mercoledì 27 agosto 2008

Kant

Legge morale...

Tra i fischi dei rimorchiatori, l'Invicta si avvicina alla banchina del porto. I fumi delle vaporiere riempiono l'aria, come se una nebbia nera e pesante si alzasse ad ondate dalla superficie del mare; i mozzi abbassano la passerella ed aprono il cancello; i passeggeri, che si erano accalcati sui ponti per salutare agitando i fazzoletti i conoscenti che li attendono, premono disordinatamente e ad ondate scendono in città. Prima i passeggeri di prima classe, i gentiluomini con i cappelli a cilindro o le pagliette, a seconda se il viaggio è di lavoro o di piacere, e le signore con le velette; poi, via via, la seconda classe e la terza. La folla di curiosi, per l'arrivo del transatlantico, ed i parenti e gli amici, ed i portatori ed i garzoni, tutti lasciano la banchina, che rimane deserta, salvo - in un angolo - quella carrozza con le tende socchiuse, da cui si scorge - a tratti - una mano guantata che scosta le cortine, ed il cocchiere a cassetta.

Il mozzo, dalla nave, si guarda attorno; deve verificare che tutti siano scesi, prima di levare la passerella. Urla sguaiato, che tutti devono scendere, e se qualcuno è rimasto indietro. Solo allora, mentre i fumi si stanno diradando, perché le macchine sono ferme, da una cabina del primo ponte esce Lui. Barba fatta di fresco, baffi impeccabili. I guanti nella sinistra, ed il bastone da passeggio nella destra. I suoi bagagli, qualcuno li ha già scaricati, e fatti portare a casa. Scende lentamente - non ha fretta, e gliela devono fare i mozzi che, alla fine dei conti, lavorano e non hanno tempo da perdere - e, dopo aver messo i piedi sulla terraferma, si guarda a destra e sinistra. Si sofferma un attimo, come a valutare la direzione più conveniente, e poi si incammina a destra. Così facendo, finisce per passare accanto alla carrozza; e, in quel momento, la porta si apre, e la proprietaria della mano guantata scende agilmente.
«Le sono mancata?»
«Senz'altro», e così dicendo la stringe tra le braccia, si avvicina al suo viso, e si ferma.
«Cosa fa?»
«Nulla. Attendevo la sua reazione». E, così facendo, la lascia, le volta le spalle, e riprende il cammino, con passo lento.

Allora, Lei gli corre avanti, gli si para di fronte, e gli si getta fra le braccia. Esitando, Lui decide di non rifiutare l'abbraccio.

«Ci ho pensato, signore; e penso che, se lei vuole, potrei essere sua, stanotte. E per quella a venire. E per altre cinque, ancora».
Lui sospira, come a tradire la soddisfazione per un'attesa durata a lungo; per un attimo, sembra che possa rispondere. Poi si ferma.
Sospira di nuovo; questa volta sembra come l'ultima parola di un lungo discorso, che parla di speranza persa, e di fiducia tradita. La mascella gli si serra, ed aggrotta le sopracciglia. Poi si ferma, ancora.
Sospira di nuovo; scuote la testa, ma la sta scuotendo a sé stesso. Chiude gli occhi, e le labbra si inarcano leggermente. Sembra rassenerato.
«No, signora. Non voglio. Non posso».

Lei sembra contrariata; lo è. Lui ha abbandonato l'abbraccio, e Lei gli gesticola sotto il naso.
«L'ha voluto lei. Non funzionerà mai, tra noi. Lei è troppo difficile, e mai contento»
«No, è lei che è troppo disinvolta. E, se non matura, non vorrò mai avere niente a che fare con lei».

Non ci sono più parole; Lui si volta, indossa i guanti, e si avvia lungo il marciapiede. Lei rimonta sulla carrozza, si chiude dentro, e sta.

...o massima immorale

Lui cammina veloce, sul selciato umido. Continua a scuotere la testa, leggermente, come continuando il discorso con sé stesso. Ad un certo punto, la strada passa su un ponte, sotto il quale scorre tranquillo un canale. Si ferma, e guarda le acque limacciose che lente si avviano al mare. Si liscia i baffi. Le labbra si inarcano leggermente, ma questo non è un sorriso, è un ghigno.
«Ed ora la fase due».

Alle sue spalle, la carrozza si è messa in moto.

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