tra boschi e pascoli - che, credo per via dei lupi o di chissa cos'altro, qui sono tutti recintati, ed è un continuo apri e chiudi di improvvisati cancelli di filo spinato - tagliando in costa il monte(?) sopra l'eremo stesso, portandosi in poco più di un'ora al Passo di Viamaggio, donde transita la civiltà, e scendendo il quale dalla parte giusta i cartelli ci assicurano si giunge a Rimini. Al bar-ristorante che si trova proprio sulla linea di spartiacque ci fermiamo per una sostanziosa colazione, visto che fino a questo momento siamo andati avanti solo a barrette. Tirato il fiato, partiamo in decisa salita fino alla vetta del Monte Vere, attraversando in modo rocambolesco (visto che ho qualche difficoltà a capirne il meccanismo d'apertura) diversi di quei cancelli di fiolo spinato ed infilando, sempre per bosco, anche tratti assai scivolosi. Terminato il su e giù, che ci regala impagabili scorci su...altri colli, ci si mette su una strada bianca che sarà la nostra lunghissima tortura fino al Pian delle Capanne e oltre, anche a dispetto della guida che ci indirizza per sentieri, mentre cartelli e segnavia ci fanno attraversare greggi di pecore - e qualcuno di noi si cimenta nell'antica occupazione della pastorizia per aprirsi la via - fino alla località (meglio direi: alla fattoria) di Germagnano, dove ci fermiamo per pranzo presso un abbeveratoio che sputa fuori acqua - e questo è un già di per sé un evento - per di più buona. Per scendere dei pochi metri che ci separano da Montagna - disgraziatamente sull'altro lato della valletta del torrente Afra, il percorso della guida ce ne faceva scavalcare le sorgenti - raggiungiamo per erto sentiero il fondo, guadiamo il torrente indirizzati da un misterioso personaggio che i più non ricordano di avere visto e risaliamo in paese, sbucando presso il cimitero, e senza idee della strada che possano aver preso i primi del gruppo, visto che alcuni altri ed io ci eravamo attardati a sistemare gli zaini dopo pranzo.

Con la speranza che i nostri colleghi abbiano preso la via giusta e non si siano lasciati tentare dalla strada asfaltata che comodamente scende a Sansepolcro, nostra meta, parto di gran carriera per la lunga traversata in direzione dell'Eremo di Montecasale, che alterna tratti boscosi e mediamente umidi a riarsi ed assolati passaggi in ambiente precalanchivo (se esiste la parola, e se non esiste si capisce cosa significa); sommato questo fatto al fatto che procedevamo sotto il sole delle due-tre del pomeriggio, si capisce con quanta gratitudine ci siamo attaccati al filo d'acqua pretiosa et utile et humile et casta che sgorgava dalla fontanella presso l'eremo; eremo da cui, causa un paio di errori di valutazione miei che ci hanno fatto perdere nella boscaglia, e passare la voglia di cercare il sentiero vero per scendere a fondovalle, abbiamo raggiunto Sansepolcro in qualche chilometro di strada asfaltata in discesa, che ha messo a dura prova il mio piede destro che ancora mi duole in modo sospetto, ed una volta entrati in paese, ingannati da indicazioni contraddittorie, abbiamo consumato le ultime energie in una sudata e disperata ricerca del Convento in cui, con altri pellegrini, abbiamo alloggiato.

Nella foto, una rara immagine in cui bevo - per la prima ed unica volta del pellegrinaggio - da una bottiglietta di integratori salini. In mano, cosa tutt'altra che rara, una carta dei sentieri.

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lunedì 24 agosto 2009

13 agosto - Primo giorno

Dopo essere arrivati alle 12.00 del giorno 12 al Convento Francescano ed il pomeriggio (ultimo pranzo civile, al ristorante) sulle balze del Monte Penna, messa e vespro solenne (ehi! è il Beato Giovanni da La Verna, c'è il cardinale di Firenze in persona), cena tra noi ed un accenno di stelle - se ne avessi vista qualcuna, sarei stato troppo impegnato a decidere se era davvero una stella per sfruttare il desiderio (la definizione, comunque, è "sassi che bruciano", per amor di poesia), e comunque l'avrei vista in comproprietà, e mi insegnano che le stelle valgono solo se esclusive. Le suore - che sono un po' pasticcione - hanno letti solo per sette, ma un po' la Provvidenza un po' noi che aiutiamo la Provvidenza ci sistemiamo, e più o meno dormiamo.

Il giorno seguente - che è poi quello del titolo, al termine del quale scrivo - partiamo, troppo tardi, per le otto ore segnate sulla guida), ma ben presto ci accorgiamo che - fischi - il tempo di percorrenza segnato è un po' troppo pessimistico. Nel frattempo abbiamo pregato le Lodi e fatta la meditazione del giorno (Perfetta Letizia), ma più che questa sono le prime che mi parlano, con l'inno che invita alla mitezza mentre io - nella prima giornata - ho abbondantemente dato sfogo a tutta l'intrattabilità-Casati, specie con le due o tre adolescenti a noi aggregate - ed ho come l'impressione che il fervorino sia rivolto a me. Per oggi provo a fingere di cambiare, anche se non è semplice.

Comunque, per l'ora di pranzo siamo saliti al punto più alto ed abbondantemente scesi, fino a Pieve S. Stefano, in tempo per giocare con un microgatto e prendere sulla testa un violentissimo temporale, fortunatamente alleggerito dalla disponibilità dei Pievesi che ci hanno prestato un androne. Siamo poi corsi (lungo la strada sterrata e non per il sentiero, visto che con la pioggia non si sa mai) fino all'Ostello Francescano - che l'operaio/extracomunitario/abusivo/serial killer (queste le ipotesi fatte sulla sua identità) ci ha invitato a lasciare e siamo saliti all'Eremo di Cerbaiolo; bellissimo fuori quanto cadente e malsano all'interno, ma l'eremita è ormai anziana e non penso possa correr dietro ad un complesso così grande. Siamo alloggiati in una sorta di Valbonaga abbandonata - io ho anche una singola con tanto di catafalco - ed abbiamo una splendida vista, per quel che vale, sul lago (di cui ho anche letto il nome, comunque è prima di Sansepolcro). Ed ora è quasi ora della Messa e vado a darmi una rinfrescata, e capire come ci regoliamo per cena e colazione, che ho due chili di formaggio sulle spalle.

***

La sera, dopo un magnifico tramonto (sto sprecando aggettivi d'estasi, si vede che è solo il primo giorno), e la cena - spartana - consumata insieme in refettorio, abbiamo incontrato Chiara, l'eremita dell'Eremo - che mio fratello chiama l'Erema, risparmiando una sillaba intera - le abbiamo fatto qualche domanda e l'abbiamo ascoltata. Devo dire che ero - eravamo - un po' tutti perplessi per il tipo di persona che potesse essere ma che, dopo le sue parole, semplici ma profonde - per quanto non sia certo io deputato a dare questo genere di patenti - nonostante alcuni passi sui quali manifesterei riserve più di sensibilità che di contenuto, l'ho senza dubbio rivalutata, convinto dai tanti dettagli che ne rivelavano la fede autentica insieme con l'umiltà e la saggezza.

Nella foto, la combriccola fuori dall'Eremo di Cerbaiolo

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Compagni di cammino

Chiedo scusa se la tiro un po' per le lunghe, prima di riportare il Diario del Cammino, ma in effetti mi è parso necessario dedicare del tempo, delle righe e della banda per menzionare coloro con cui ho condiviso quest'esperienza. So bene che si tratta di un comportamento del tutto inusuale, visto che le mie Cronache sono tutte squisitamente Casati-centriche, ma un conto è fare una settimana di campo con sessanta-settanta adolescenti, un altro conto è camminare per una settimana in sedici, sudare in sedici, sanguinare in un po' meno di sedici ma comunque in tanti, spendere tempo e parole sempre con le stesse persone, che per giocoforza diventano - anche quelle con cui, in condizioni standard, hai meno a che fare - veri e propri compagni di cammino, dove per cammino non s'intende solo mettere un piede davanti all'altro.
Passiamo allora a menzionarli, da sinistra a destra, dall'alto in basso.

  • don Alessandro Dehò, il nostro curato interparrocchiale, che tra le varie manie ha anche quella del cd. "goom" (potrei informarmi e vedere come si scrive davvero, visto che dubito sia scritto così, ma più ne sto alla larga meglio è), che dalle informazioni in mio possesso sembra essere una specie di tortura per scout, cioè cammino in solitudine nel più deserto possibile (per dire, da noi lo fanno in Sicilia, o in Puglia) con il gusto di non avere soldi in tasca, fare la fame, dormire all'addiaccio ed essere maltrattati, per quanto possibile, dai capigruppo. Fortunatamente, le uniche cose che il nostro pellegrinaggio aveva in comune erano la meditazione del mattino ed il caldo torrido - e forse la puzza, ma noi bene o male facevamo la doccia tutti i giorni, il problema erano più che altro zaini e abiti.
  • Enrico, fratello del don, appassionato camminatore ed a propria insaputa massimo fomentatore delle mie invidie, quando su Facebook mette le foto delle sue gite, tra ciaspolate notturne e linea Gotica.
  • Herbert, alias don Acca (per mio fratello) o Eriberto (per me); già presidente dell'UPEE di Bergamo, da quasi due anni adottato dagli OrSI, è in tutta la provincia noto come quello dei CD del CRE o, più di recente, di Granita Mix. Il nomignolo datogli da mio fratello rileva la tendenza degli ex presidenti dell'UPEE di andare in Seminario, ma per ora non se n'è fatto ancora nulla.
  • Maria, laica consacrata che fa servizio durante l'anno nella parrocchia di Negrone e come educatrice dei giovani OrSI. Segni particolari: nessuno l'ha mai vista senza pantaloni lunghi. Nemmeno in piscina.
  • Marco; anche se da qualche tempo ha passato il testimone, nella mia testa rimarrà sempre il presidente del GAP (Gruppo Alpinistico Presolana) di Scanzo. Unitosi a noi durante la tappa Sansepolcro-Città di Castello, si è rivelato ad un tempo preziosissimo per la sua attività di farmacista come paramedico (dopo questi giorni, secondo me si è meritato sul campo la specializzazione in podologia) e impagabile socio, specie delle follie di mio fratello.
  • Chiara, la di lui moglie, che è partita con noi fin dal primo giorno, svolgendo per giunta le funzioni di cuoca per i primi due giorni, quando i pasti erano lasciati alla nostra autogestione. Durante un'appassionata discussione, a tavola, sulle macchine utensili a controllo numerico si è scoperto che le stavamo rovinando le ferie parlandole di lavoro.
  • Sergio, giovane ed educatore degli adolescenti - praticamente ricomparso dopo mesi di latitanza, visto che lavorando non può certo impegnarsi nel CRE, e che quindi non lo si vedeva dai primi di giugno. È tra quanti, durante la terza tappa, hanno smarrito il segnavia ed hanno percorso il più improbabile dei tragitti tra Sansepolcro e Città di Castello, giungendovi distrutti nel corpo e nello spirito.
  • Davide Casati, che come il cognome suggerisce è mio cugino. Nonostante - anzi, secondo me proprio a causa di, visto che sviluppano tanto i muscoli e tanto poco ossa e articolazioni - i lunghi anni di attività calcistica, si è dimostrato (absit iniuria verbis, sono parole sue) "la carretta del gruppo", nel senso che i piedi gli si sono presto rifiutati di camminare nelle scarpe da trekking, o in quelle di ginnastica, o in qualsiasi altra cosa per più di sette ore al giorno, e solo stringendo i denti e con massicce dosi di antidolorifico è riuscito a giungere, ferito ma non piegato, alla fine del cammino.
  • Morgana, che sarebbe la morosa di mio cugino; ormai da quasi due anni. Appartiene alla famiglia Pezzotta di Gavarno (da non confondere con le altre innumerevoli famiglie Pezzotta di Tribulina) che, con quasi tutti i suoi membri, è da sempre una delle più appassionate e presenti famiglie di collaboratori degli OrSI. Specialmente, è nota la madre in quanto cuoca ufficiale dei campi.
  • Francesco Casati, che essendo mio fratello non c'è nulla da dire in proposito, se non fischi. Specialmente per l'attività di buffone del gruppo alacremente svolta, senza requie; emblematico l'autostop per Rimini, quando noi si vagava per l'appennino Tosco-Romagnolo.
  • Paolo, che era uno dei "miei" ormai ex-adolescenti di quinta superiore, l'anno appena trascorso. Come abbia fatto fino al campo di Braies ad ignorare che fosse un maniaco di calcio, e che fosse capace di intavolare discussioni lunghe ore sul mercato dell'Albinoleffe, insieme a mio fratello, resta un mistero.
  • Valentina, la prima in questo elenco di quelle che, senza cattiveria, dopo tipo venti minuti già erano state soprannominate "le bambine", cioè le adolescenti che si erano associate con noi per il cammino. Non esaltantissima come conversatrice, nonostante non sia certo parca di parole, specie di quelle che cominciano con stra. Il mio giudizio inappellabile è "brava". Forse fin troppo. Tipo che l'aspetto al varco, sulla porta di un convento.
  • Irene, che non gliela meno ancora per il fatto di essere una scout solo perché l'ho fatto ininterrottamente per una settimana. "Migliore amica x sempre" della precedente, pare che la presenza di quella sia stata la causa della presenza di questa. Due episodi rimarranno nella memoria: camminare ripassando dal libro di latino, e «Non possiamo tagliare?», domanda di rito rivolta al Portatore delle Mappe ogni mattina, ogni sera, praticamente ogni momento in cui io avessi in mano una carta, cioè sempre.
  • Sara, talmente impegnata a commuoversi, emozionarsi, stupefarsi o comunque altri verbi riflessivi per stancarsi; capace di arrivare per ultima, perché trattenutasi a saccheggiare tutti i cespugli di more trovati lungo il percorso, e «ne abbiamo mangiate un quintale!»; talmente alieni l'uno all'altra da raggiungere il parossismo in dialoghi tipo «Hai visto che bello quel pezzo di sentiero? Il panorama?» «Eravamo a settecento metri, c'erano trentacinque gradi, sentiero esposto a sudovest, niente alberi se non boscaglia riarsa, rocce nere, vulcaniche - un'ora dalla tappa precedente, un'ora e mezza dalla successiva. Cosa c'era di "bellO"?»
  • Luca, che se le cose vanno come credo sarà nel mio gruppo adolescenti da ottobre. Insieme a mio fratello ed a Paolo formavano il terzetto chiamato dei "giovani", a cui venivano riservati i compiti più ingrati, del tipo dormire in tre in un letto matrimoniale - o, come la prima notte, dormire in tre in terra in cucina, per solidarietà a mio fratello che ne aveva sparata un'altra delle sue. Il pusher del gruppo, era in grado di fornire creatina all'intera nazionale di ciclismo kazaka, con quello che aveva nello zaino; in onesta concorrenza con Valentina, che parimenti era stata stipata di "integratori" dal genitore-rambo.

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sabato 22 agosto 2009

Di qui passò Francesco - Giorno 0

Questa introduzione, in effetti, non sarebbe presente nel Diario del Cammino, ma visto che troppo preso dai chilometri di giorno in giorno non vi ho mai speso parole per descrivere cosa si andava a fare e perché, mi sembra opportuno premetterlo.

Di qui passò Francesco, di cui c'è anche un sito internet (che non ho mai consultato, ma óter) è un cammino, pensato per pellegrini a piedi, anche se ce n'è pure una versione per ciclisti, che da La Verna, il crudo sasso intra Tever e Arno presso cui Francesco ricevette le stigmate conduce a Poggio Bustone (RI) passando per Assisi - che poi era la nostra meta, perché non è che s'avessero due settimane, e toccando santuari, eremi e monasteri in diversa misura legati alla vita di Francesco ed all'esperienza francescana. Pur non trattandosi di un trekking for trekking's sake, bisogna riconoscere che molti di noi, io compreso, erano attirati più dal cammino in sé che dall'esperienza di gruppo e spirituale in cui ci s'andava imbarcando. E così, ad esempio, vedevamo come una pessima idea, iniziando il cammino giovedì 13, partire alla volta de La Verna (AR) all'alba di mercoledì 12, perché va bene il viaggio, ma cosa avremmo fatto mezza giornata a girarci i pollici?

Giramento di pollici che poi non c'è stato, perché tra pranzo - al ristorante per chi, come me e mio fratello - ma anche il don ed il suo - non si era portato il pranzo al sacco - oretta di passeggiata, visita, messa, vespro solenne (era la festa del beato Giovanni della Verna, con tanto di cardinale di Firenze a condurre le celebrazioni) e breve introduzione con la prima preghiera di Francesco (perché il filo conduttore del cammino, in luogo dei soliti scritti su Francesco, erano gli scritti di Francesco, e bisogna dire che così riesce molto più simpatico anche a me che non sono mai stato un suo particolare fan), è presto ora di scendere dalle suore che ci ospitano (tipo in quindici dove i posti sono sette, ma sgraffigniamo un po' di materassi extra su cui ci buttiamo) per una cena autogestita, uno sguardo in cerca di stelle cadenti (perché dicono che siano a S. Lorenzo, ma quest'anno è meglio il 12...) che, a mio avviso, si fa prima ad autosuggestionarsi di averle viste che a vederle davvero, una rapida compieta (che non si dice la Compieta, ma solo Compieta) e dormire come viene viene. Perché la tappa dell'indomani è segnata, dalla guida, come lunga otto ore. E la Kompass non fa mappe dell'Alto Tevere Toscano.

Nella foto parte del complesso de La Verna, ripreso dal sentiero che conduce al convento che ci ospitava. Ove non diversamente indicato, tutte le foto sono di mio fratello, al limite opportunamente ritoccate da me

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venerdì 21 agosto 2009

Reduce

E con ieri sera ho finito anche il Cammino di S. Francesco, il pellegrinaggio a piedi tra La Verna, dalle parti di Camaldoli, ed Assisi. Presto seguiranno i resoconti delle tappe, perché - se è pur vero che durante la settimana a Braies non ho tenuto le Cronache del Campo, il Diario del Cammino è stato un appuntamento fisso, e dunque ho le mie brave descrizioni, più che altro lamentele sul sentiero, o la temperatura, o la compagnia. Ma, visto e considerato che sono molte settimane che non aggiorno, avrete d'accontententarvi di queste poche cose. Apraffoco, come si dice talvolta tra noi.

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giovedì 30 luglio 2009

Estate

Ok, lo so che è tipo una vita che non aggiorno il blog, praticamente da prima che iniziasse il CRE che ormai è finito da quasi una settimana - ma dovete credere che, se non sono riuscito a trovare il tempo (e, quando avevo il tempo, le energie) per scrivere nulla - considerato che solitamente, al contrario, l'aggiornamento del blog è una delle mie attività ineludibili-, questo significa che fare il CRE, seriamente, è tutt'altro che quell'alternativa riposante al lavoretto estivo che diversi animatori scelgono - incauti! - il primo o il secondo anno dopo le scuole medie.

Ecco, lascio all'inadeguatissima foto il compito di portare la testimonianza di questo Centro Estivo passato, anche perché in questa settimana di similferie, in realtà, tutte o quasi le energie sono state assorbite dalla preparazione del Campo Adolescenti, a Braies in Val Pusteria; ecco, ieri con i miei aiutanti di campo siamo anche andati in avanscoperta, soprattutto per preparare il grande gioco (Operaktion Alerich) e vedere se era fattibile far partire le escursioni da casa (tecnicamente sì, ma non mi va di essere linciato per allungarle tutte di un'ora e mezza, che già sono lunghissime di loro), ed oggi ho praticamente passato tutto il pomeriggio a preparare il materiale (che mancano ancora le foto della ricognizione aerea e le coordinate delle postazioni, tra l'altro)...

In buona sostanza, sabato mattina partiamo - e, pur cercando di tenere come di consueto il diario del campo ad uso e consumo di voi lettori, non garantisco nulla anche perché appena rientrati c'è da ripartire per La Verna - Assisi...

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giovedì 25 giugno 2009

Fert Fert Fert

Prosegue la vicenda di Lui

La Bora sferzava il volto, sollevava sabbia che si infilava in gola, nel naso, negli occhi, faceva mugghiare il mare sollevando imponenti creste di schiuma; avvolto nel cappotto d'ordinanza, il militare stringeva il binocolo, che scorreva da una parte all'altra della macchia grigia distesa tra mare e colle, sull'altra sponda del golfo. Nonostante il mare grosso, due cannoniere incrociavano di fronte alla città, provocandone gli abitanti e gli occupanti con i loro pesanti pennacchi di fumo.

Il suo attendente lo attendeva ad una decina di metri di distanza, avvolto nell'impermeabile, al posto di guida dell'automobile. L'ultimatum era scaduto da qualche ora, ma sembrava che, a Fiume, quello là avesse deciso di ignorarlo completamente. Per quanto non potessero essere moltissimi, quei legionari, se si fossero preparati ad una battaglia qualche movimento si sarebbe dovuto vedere; e, invece, nulla. Lui sapeva che la prima azione bellica sarebbe avvenuta all'alba dell'indomani, con un leggero cannoneggiamento delle strutture portuali. Poco più di qualche petardo per spaventare la teppa. Poi si sarebbero attesi segnali di resa, ed in caso contrario si sarebbe aumentata di poco l'intensità delle azioni...e così via, sperando che quei pazzi idealisti tornassero a ragionare prima di dover passare a più cruente vie di fatto. Delle vie di fatto non doveva preoccuparsene lui, vero, ma gli faceva comunque problema sparare sui propri connazionali, e magari su qualche commilitone dei tempi della Guerra.

Il portaordini sbucò all'improvviso dal viottolo, arrancando sulla bicicletta. Scambiò due parole con l'attendente che mise in moto l'auto, poi portò il plico all'ufficiale.

Qualche istante dopo, la vettura scendeva verso il Quartier Generale, sistemato in due casupole contigue di un piccolo paese di pescatori.
«Colonnello, si muova! È un po' che il Generale l'ha fatta cercare»
raccomandava l'attendente di questi, sapendo che si sarebbe preso la colpa per non essere stato capace di rintracciarlo subito. L'ufficiale si infilò nella stanza facendo un distratto segno di saluto, ed i due sottufficiali presenti si volatilizzarono chiudendosi la porta dietro le spalle.
«C'è una specie di disertore - fece il Generale - Mi comunicano che devo farlo interrogare da lei.»
«È esatto, generale. Disposizioni del Comando Supremo, lei certo intende. Dove si trova quest'uomo?»
Bofonchiando, il generale ordinò al sottufficiale che, ad una sua voce, era rientrato nella stanza, qualcosa come "portalo da quello", e Lui uscì dalla stanza seguito dalla muta ostilità del generale cui veniva sottratta giurisdizione dai burocrati della guerra.

La specie di disertore era tenuto sotto custodia in una cantina umida e buia, in cui l'aria e la luce entravano da una grata sul soffitto. Nella penombra, un giovane aspettava buttato su un pagliericcio fradicio.
«Alzati e vieni con me» fece il colonnello senza rivolgergli più d'uno sguardo, e comunque anche cercare di osservarlo non avrebbe portato a molto, in quel buio. L'altro, con una certa aria di strafottenza, lo seguì per le vie del paese spazzate dal vento.

«Ti facevo migliore, tenente.»
«Ed io facevo migliore la sua vista, se non la sua disciplina. Sono colonnello.»
Sbuffando, il disertore replicò «Ma facevo migliore anche la tua memoria. Siamo commilitoni, e tu non mi degni nemmeno d'uno sguardo»

Lui si fermò, ma non si volse a guardare il suo interlocutore. Non ancora. «Vede, sergente, non so lei, ma codesti fatti sono peggio della guerra. Per quanto la mia simpatia istintiva possa andare a lei ed ai suoi insensati camerati e compagni d'avventura, penso che i problemi del vostro Carnaro siano soltanto destinati a peggiorare ed incancrenirsi; e che non siate molto distanti dall'aperta sedizione. E, ancora, sì - la riconosco.»
«Sono io che non ti riconosco, se non nella voce! Il mio tenente sarebbe stato con noi Legionari a difendere con il sangue il suolo di Fiume irredento! Non pronto a sparare sui propri fratelli per un re distante e polveroso.»
«Per cominciare, io non sparo. Non necessariamente, almeno. In secondo luogo, il punto non è quello che faccio o voglio io - ma quello di cui è in cerca lei. È stato lei a passare le nostre linee, non viceversa. Dunque? Se ha da dire qualcosa, la prego di dirlo a me. Non ha parlato con nessun altro, intanto?»

Intanto, sempre camminando, erano arrivati fuori dal paese, dove un balcone naturale si affacciava sui primi quartieri di Fiume, al di là della terra di nessuno.
«No, tenente - cioè, colonnello; e come avrei potuto? Sono stato buttato in quella cella appena ho passato le linee con le mani alzate.»
«Dunque lei dice di aver passato le linee per disertare. Però poco fa esprimeva opinioni contraddittorie; in particolare, di solidarietà con i Legionari ed ingiuriose di Sua Maestà il Re. E questo perché riteneva di riconoscere in me un...sodale. Cose del genere non le sono sfuggite con altri interlocutori, vero? Perché lei è...una spia.»
«No, ma...aspetta! Non ero serio, non puoi essere serio! Ho passato le linee, mi sono consegnato, posso dare informazioni: voglio disertare, ti ho detto; tornarmene a casa, ché non ho mai passato la notte di nozze con mia moglie - sono andato in guerra da fidanzato, ci siamo sposati per procura! A rimanere a Fiume, tutti capiscono che si muore; a meno che abbia ragione il Vate, e voi non osaste mai sparare sui fratelli; ma di questo non c'è da fidarsi, conoscendo il Regio Esercito.»
«Noi si obbedisce agli ordini, questo senza dubbio. E, parimenti senza dubbio, lei sembrerebbe convincente. Non fosse che mi ricordo di lei, e sua moglie - moglie, è inutile che neghi - le scriveva spesso di vostro figlio. - e qui il sergente disertore iniziò a tormentarsi le mani - e poi, mi scusi, non mi sono presentato. Sono il direttore del servizio I dello Stato Maggiore, e sono venuto a parlare con lei non certo come disertore. Ma, diciamo così, come "persona informata dei fatti". In particolare, dei fatti privati. Ancora meglio, dei fatti privati del vostro Vate. Ed è inutile, ancora, che ora lei cerchi di negare; sono venuto a tirarla fuori dal carcere, invece di farla uccidere senza complimenti non appena avesse varcato le linee - con falso atteggiamento da disertore - perché mi servono queste informazioni. Una volta ottenute, lei sarà libero di andarsene, sia pure in giro a spiare. Non mancano molti giorni a che scada l'ultimatum, tanto.»
«E sia, non nego. Ma non capisco perché tu pensi che io possa conoscere i fatti privati di D'Annunzio. Sono solo una spia.»

Lui riprese a camminare, tenendo le mani dietro la schiena, e si fece seguire dal sergente dei legionari giù per un sentiero tortuoso, lastricato malamente, che si dirigeva verso uno dei tanti posti di osservazione disseminati lungo la linea di confine. «Siamo certi che ci possa essere d'aiuto, poiché si è occupato per diversi mesi della guardia alla sua residenza.» Dal tascapane estrasse un pacco di fogli ripiegati, ed iniziò a leggere senza espressione una serie di nomi femminili; l'altro rispondeva - in effetti la maggior parte di quei nomi gli diceva molto, ed il suo interlocutore non aveva sbagliato una sola deduzione, nel discorso - perlopiù affermativamente, perché in effetti il bizzarro occupante di Fiume meritava la fama di sciupafemmine che si era cucito addosso; di qualche altra aveva sentito parlare, ma o non l'aveva mai vista raggiungerlo, o si vociferava lo avesse respinto. Alcuni altri, pochi in verità, erano nomi che non gli dicevano nulla. Lui annotava senza espressione. Dopo l'ultimo nome, richiuse con cura il plico, lo infilò nuovamente in tasca, e fece un mezzo ghigno soddisfatto. «Eccellente. Può andare»
E, senza farselo ripetere, il sergente dei legionari si mosse di gran carriera verso l'interno delle linee, abbandonando il fronte e puntando verso una macchia dentro la quale avrebbe fatto perdere le sue tracce. Intanto, Lui riprendeva in mano il plico e riprese a scorrerlo. Il nome di lei c'era; ma era una di quelle che il Vate non aveva avuto. Si alzò - s'erano infatti seduti su un paracarro, e si diresse velocemente al posto d'osservazione, sparando in aria con la sua rivoltella d'ordinanza. Urlando «Disertore! Disertore!», ed indicando il sergente che, da lontano, aveva sentito gli spari senza rivolger loro molta attenzione, che continuava a correre per i campi.

Sul viottolo al bordo del campo transitava una pattuglia di carabinieri a cavallo. Videro il soldato che correva, e dal fronte che si rumoreggiava e si facevano grandi cenni in sua direzione. Il fuggitivo non rispose al primo alt, né al secondo. In tutta risposta al terzo alt, abbandonò il sentiero per puntare al più vicino lembo di bosco. Le due moschettate dei carabinieri lo colsero in piena schiena.

Le prime cannonate dell'Andrea Doria colpivano Fiume, mentre Lui in motocicletta si allontanava dal fronte. Soddisfatto.

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martedì 9 giugno 2009

Presidente dei Presidenti

Ovviamente la sezione nr. 4 ha vinto anche la gara per le elezioni amministrative, e dunque alle 14.55 avevamo chiuso i verbali delle elezioni provinciali ed alle 16.10 quelli delle comunali. E, come al solito, quando siamo arrivati al municipio per la trasmissione dei plichi siamo dovuti andare a chiamare gli incaricati perché non si aspettavano che qualcuno si presentasse così presto. Poiché una copia del verbale e delle tabelle di scrutinio (frontespizio stampato in nero) va trasmesso al presidente della sezione nr.1 per lo svolgimento dell'adunanza dei presidenti di sezione, che ovviamente si svolge quando tutte le sezioni hanno completato lo spoglio. Ovviamente...beh, si vedrà. Comunque, visto che non ci sono sorprese in vista (per le provinciali tutto era ovvio, per le amministrative se l'amministrazione uscente ha prevalso nella destrissima Gavarno, altrove deve aver stravinto) ed il mio dovere l'ho fatto, me ne torno a casa. Per poi andare, qualche ora dopo, a mischiarmi nel folto pubblico dell'adunanza a sentire la proclamazione del sindaco e dei consiglieri comunali.

Quando torno in municipio la sala è assiepata di sostenitori e simpatizzanti degli - ormai certi - vincitori; fanno capolino diversi curiosi, desolante deserto da parte degli sconfitti, che non sopportano l'onta - non è malignità, addirittura hanno cancellato da Facebook il loro gruppo - della sconfitta, considerato che rispetto ad europee e provinciali perdono quasi il 20%, con i medesimi simboli (PDL e Lega Nord, ma erano insieme). E pace che non sopportino l'onta i candidati, ma che l'unico presidente di seggio dichiaratamente di centro-destra latiti, pur avendo da tempo concluso le operazioni e consegnato i plichi, arriva se non ai limiti dell'illegale certamente ben oltre la soglia della scorbuticità.

Il nervosismo in sala aumenta. Tutti i presidenti, compreso il mio, sono seduti alla "tavola semirotonda" della Sala Consiliare (preferita ai locali della sezione nr.1 per la possibilità di accogliere il pubblico di cittadini), il Presidente dei Presidenti, ovvero il presidente della sezione nr.1 nel mezzo, che richiama l'attenzione coi bi-bip del microfono per calmare la sala. Intanto, la Forza Pubblica sta cercando il presidente che manca, non risponde al telefono e non è rientrato a casa. Colto da un dubbio, lascio la sala e mi precipito all'Ufficio elettorale, per farmi dare un regolamento dell'adunanza dei Presidenti, che non avevo studiato in quanto il segretario è il segretario della sezione 1 (in quel momento, coadiuvato ultra legem dal segretario della sezione 9, visto che i verbali sono da fare in duplice copia, ed in duplice copia gli estratti); come sospettavo, esiste la possibilità di forzare la mano ed adempiere le operazioni di nomina, essendo legittime se partecipa la maggioranza degli aventi diritto (e quindi 5 su 9 presidenti). Corro ad informarne il Presidente dei Presidenti (con cui condivido il nome ma non la parentela, e che tutti nella mia famiglia chiamano il ragazzo nonostante sia già abbondantemente brizzolato) e l'auto-nominatosi suo braccio destro presidente della sezione nr. 9 (con cui condivido e nome e natali, essendo mio zio); ma mi si fa rilevare che, stando alla legge, l'adunanza si intende svolgersi il giorno successivo alle operazioni di scrutinio, e non al loro termine. Benché da che legge elettorale è legge elettorale (e quindi per le amministrative 1995,1999,2004) a Scanzorosciate si sia sempre tenuta nel tardo pomeriggio; anche perché non siamo qui a far ballare l'orso, la gente lavora e se si finisce presto con lo spoglio via il dente via il dolore. Si opta, quindi, di non procedere a maggioranza e di sperare che il presidente latitante sia rintracciato; anche perché, se si presentasse nella giornata successiva alla conclusione delle operazioni di scrutinio avrebbe anche di che lamentarsi. Io avrei proposto sommessamente di riconvocare l'adunanza alle 00.00, ma chissà perché nessuno mi è stato a sentire. Ad ogni modo, il messo comunale sulla sua fida bicicletta rintraccia la pecorella smarrita, che viene convinta con le buone a sedersi al proprio posto. Così anch'io torno al mio, tra il pubblico.

Il presidente dei presidenti dichiara aperta l'adunanza, e tutti i presidenti di sezione dichiarano la cifra di lista per i due candidati sindaco. Si tirano le somme, ed il presidente nomina, salvo le decisioni del primo Consiglio Comunale (che non capisco, che può fare, sfiduciare il sindaco e dunque autosfiduciarsi?), il sig. Massimiliano Alborghetti per la seconda volta Sindaco di Scanzorosciate. Il quale sindaco nominato chiede se può dire due parole al pubblico, ed il presidente dei presidenti concede senza un attimo d'esitazione. Due ringraziamenti dopo, deve iniziare l'attribuzione delle cifre individuali per i candidati consiglieri; noto che al tavolo dell'adunanza in tre o quattro confabulano, sfogliano verbali e consultano il regolamento. Sento il mio cognome sussurato grazie ad un microfono lasciato aperto. Peccato che il mio cognome sia quello di due presidenti, nonché di un candidato consigliere. Poi vedo che il mio presidente annuisce, ed intuisco che mi stanno per fregare. Un secondo dopo, mi si manda a chiamare. Mi sistemo alle spalle dei due segretari già presenti al tavolo, ma immediatamente dopo sono al fianco del presidente dei presidenti, a cercare di capire cosa bisogni fare - e sono un po' in difficoltà perché, appunto, è un regolamento che non ho frequentato e che, mi sembra, sia stato un po' buttato sulle spalle della prima sezione senza tempo per prepararsi, tant'è che i verbali sono tutti ancora in bianco, essendo stati consegnati solo tre minuti prima dell'inizio dell'adunanza. Mancano i nomi dei consiglieri da trascrivere e tutti quei dettagli che servono solo a far perdere tempo. Intanto, iniziamo - calcolatrice alla mano - a sommare le preferenze dei candidati consiglieri, che il pubblico - ed a ragione - scalpita. Decidiamo di fare tutte le somme, di indicare informalmente chi saranno gli eletti e di mandare a casa la brava gente di Scanzo felice e contenta, per poi dedicarci a tutto il lavoro. Compresa l'assurda schizofrenia di un metodo di attribuzione dei consiglieri che, pur essendoci solo due liste, vuole prima sapere le preferenze di ciascun candidato (sommate ai voti totali per determinare la cifra individuale) quante e quali sono le liste non vincenti, poi quanti posti spettino alle liste non vincenti complessivamente, poi quali siano i quozienti di ciascuna lista, poi quanti consiglieri spettino a ciascuna lista, poi in che ordine di preferenza siano i candidati, poi chi siano i candidati eletti, poi chi siano i non eletti (andare per esclusione no, vero?), e poi - infine - sapere se c'è qualcuno dei presenti che sia a conoscenza di cause di ineleggibilità per i consiglieri. Ecco, a quel momento in sala erano presenti, olre a soli cinque presidenti (gli altri se n'erano andati a casa prima di firmare, e quindi sui verbali comparirà che l'adunanza è stata fatta con la maggioranza degli aventi diritto, perché tali sono le firme che si potevano raccogliere) la responsabile dei servizi amministrativi del comune, la responsabile dell'ufficio elettorale, un'altra impiegata ed il moroso della segretaria della sezione nr. 9 (altra Casati mia parente, tra l'altro); essendo nessuno a conoscenza di motivi d'ineleggibilità, si chiudono i verbali alle ore 22.00 - e ci si deve ridurre anche a costruirsi un plico con forbici dalla punta arrotondata ed abbondante colla vinilica perché, dopo averci riempito di buste inutili (identificate dal colore verde) per conservare 1)il materiale tra sabato mattina e sabato pomeriggio, poi 2)tra sabato sera e domenica mattina, poi 3)tra domenica notte e lunedì pomeriggio - e questo per ogni elezione, quindi moltiplicato per tre, come moltiplicate per tre erano anche le buste per la riconsegna del bollo (che, ovviamente, è uno solo) - il Ministero dell'Interno si è scordato di fornirci la busta per trasmettere alla prefettura le nomine di sindaco e consiglieri.

Insomma, esco dal comune salutando tutti alle ventidue e quindici. Digiuno da mezzogiorno. Un colpo di telefono ad un amico che non dice mai di no al cibo e vado a cena, che altro vuoi fare? Intanto, spero che all'ufficio elettorale abbiano capito di consegnare i verbali per l'adunanza in anticipo, che tanto c'è sempre tempo per compilare un verbale in più durante le operazioni di voto. Vedremo tra cinque anni se se lo ricordano.

Già, perché tra cinque anni saranno vent'anni di Proposta per Scanzorosciate, venticinque di centro-sinistra, quaranta di Casati.

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