Che lo sappiate o no, oggi è la V domenica di Quaresima. A parte che sono legato per motivi tutti egoistici e miei perfino alla parola quaresima, il tema che viene affrontato oggi dalla liturgia è la morte e la risurrezione. Dato poi che oggi era giorno di messa per adolescenti, il curato ha preparato un'omelia delle sue, che al solito pubblica sul giornalino dei cinque oratori. Poiché è occasione più unica che rara che sia d'accordo teologicamente con l'intepretazione del Vangelo di don Alessandro, una volta che succede va ricordata comunque; inoltre, penso anche che sappia rispondere molto meglio di quanto abbia fatto io in merito al rapporto tra fede nella Risurrezione e dolore per la scomparsa dei propri cari. Magari opero qualche taglio, che non sa di censura ma di spuntatina dovuta al fatto che è un po' troppo lungo.
E poi, ritorna la vita
È il cuore del mondo colpito nel suo aspetto più sacro. È la vita ferita nei suoi affetti di parentela, amicizia, amore. Maria e Marta, sorelle, ripiegate dallo stesso dolore sul cadavere del fratello, unico residuo del passaggio muto della morte. Gesù e i suoi discepoli, lontano, impotenti, raggiunti dall'eco della tragedia. Un popolo in cammino, una processione cupa e silenziosa, un corteo da Gerusalemme a Betania (molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle del fratello).
La morte muove, il dolore spinge le persone ad uscire dal proprio isolamento, tentativo minimo di pareggiare i conti con una vita immobilizzata, schiacciata, sepolta dietro una pietra nel cuore di una montagna.
Il dolore cammina, si affida ad una voce e raggiunge Gesù che, proprio per scappare dalla morte, si era rifugiato lontano dalla Giudea. Gesù accoglie la notizia e si ferma. Aspetta. Lui, Signore anche della morte, non si lascia prendere dal panico (e per noi questo silenzio, questa assenza, questa lontananza rimane l'Incomprensione di un Dio che ci sembra troppo assente: noi impauriti dalla morte). Gesù attende due giorni, come se lasciasse alla morte l'illusione di sedersi sul trono degli eventi, come se creasse lo spazio nel cuore degli amici di fare i conti con il dolore. Che da sempre e per sempre segnerà le vicende dell'uomo.
Poi Gesù si mette in cammino. I discepoli prigionieri di un grande equivoco non comprendolo la profondità degli avvenimenti e si espongono a prove di coraggio verbale che il tempo da lì a poco penserà a sconfessare: "Andiamo anche noi a morire con lui!"; loro che dopo poco, davanti allo sguardo duro della morte, si addormenteranno e fuggiranno.
Il dolore e la speranza di Marta si mettono in cammino incontro al Gesù che viene. E sboccia un dialogo fatto di paura e tenerezza. Di incomprensione e di speranza. "Non sarebbe morto!" dice Marta, "Risorgerà", risponde Gesù. Parole di morte si lasciano fecondare da parole di speranza. "Credo che tu sei il Signore!" Marta, nel cuore del suo dolore, dell'incomprensione per un'assenza che non avrebbe voluto, si affida alla promessa di vita di Gesù. È il primo grande insegnamento di questa pagina di Vangelo: abitanti del dolore, segnati dalla fragilità, colpiti al cuore dal grande Nulla che sembra seguire ogni esperienza di morte siamo chiamati a metterci in cammino incontro al Signore che viene, per lasciarci trasformare in testimoni di speranza del presente. Non solo che la morte sarà vinta l'ultimo giorno ma che la morte non è definitiva già da adesso. Chiamati con Marta ad essere testimoni della Speranza presente nella vita presente. La morte è già vinta. Quando corro incontro al Signore. La morte dei miei peccati, delle mie paure, dei miei fallimenti, dei miei egoismi. Lascio entrare lo sguardo di Gesù e sento che posso risorgere ogni volta a vita nuova, e sento che la Speranza deve costituire il centro del mio essere uomo.
Anche Maria parla di morte e di assenza. Ma subito le lacrime hanno il sopravvento. E Gesù piange con lei. Una donna svuotata e colpita si rivolge a Dio e Dio trattiene con incredibile dolcezza la preziosità del dolore. Che è il volto dell'amore quando è sincero. Lacrime che lasciano parlare il cuore e Gesù parla con Maria mischiando le sue lacrime con quelle della donna. E il dolore condiviso, l'amore che si incarna nel dolore sono la testimonianza della profondità dei legami: "guarda come lo amava!"Un Dio che non trascura il nostro dolore ma lo condivide. Un Dio che conosce il patire, la ferocia dell'assenza, il mistero del morire. Un Dio che è compassione, che non ci regala risposte astratte ma che conosce per esperienza il nostro soffrire. Il pianto di Dio che ama l'uomo fino alle lacrime. Amore viscerale per ogni aspetto della nostra umanità: gioia e dolore, sorrisi e lacrime.
don Alessandro Dehò
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