sabato 29 settembre 2007

Complotti della storia

Girovagando qua e là, ho trovato questa particolarissima classifica.
Scegli il tuo complotto preferito!

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giovedì 27 settembre 2007

La Castagnata di Rosciate

Un post tanto pour parlé, perché i risvolti meteorologici di questi giorni mi hanno precluso la programmata camminata del mercoledì, e spero che il tempo si metta al bello per sabato per poter recuperare - tra l'altro per domenica ho preso un impegno, e quindi niente traversata del Passo di Salmurano che si profilava all'orizzonte.
Questo fine settimana, partendo da oggi, il mortuorio che caratterizza l'Oratorio di Rosciate viene vivificato dalla festa anche nota come "Castagnata", una sorta di riedizione in piccolo della Sagra dell'Assunta che però, essendo io sempre al mare nel periodo in cui si tiene, è l'unica festa di paese a cui abbia mai partecipato.
Non che ci sia niente di speciale, in ispecie poiché, solitamente, il primo giorno non si mangiano castagne (e allora che castagnata è, chiederanno i miei lettori - ma è sempre stato così, e l'altro anno gli organizzatori hanno fatto muro contro la rivoluzionaria proposta di offrire pollo nel menu, chissà cosa succede se si cucinano le caldarroste (boröle) il giovedì). Ma è una buona occasione per bere insieme agli amici, senza neanche dover decidere chi guiderà nel ritorno. Per vedere gente che di solito non si fa mai vedere in giro (penso alla Panseri, ad es.). Ho già detto per bere?
Poi vi aggiornerò sui risultati.

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lunedì 24 settembre 2007

Passo del Cristallo - 2895 m

Quella di ieri è stata l'escursione delle "prime volte". Prima volta che andavo nel gruppo dell'Adamello (se si esclude qualcosina di misero che devo aver fatto in seconda e quarta elementare in gita con la scuola a Ponte di Legno e Temù, ma non ricordo...probabilmente niente da segnalare), prima volta che, dopo ripetute insistenze da parte dei miei, mi aggregavo al G.A.P. di Scanzo, prima volta a questa quota - il mio record precedente era 2712 m al Simàl sul sentiero delle Orobie -, prima volta (e qui sono stati dolori!) a salire su terreno misto e a procedere in cordata.

L'escursione sulla carta non era certo semplice ma neanche doveva essere di questo livello. Tutta colpa della nevicata di mercoledì scorso che ha spruzzato un po' dappertutto e, nei tratti all'ombra sopra i 2600 ha deciso di trasformarsi in un bello strato di neve ghiacciata.
Si parte dai 1500 metri del Ponte del Guat in Val Malga, nel territorio del comune di Sonico (BS), e si sale sulla sinistra per la Valle del Baitone. Il primo tratto è in piano su strada silvopastorale, che poi si lascia per salire a sinistra, su una mulattiera approssimativamente pavimentata con grosse rocce, prima in un bosco di abeti abbastanza rado e poi uscire su pascoli secchi misti a grosse pietre che i ghiacciai devono aver trasportato qui chissà quanti anni fa. Si risale in direzione della diga del Lago Baitone, con annesso rifugio (chiuso) risalendo il primo terrazzo glaciale (la cosa fastidiosa di queste valli è che hanno tutte due o tre terrazzi glaciali interrotti da ripidi e fastidiosi gradoni anche di 200-300 metri). Si percorre in piano tutto il lago, a dire il vero assai vuoto, e si affronta il secondo gradone, che porta al terrazzo da cui si affaccia il piccolo rifugio Tonolini (2450 m, 2h dalla partenza i primi del gruppo - tra cui io, una delle poche soddisfazioni di oggi). Il rifugio è chiuso. Come, alla domenica in settembre?! Quelli del CAI di Brescia sono scarsi, è il primo pensiero. Dopo aver atteso tutto il gruppo ed esserci ripresi, riprendiamo a salire in direzione del Passo Cristallo - non tutti, altri optano per la più bassa traversata del Passo del Gatto, sull'Alta Via dell'Adamello. Per prima cosa si risale il Lago Rotondo, alle spalle del rifugio (questo deve essere il terzo Lago Rotondo che trovo, che fantasia...solo Lago Gelato (o Zelto, o Gelt, è lo stesso) è un nome più inflazionato) poi si attraversa la valle sui grossi, ed a volte instabili, massi morenici che tutto invadono, da queste parti. Si arriva ad una spalla di roccia, sulla destra della valle, invasa come sempre dalle morene, a partire dalla quale iniziamo a trovare neve gelata negli interstizi. Saliamo per pochi minuti in direzione di una freccia rossa da dove inizia il tratto più interessante, ma allo stesso tempo più difficile, di oggi. Un gruppo di escursionisti che abbiamo incrociato ci ha detto che tutto il canalino che sale al passo è invaso dalla neve, e di provare a stare sulla sinistra (qualsiasi cosa significasse, non l'abbiamo fatto). Qui vengo assicurato con un'imbragatura improvvisata - onore o vergogna che tocca solo a me, ad una signora e ad un altro ragazzo, gli altri si arrangiano - e inizio a risalire, su appigli che la presenza di questa neve rende più piccoli e scivolosi assicurandomi alla catena posta in loco. Questo è ancora abbastanza fattibile, sempre meglio dell'altro ragazzo che sta già procedendo legato in cordata alla nostra guida, e che occupa i tiri prima di me, e pertanto devo aspettarlo. Poi arriva la parte drammatica (sto esagerando, neh, comunque la difficoltà aumenta), perché la catena finisce probabilmente perché la salita è meno ripida e c'è più posto per mettere i piedi, ma questo posto è completamente invaso dalla neve e quindi bisogna procedere di punta. Mi associo alla cordata, col pregio parziale, almeno, di essere io ad impegnare i tiri di corda prima dell'altro. La nostra guida, eccellente, sale e recupera la corda, la tiene bene in tensione e parto io. Arrivato ad un punto più sicuro, recupero e sale il terzo. L'unico punto veramente delicato è assicurato con una corda che i primi della comitiva hanno assicurato ad un masso ed a cui bisogna praticamente appendersi, perché il pendio nevoso in quel punto non è interrotto da nessun sasso e non c'è spazio per tenersi con le mani. «Fidati di più degli scarponi, che non scivolano» mi fa un compagno di gita, ed in effetti pare abbia ragione, perché non sono mai scivolato neanche di un centimetro, ma continuo a preferire essere attaccato sempre da almeno tre parti. Superata la corda la via si fa un po' più facile fino ad arrivare in vista del passo, dove c'è un'altra catena per superare un traverso che sarebbe molto esposto anche senza neve, anche se ormai sono talmente abituato a fare senza che riesco ad uscire al passo procedendo solo sulla roccia. L'uscita al passo catapulta in un'altro mondo...il pendio è più dolce e soprattutto esiste della vegetazione, per non parlare dell'assenza di neve, visto che siamo esposti a sud. Alla nostra sinistra si vede chiaramente la punta dell'Adamello ed il Pian di Neve che precipita sulla Val Miller. Pranziamo qui (ormai è l'una passata, ridendo e scherzando ci abbiamo messo un'ora e mezza a salire dal rifugio) e ci accingiamo a scendere la Val Miller fino al rifugio Gnutti e poi al Ponte del Guat. Il primissimo tratto è facile, poi c'è un lungo tratto sulle solite morene, qui un po' meno estese, ed affiorano anche divertenti lastre di granito su cui scendere è facile anche se un po' faticoso per le ginocchia. Il gradino glaciale è antipatico, perché la vegetazione abbastanza alta copre un po' il sentiero e non si capisce bene dove mettere i piedi per non incappare in storte o finire in terra, poi si percorre a mezza costa il pendio e si sbuca nei pressi del Pantano di Miller, una vasta torbiera, che era un lago, da cui si scende seguendo una condotta interrata dell'Enel fino al rifugio Serafino Gnutti (2166 m) del CAI di Brescia, ancora aperto ma per l'ultimo giorno, poiché stanno sigillando finestre, mettendo al riparo gli arredi esterni, pulendo il locale invernale... Dal Passo c'è voluta un'ora e mezza abbondante. Dopo altro riposo (questa è la cifra più particolare di queste escursioni in gruppo...quando ci si ferma a riposare non lo si fa per meno di mezz'ora) si affronta l'ultimo tratto della discesa, dapprima quasi in piano tra erbe e massi (avvistata una vipera) e poi scendendo l'altro gradino glaciale lungo le celebri e maledette "scale di Miller", ripidi tornanti gradonati che mettono tutti in difficoltà, sembra, perché si procede in fila indiana senza nessuna fretta...io andavo anche più veloce, ma ad un certo punto sono rimasto imbottigliato ed allora ho lasciato perdere, anche perché il ginocchio "sifulo" incomincia a darmi pensieri. Finito questo lungo tratto, che ci porta praticamente alla stessa quota dell'arrivo, la vallata è amenissima ed il sentiero costeggia il gorgogliante e limpido ruscello che scende dal Lago di Miller, fa una cascata a fianco delle scale e procede poi per la Val Malga. Si torna poi ad immettersi sulla pista forestale che in pochi minuti conduce al Ponte ed al parcheggio. Sono passate nove ore dalla partenza, ed il ginocchio, ora, fa veramente male. Ma se ne è valsa la pena!

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giovedì 20 settembre 2007

Conquista del Monte Alben

Proprio di conquista s'ha da parlare, perché arrivare in vetta è stato molto più difficile di quanto mi aspettavo, complici relazioni di salita un po' troppo semplicistiche e soprattutto ingannevoli...insomma, non è mica possibile che dove sulla relazione c'è scritto "cresta tra le rocce" si debba intendere ripetuti e non banali salti di roccia, con la necessità meccanica di infilarsi in stretti pertugi, e dove "stretta cengia" facile sentiero in costa. Dal che si evince che la classificazione E sia stata data un po' troppo sbrigativamente dal CAI. A meno che, certo, vada considerato E il sentiero fino ad arrivare in cresta, e dopo ciascuno per sé e Dio per tutti. Comunque andiamo con ordine.
Si parte dal Passo della Crocetta, 1270 m in quel di Zambla Alta (Oltre il Colle). Sarebbe stato meglio avessi imbroccato quale delle due strade non è chiusa da una sbarra per risparmiarmi un cinquecento metri di noiosa stradetta, ma ho miseramente sbagliato (a parte le considerazioni che, se le due strade ad un certo punto si trovano, chiudere al traffico una e lasciare aperta l'altra è un po' stupido). Si cammina una decina di minuti nell'a dir poco fresco bosco di conifere quasi in piano, fino ad arrivare alla base di uno scarico di detriti - sì, più avanti lo dovremo risalire - da dove, leggermente sulla destra, parte il segnavia CAI BG 501-502 (sono in comune per buona parte della salita). Per una ventina di minuti si sale nel bosco di faggi, su un facile sentiero che alterna qualche strappo un po' più ripido a comodi falsopiani, fino ad arrivare dove la vegetazione si dirada e si inizia a salire, a tornanti sassosi, il canalone di cui avevamo visto lo scarico alla partenza. Su questo canalone, esposto a nord, ci sono a dire il vero due tracce di sentiero, una con regolare segnavia CAI, tra pietre e rocce, e l'altra con dei bolli bianchi e segnalata da alcuni omini in pietra, che se la prende più comoda, con numerosi tornanti sulla sinistra, ma ha il fondo misto a terra. In salita prendo una ed in discesa l'altra, ma la differenza è solo nelle gambe. Sempre all'ombra si risale il canalone puntando verso l'evidente insellatura nota come Colle dei Brassamorti (1755 m), oltre il quale il sentiero procede in costa sulla destra, pressoché in piano, alto sul vallone che precipita su Oneta. Dopo pochi minuti il sentiero si biforca; stando sulla sinistra, stretto ma non difficile arriva al balcone tra le rocce che ospita il bivacco Nembrini del CAI di Oltre il Colle - che, come dice l'insegna in legno, è più corretto chiamare "baita" perché è chiuso a chiave e Dio solo sa quando lo aprono, e sa pure solo lui dove vada a prendere acqua in questo ambiente calcareo. Stando sulla destra il sentiero è più largo ma un po' più difficile, ed in dieci minuti arriva con qualche strappo al Passo La Forca (1848 m). Qui c'è, invece, un "vero" bivacco, ricavato sotto una roccia, che nel momento in cui arrivo è anche "abitato", ma non vado a vedere da chi e proseguo imboccando la cresta che, sulla sinistra, conduce alla non vicina Cima Alben. Dopo pochi metri mi accorgo che non sarà una passeggiata, poiché i segnavia del CAI, in qualche tratto affiancati da bolli rossi, decidono di farmi passare una ventina di minuti di passione attaccando ripidi i passaggi più strani ed infilandosi in ogni pertugio, purché sia stretto ed erto. Per fortuna ho letto il giorno prima una guida dell'alpinista con le istruzioni per come procedere su roccia, perché le mani servono non solo a tenere l'equilibrio, ma anche ad issarsi, in alcune occasioni. Dopo la parte di passione il sentiero diventa più facile (devo essere sulla "cengia", credo) perché invece di ostinarsi a stare in cresta taglia in alto i ripidi pendii che precipitano verso i bei Pascoli dell'Alben, sopra Cornalba. Con un ultimo ripido tratto su Ghiaia si rimonta alla Croce di Vetta (2019 m) da dove il panorama a 360° non è un'invenzione degli opuscoli turistici. Quasi un'ora dal Passo La Forca...pessima prova. Si vede il Digrazia, si intravedono il Monte Rosa e l'Adamello, oltre alle cime nostrane che riconosco al volo. Da qui, il colpo d'occhio sulla cresta percorsa non è niente male. Sono in apprensione per il ritorno, ma non so se è il fatto che ormai la conosco, o che in effetti è più facile in discesa, ma mi mette quasi più in difficoltà il primo ripido tratto, con tutte le cautele per non rotolare a valle di ottocento metri, che la parte più tecnica. Arrivati al Passo La Forca ci si abbassa rapidamente
per lo stesso sentiero dell'andata, senza alcuna difficoltà.

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domenica 16 settembre 2007

Traversata Calvi - 14 e 15 settembre 2007 (2)

Giorno II


Tappa più impegnativa per le ore di cammino, mentre il dislivello in salita è decisamente meno. Del resto, al rifugio Calvi, sono già a 2015 m. Peccato che tutta la salita di oggi sia concentrata in un'unica soluzione di circa cinquecento-seicento metri lungo la ripida Valle dei Frati. Comunque si parte pochi minuti dopo le sette e si inizia a scendere la sterrata in direzione della diga del Lago di Fregabolgia, e facciamo subito il nostro incontro con un camoscio che attraversava balzellon balzelloni la strada. Scesi ai piedi della diga continuiamo sul sentiero per Pagliari, frazione di Carona, finché ad un certo punto abbandoniamo, sempre in discesa, la strada per divallare a sinistra lungo il sentiero che porta al rifugio Gemelli. Attraversiamo il giovane Brembo su un'opera di presa e camminiamo per un altro quarto d'ora abbondante in costa, su un sentiero abbastanza stretto ma molto comodo. Quando siamo scesi abbastanza abbandoniamo il sentiero per salire decisamente a sinistra, dapprima per strette serpentine lastricate in maniera approssimativa diversi decenni fa, fino alla Diga del Lago dei Frati. Superiamo la diga a sinistra e ci si impone di tirare il fiato; la vista della valle non ci permette di vedere il passo che vogliamo raggiungere perché rotta da almeno due ripide erte da risalire senza che da qui si scorga alcuna traccia di sentiero. Percorriamo la sponda sulla destra orografica del lago, praticamente vuoto, quasi in piano e poi scendiamo nella conca detritica dove la traccia è praticamente assente, ma frequenti segnavia indicano la direzione da percorrere. Rimontiamo ancora sulla sinistra, al confine tra la magra verzura ed i detriti, a mezza costa, ed affrontiamo le ripidissime salite, sempre su traccia molto approssimativa, che solo raramente consentono di riprendere il fiato od anche solo di fermarsi in sicurezza. Dopo un'ora abbondante che abbiamo lasciato il Lago dei Frati, ad un paio d'ore scarse dalla partenza, arriviamo finalmente alla testata della Valle e rimontiamo l'ultimo tratto per arrivare allo spartiacque tra la valle dei Frati e quella del Lago Colombo, dove si incrocia il sentiero che sale dai Laghi Gemelli e dove a sinistra, a mezza costa, si arriva con un paio di saliscendi al Passo d'Aviasco. Nonostante non sia prestissimo, perché sono circa le nove, complice una leggera copertura di nubi sembra che la luce faccia capolino solo allora riflettendosi sull'ampia superficie del Lago d'Aviasco. Iniziamo a scendere, a ritmo tanto sostenuto che in meno di venti minuti siamo sulla diga. Da qui c'è una decina di noiosi minuti per scendere alla Diga del Lago Nero e, nuovamente, tra gli impianti elettrici, alla Capanna Lago Nero, gestita dalla sottosezione CAI dell'Alta Valle Seriana. Incontriamo le prime persone di oggi, se si escludono due che salivano al Calvi di buon'ora. Da qui al paese di Valgolgio, comunque, incontreremo numerosi escursionisti, perché l'escursione non è impegnativa ed è sabato mattina. Si scende abbastanza decisamente al Lago Sucotto (ottima presa d'acqua, in teoria ce n'è anche alla Capanna Lago Nero ma oggi è poco più di un filo), posto su una bastionata che incombe sulla Valgoglio e da cui parte la condotta forzata per la centrale elettrica, e di nuovo giù prima tra rocce che ormai si sono fatte assolate e poi tra alberi e nel bosco via via più fitto. In capo ad un'altra ventina di minuti arriviamo su una bella strada forestale nella fitta abetaia che percorriamo in discesa (altra ottima sorgente) fino a raggiungere il paese di Valgolgio (non è la strada più rapida, perché per quella ad un certo punto si lascia la mulattiera per tagliare nel bosco, ma così si arriva direttamente in centro e non alla centrale elettrica). Già negli ultimi minuti della discesa, quando il sentiero segnato (che misteriosamente non si trova sulla carta della commissione sentieri del CAI BG) taglia in più occasioni la strada asfaltata, e sprazzi di pascoli si aprono sulla sinistra, in presunta direzione di Ripa, dove ho lasciato l'auto e devo tornare, inizio a cercare senza esito il segnavia biancoverde del sentiero Alto Serio, che dovrebbe condurmi alla mia meta, ma di tentativo in tentativo, e nonostante un frammento di carta che avevo visto al rifugio, scendo fino ad arrivare in centro, di fronte al municipio di Valgoglio. Qui saluto il mio compagno di viaggio Angelo, che sarà recuperato da un amico, ed affronto la parte più rischiosa della giornata, arrivare a Ripa su sentieri praticamente non segnati (io ero convinto che lo fossero, ma il duro confronto con la realtà mi ha dato torto). Le signore del locale negozio di alimentari sono in disaccordo, se sia meglio scendere sulla statale e risalire nell'altra valle, oppure risalire ad un valico con relativa cascina per scendere a Ripa nell'altro versante, oppure ancora arrivare a quelle case a mezza costa e chiedere. Ci arrivo in dieci minuti di mulattiera, ma non trovo anima viva, se si esclude una squadra di muratori degli Spiazzi - almeno stando a quello che dice il furgone - da cui non credo di venire a sapere nulla, ed allora mi affido al naso. Percorro una strada asfaltata a mezza costa per cinque minuti fino ad arrivare alla stazione ecologica di Valgoglio, a sinistra della quale si sale di pochi metri per raggiungere una casa abbandonata e cadente oltre la quale un sentiero, stretto ma non difficile, procede sempre in piano nel bosco. Questo sentiero ne incrocia spesso altri, che salgono o scendono, ed io cerco di mantenere sempre la stessa quota, anche quando è più facile a dirsi che a farsi. Non sono certo di dove sto andando, e temo quasi di finire a Colarete, frazione di Valgoglio più bassa di un centianio di metri, ma ad un certo punto, nei radi sprazzi di cielo, intravedo il versante degli Spiazzi di Gromo, dall'altro lato della Val Seriana, ed intuisco di non aver sbagliato. Altri cinque minuti, in tutto venticinque dal centro di Valgolgio, ed è chiaramente visibile la chiesa di S. Maria di Ripa di Gromo. L'ultima difficoltà e raggiungerla aggirando alcune proprietà private, ma non è un'impresa improba, solo una ventina di metri di fastidiosa salita. Eccomi arrivato, proprio mentre suona il mezzogiorno.
Riassunto
Ore di cammino: 4 ore ca il giorno I, 5 il giorno II (a fronte di un tempo previsto di 4h30'+6h45')
Quota max raggiunta: Passo di Aviasco, 2289 m slm
Dislivello in salita: 1422 m il giorno I, 529 m il giorno II
Difficoltà del percorso: EE la salita da Ripa al Passo Portula, E la discesa al Calvi e fino all'inizio della valle dei Frati, EE la salita al Passo d'Aviasco, E la discesa fino a Valgolgio e la traversata per Ripa. Per vedere il percorso, ecco il collegamento al file per Google Earth

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sabato 15 settembre 2007

Traversata Calvi - 14 e 15 settembre 2007

Ho scelto il titolo di Traversata Calvi per la non breve escursione che ho svolto negli ultimi due giorni perché il rifugio Calvi di Carona (BG), posto nella magnifica omonima conca, nota per lo svolgimento del trofeo Parravicini di scialpinismo, è stato il mio punto d'appoggio per la nottata, e perché il primo giorno mi sono dedicato alla classica via che da Gromo, in alta Val Seriana, passando per il Passo Portula conduce alla valle del Brembo, già trafficata via commerciale quando le strade erano un lusso che in montagna non ci si poteva permettere. Il ritorno, più impegnativo, mi ha invece condotto alla risalita della Valle dei Frati e la discesa nella zona dei laghi di Valgoglio.

Giorno I
Sulla carta è una traversata non facilissima ma nemmeno devastante, certo la salita da Ripa di Gromo fino al passo Portula rientra nella categoria EE ma sembra che la classificazione sia fatta per il dislivello più che per difficoltà tecniche. Allora parto con calma da Rosciate, in modo di essere sul sentiero per il ragionevole orario delle 8.45; e la prima grana la vedo subito, che io ho parcheggiato praticamente nell'unico posto disponibile, ma la strada continua asfaltata e vietata ai non residenti per altri dieci minuti di noiosa salita, per poi incrociare il segnavia che sale da Gromo (CAI BG 233) e mettersi su una mulattiera ben tenuta ma abbastanza ripida che entra nel bosco. Qui le cose si fanno un attimo più complesse perché il bosco è pieno di sentieri che si incrociano (la segnaletica è abbastanza scarsa, a dire il vero) e io finisco, nell'ordine, una volta alla stazione di presa di un piccolo acquedotto, dopo la quale il sentiero, che prima era troppo ben tracciato per essere vero, finisce miseramente contro un macigno, e l'altra in un sentiero nel quale, dopo aver camminato cinque minuti senza un segnavia, mi sorge un dubbio e faccio dietrofront, trovando dopo poco il sentiero vero. Questo tratto è abbastanza noioso e faticoso, fortunatamente appena prima del termine del bosco c'è una vivace sorgente a cui mi rifocillo. Passo sotto una baita, con annessa vecchina con annesso cane, dopodiché attraverso a mezza costa una macchia di arbusti piegando verso nord (fino adesso ho viaggiato più o meno verso est) e riesco dopo poco in una zona di pascoli dove dovrei incontrare le baite del Cardeto. Qui incontro gli unici esseri umani di razza escursionistica di tutta la giornata. La piana del Cardeto, punteggiata in alto alla mia sinistra da piccoli laghetti che volendo si possono raggiungere in pochi minuti, almeno in questa zona che è dominata dalla Baita bassa (sapete che gli alpeggi si dividono di solito in baita bassa, di mezzo e alta), è una vasta torbiera su sostrato di minerali ferrosi, che colorano di rosso la vegetazione e le acque del pigro torrente. Il sentiero inizia a salire ripido per arrivare alla baita di mezzo, che è ristrutturata ed adibita a ristoro festivo, e quindi è chiusa, dove è canalizzata una sorgente che sgorga qualche decina di metri più in alto - ma l'acqua sa di ferro...voto zero. Il sentiero si fa più ripido e faticoso piegando sotto le falde rocciose del Monte Reseda verso sinistra, e salgo tra le nebbie che ormai avvolgono me e le cime. Il passo Portula, che appare di quando in quando tra le nebbie, da qui sembra abbastanza stretto, ma so dalle relazione che è in realtà una sella ampia e comoda, e dopo una decina di minuti di sofferenza vi approdo, mentre per miracolo le nebbie, almeno dal versante brembano che ora devo discendere, si sono dissipate (o forse non ci sono mai state, il brutto è tutto alle mie spalle). E' quasi mezzogiorno, e nonostante il tempo si sia messo al bello non ho animo di affrontare la vetta del Madonnino, che mi sovrasta di ancora trecento metri sulla sinistra, verso ovest, considerando che dovrei tornare qui in ogni caso. Al contrario, è ormai chiaramente visibile il rifugio Calvi, mia meta per oggi, che in un'ora scarsa di discesa dovrei raggiungere. Visto che non vale la pena andarci subito, me la prendo comoda nella discesa e tocco, risalendo alla sinistra del sentiero, sotto un'imponente frana detritica che è scesa dal sovrastante Monte Cabianca, il Lago dei Curiosi, nei pressi del quale consumo il parco pranzo e che offre una bella vista sulle importanti vette del Diavolo di Tenda e del suo fratello minore il Diavolino. Dopo pranzo, in una ventina di minuti arrivo al rifugio dove mi sistemo e passo il pomeriggio in relax (sono infatti arrivato intorno alle 14) leggendo la relazione della spedizione himalayana del CAI BG del 1974. Incontro anche compagnia (Angelo, giovane operaio di Bossico, cugino di quella Serena che studia matematica in Bicocca) per il tratto di domani, che però adesso non ho tempo di descrivere. Alla prossima

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mercoledì 12 settembre 2007

L'antipolitica e Beppe Grillo

Non so bene perché mi arrischi a scrivere di questo tema, dato che ho tastato il polso di quello che succede a toccare l'eroe della rete, ma c'è una parte di me che è visceralmente schifata da quanto è successo sabato in tutta Italia, da quello che è stato scritto sui giornali in questi giorni e dalle quantomeno timide risposte dei politici, che tengono al consenso fino al punto di rinnegare quello che pensano.
Questo è un problema che io non ho, e sarà anche per questo che io ed i voti non andiamo molto d'accordo. Perché non ho vergogna di avere idee poco popolari, e non me ne vergogno. Quindi il lettore sappia che sta per leggere qualcosa di politically uncorrect.
Che il sentimento di qualunquismo ed antipolitica non siano una novità per gli italiani, è talmente pacifico da non aver bisogno di ricordarne la storia, da Mussolini in poi. È con un sorriso amaro, però, che leggo in queste ore la stampa italiana più prestigiosa difendere la politica da questa ondata di pericoloso populismo "viscerale", che almeno a me fa più effetto e dà più preoccupazione di quello "mediatico" che attribuiamo, a ragione, a Berlusconi & co. Il sorriso è amaro perché ricordo bene come a dare inizio a questa fase di antipolitica che ristagna e ci ammorba da quindici anni, e che pertanto è riuscita a produrre i peggiori governi della storia repubblicana, sia a destra che a sinistra (e persino l'alternativa destra-sinistra è un suo prodotto sciagurato), sia stata proprio la grande stampa, che ha levato sugli scudi l'opera di un gruppo di magistrati della Procura di Milano, che a ben vedere sono più gli arbitrî che compivano che la giustizia di cui si facevano portatori, che ha sfasciato un sistema politico equilibrato per sostituirlo con una rissosa cagnara. E, per venire a fatti più recenti, quando sembrava si stesse per esaurire l'onda lunga dell'effetto Tangentopoli, perché l'indifferenza aveva lasciato il posto allo sdegno, rilanciano con il pernicioso "La Casta" di Rizzo e Stella, al soldo del Corsera. Così ci si stupisce oggi che Grillo, il quale se da un lato è vero che non va mai in televisione e che nessuna persona sensata può prestare molta attenzione a questo Savonarola di professione, d'altro canto può vantare una comunità telematica di accoliti e seguaci che lo venerano alla stregua di un santone, e del resto non ci vuole coraggio per andare in piazza ad insultare i politici.
Ci vorrebbe coraggio da parte dei politici, invece, che quasi gli danno ragione. Come Di Pietro, che con il suo 3% non può più, nemmeno metaforicamente, agitare la rivoltella davanti al naso degli -ormai- colleghi politici come faceva da magistrato, che si schiera a fianco delle deliranti proposte grilliane. O di vari esponenti del centrosinistra, che si mettono a fare autocritica, invece di ritrovare la dignità calpestata. O del centrodestra, che gode come un matto (si dia un'occhiata al Giornale...) sostenendo che la piazza ce l'ha con Prodi e i vari "Soloni della sinistra" (cit.). Come se il problema non toccasse tutti, e non andasse risolto con serietà e dignità, smettendola di piangersi addosso e di gettarsi colpe a vicenda.
E basta perché ho scritto troppo, solo entrando un po' nel merito delle proposte di legge per cui sono state raccolte firme. La terza è giusta. Preferenze. Abbiamo parlato male della legge elettorale di Calderoli perché le ha abolite, ed intanto la bozza Chiti non le prevede, ancora. Ogni volta che un esponente del mio partito parla in pubblico, parla sempre di ripristinarle, ma mai che la cosa si traduca in opera. Perché Calderoli ha fatto un piacere a tutte le segreterie di partito d'Italia. Ma da questo aspetto un segnale di dignità dai politici, perché la base dei loro stessi partiti li attende al varco. Ricordando, tra parentesi, che gli stessi qualunquisti guidati allora da Segni hanno fatto fare un referendum per abolire la preferenza, vista come un mezzo di compravendita elettorale. Beh, almeno adesso si sono ravveduti. La seconda è semplicemente delirante. Se si imponesse, come ai Sindaci (e già questo è stato un errore, ma tant'è) il limite dei due mandati, la già poverissima - in termini di valore - politica italiana sarebbe morta. Perché un leader può benissimo continuare a fare il capo anche se non è parlamentare, e in Parlamento siederebbero soltanto pedine meno capaci ancora di quelle che ci sono già - e qualcosa di analogo è successo nei paesi dove i sindaci amministravano da decenni. Adesso è sindaco qualche fantoccio, e loro fanno esattamente come prima. Legge inutile, dannosa, delirante. E poi c'è la questione dell'ineleggibilità dei condannati, che ho lasciato per ultima perché su questa la mia posizione è senz'altro minoritaria, impopolare e provocatoria, ma non insensata. Il Parlamento non è mica la vetrina degli italiani migliori (altrimenti ci sarebbero personaggi che non potrebbero nemmeno avvicinarcisi, e vi siedono da legislature intere, e magari hanno fatto ottima politica), è la casa dei rappresentanti degli italiani; che gli italiani siano un popolo di santi ho seri dubbi. Non vedo perché a rappresentarli dovrebbero essere chiamati dei santi. Anche un condannato, per qualsiasi tipo di reato, è un cittadino. Dunque deve godere dei diritti del cittadino, di tutti i vari "diritti umani", che adesso vanno di moda, ma anche di quelli politici.

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martedì 11 settembre 2007

Fine settimana al Lido di Jesolo

Complice il lavoro dei miei amici, nonostante le loro solenni promesse che risalgono all'incirca al mese di febbraio, si riduce sempre di più il tempo che resta per fare una vacanza in compagnia.
Che poi non sarebbe neanche vero, perché il tempo c'era, volendo, ma in corso d'opera i vari hanno avuto priorità diverse, che hanno fatto loro allungare le ferie in periodi diversi, e quindi alla fine è andata così. In tal modo, a dispetto delle previsioni che volevano nove giorni di vacanza nella casa in quel del Lido di Jesolo, siamo riusciti (e dovremmo forse dire grazie) a fare un fine settimana soltanto - che, per chi ha guidato cioè io, è stato passato più al volante che ad intrattenermi in qualsiasi altra attività. Non ho ancora recuperato le foto che prima o poi pubblicherò da qualche parte, quindi mi limito ad un breve (compatibilmente con la mia logorrea) riassunto.
Si parte venerdì alle 18.30, Fabio e Daniele oltre a me, perché il Tar ha dato, al solito, buca all'ultimo e con lui abbiamo ricevuto la defezione della sua auto, per cui ho dovuto prendere su la sempre più moribonda Ulysse. Viaggio tranquillo (nonostante un incidente sulla tangenziale di Venezia) e cena al Vecio Piave di Caposile (l'apparente contraddizione si spiega con il fatto che, prima di imponenti opere di canalizzazione, il Piave (detto "Vecchio") arrivava nella località che, ora, è dove arriva il Sile tramite il canale detto "taglio del ~" e si avvia alla foce nel vecchio alveo del Piave - dunque a Caposile c'è il Vecchio Piave). Cena veramente luculliana, una fiorentina a testa, una costata di puledro per chi ha ancora fame, abbondante dessert, chiacchiere con il cameriere che quasi non ci lasciava andare più via, dai buoni clienti che siamo stati.
Dopo cena salto in centro per vedere che aria tira - poca gente, venire in questo periodo ha controindicazioni - beviamo qualcosina al gasoline e via a casa. Il giorno dopo viene l'ora di fare la spesa, cosa che porta via tutto il mattino perché cerchiamo sempre il miglior rapporto qualità-prezzo-grado alcolico. Pranzo alla griglia, ancora una fiorentina a testa più un ottimo filetto al pepe verde, e finalmente beviamo seriamente, in quanto nella spesa ci siamo procurati lo zio Jack ed anche l'acqua tonica per fare whisky and soda. Dopo pranzo salto in spiaggia, giusto per dire che ci siamo stati, e torniamo a casa per cena (ancora abbondante). Poi si esce e si torna in centro, si beve qualcosa e si viene a sapere che c'è Franchino all'Aida. Già, visto che non siamo a quaranta minuti d'auto dal Matrix, per quando lo vogliamo vedere, e c'è proprio BISOGNO di vederlo a Jesolo...però l'ingresso è libero, per cui l'unico problema rimangono i tre quarti d'ora di coda prima di entrare nel locale. A casa presto, verso le due e mezza, ma su ancora un'oretta bevendo e mangiando schifezze. Finalmente si va a letto, ma tanto ci si alza l'indomani in tempo per andare a messa...pranzo (finendo il filetto ed altri generi alimentari aperti) e pulizia generale, ritorno a Rosciate per le sette. Un soffio.

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mercoledì 5 settembre 2007

Ma quanto è lunga la Malga Lunga?

La domanda, ça va sans dire, non riguarda le dimensioni della malga (benché la cosa deve aver impressionato i battezzatori del luogo, per darle quel nome), ma il sentiero che vi porta, partendo da Gavarno Vescovado, frazione tra le più amene di Scanzorosciate. Misura infatti un trentacinque-trentasette chilometri, portando fino alla località Monte di Sovere, a cavallo tra la Val Gandino e la Val Borlezza, e ci vogliono un sei ore circa per raggiungerlo.
Ci siamo andati ieri con mio fratello, trascinato giù dal letto controvoglia, come sempre, ed all'andata abbiamo dovuto aggiungere la discesa per la Valpiana fino a Gandino, dove abbiamo preso la corriera per tornare indietro, che, insomma, prende anch'essa quasi due ore - specialmente se, come mio fratello, invece che fare il sentiero si vuole a tutti i costi seguire la strada con i suoi mille inutili tornanti.
Cos'è la Malga Lunga? Solo due parole, perché tanto c'è la voce su Wikipedia; sarebbe la malga dove si rifugiava una banda partigiana delle brigate Garibaldi, presso la quale uno scontro con i militi della Repubblica Sociale causò la morte di un paio di loro in situ e la cattura e successiva esecuzione degli altri, per un totale di sette morti, di cui quattro erano russi disertori. Tanto è bastato per trasformarla in un museo della resistenza, gestito dall'ANPI durante i fine settimana estivi, e per intitolare il lungo sentiero da Scanzo alla memoria di uno di detti partigiani, che essendo di Gorle, presumibilmente, doveva fare quel sentiero per andarci. In maggio l'ANPI di Scanzo organizza la camminata sul sentiero che abbiamo fatto, e devo dire che camminare, come ho fatto l'anno scorso, sapendo che nei punti tali ci sono posti di ristoro e che un sacco di altre persone lo stanno facendo insieme a te è decisamente più rassicurante.
La camminata è troppo lunga per descriverla, e ci metto il solito file di Google Earth che basta come descrizione (tra l'altro il sentiero è pieno di indicazioni per la malga). L'unico appunto è la tratta da Bianzano e la Forcella di Ranzanico: quel sentiero è un incubo, tanto la pendenza è notevole e costante. Non so se riuscendo a restare in cresta, ché i sentieri ci sono, sia meglio, ma prima o poi mi ci metto apposta.

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