Uno si aspetta che, il mattino dell'ultimo giorno, il clima del campo sia significativamente più commosso del consueto. Oppure, come minimo, più frenetico. Invece, quando apro gli occhi, come sempre accolto dal fragore del Rio Nero, la stanza è addormentata, o quanto meno lo sembra. Il primo rumore di origine umana è una delle mogli, che viene a raccattare robe da infilare in valigia. Per fortuna che ci sono le mamme, insomma, che in cucina stanno già affettando gli affettabili, che diventeranno affettati da inserire nel pane, cioè il nostro pranzo; mamme, se non ce ne si fosse accorti, un po' apprensive, tante da essere scese in due alle sei del mattino, per verificare il motivo della porta aperta del Mulino, sia mai che un maniaco omicida si sia spinto fino ai mille e tre e, armato di mannaia, abbia deciso di far strage di dodicenni...ma, se da un lato l'apprensione appare eccessiva, dall'altro risulta utile perché è servita per tenere traccia dei movimenti non autorizzati nella notte, avvenuti dopo che l'ultima ronda si era ritirata, ed in sufficiente silenzio perché, all'alba, solo alcune delle notizie, frammentate e frammentarie, fossero riuscite a diffondersi.
Mentre il cielo e le nubi continuano a mutare, passando da brutto brutto a brutto, per bruttissimo e forse si fa fuori, decidiamo di azzardare la messa all'aperto; e - secondo me in seguito alla lettura di alcuni capitoli del Piccolo Principe che non avevo calcolato - arriva qualche goccia, che ci fa accelerare, e poi - a messa finita, mentre si caricano i pullman - inizia a piovere seriamente, e nuovamente cala (o sale dal fondovalle, boh) la nebbia. Dopo esserci divisi tra terza media e privilegiati da una parte, e resto del mondo dall'altra (divisione che mi vede contrario, ma ricalca quella dell'andata, e poi in qualche modo bisogna procedere), scendiamo a raggiungere la Statale Aurina, e ci infiliamo in coda, come se tutto l'Alto Adige volesse scendere a Brunico, ma più probabilemnte la ragione del caos è la Festa di Ferragosto di Campo Tures, che ci tiene inchiodati per quaranta minuti mentre sfila tutto lo sfilabile, dal soccorso alpino a tizi che vanno in giro in fiamme - o immersi nell'acqua delle viti, ché l'effetto è simile). E così perdiamo tempo, mentre non si capisce se dovremo fermarci nuovamente ad Arte Sella, ché questo è un altro gruppo, ma il tempo dev'essere a dir poco incerto anche in Valsugana; mentre qui piove a dirotto, ed il traffico dev'essere bloccato alle nostre spalle praticamente fin dove c'è una strada, ed in senso opposto da Brunico.
Chissà se in Alto Adige hanno mai il sole. Sia all'andata, che ora al ritorno, il nastro d'asfalto si snoda tra verdi vallate, accanto a torrenti o fiumi più o meno impetusi, tra alte pendici distese di abeti, avvolti da nubi e sotto un cielo di piombo. Anche le viti, che danno questo vino di montagna, trogno trogno, e molto buono, non si capisce dove prendano il sole per fare lo zucchero. Come nei clichet da Studio Aperto, i nostri ragazzi sono - ora, al ritorno, morbosamente attaccati al cellulare, con cui si telefonano, videotelefonano, messaggiano, infrarossano e bluetoothano stupidate gli uni gli altri, telefonano (inserisco queste righe prima che credano che io non li ascolti né li veda) ad amici assenti per raccontarsi le avventure, gli amorini e gli amorazzi, loro uomini fatti a dodici anni (ci sono stato insieme due giorni, ma non che ne avessi voglia. Adesso l'ho passata al tal altro). E si avvicina l'ora del pranzo, e non accenna a smettere, ed il problema di dove fermarci per il nostro packed lunch.
Concordiamo (più o meno) su Trento, che ormai è diventata la tappa fissa dei viaggi per i campi estivi (insomma, negli ultimi due anni ci siamo sempre fermati, e per qualche motivo tornando sul ponte che scavalca la ferrovia, o entrando nell'isola pedonale, o facendo ingresso nella piazza, in faccia al protiro del duomo, è come se non fosse passato un anno, e fossi ancora in giro con il walkie talkie del Brevi, per muovere insieme la colonna). Ma, a differenza della volta scorsa, e di quella prima, ed in sostanza di sempre, a Trento fa freddo (o, almeno, non caldo). Mangiamo in piazza e tentiamo, tra le resistenze più o meno accese, di realizzare foto segnaletiche di tutti i partecipanti al campo, e via di nuovo, giù per la Val Lagarina.
Tra le proteste di alcuni, e l'entusiasmo dei più bambini, ci accompagna il DVD con la serie di Heidi, in cui il don sostiene di aver trovato il proprio modello antropologico di riferimento, il nonno (ed io il mio, la Signora Rottenmeier, faccio una battuta e subito tutti i ragazzi "ehi, questa signora è come il Casati"); almeno fino all'autogrill, dove uno acquista il film di Alvin Superstar, ed i cartoni di quando ero piccolo erano molto più belli.
Ma ormai, superato un violento temporale dalle parti del lago di Garda, siamo in dirittura d'arrivo; e, dopo aver trascinato a ritroso i miei bagagli da Scanzo fino a casa, declinando le molte offerte di accompagnamento, perché volevo tornare così come ero partito, ho potuto finalmente pronunciare, sull'uscio della casa deserta, il fatidico
«Sono tornato!»
2 commenti:
Mi consenta, ma la figura in questione è un tale idolo che non si può storpiarne il nome: signorina Rottenmeier, prego. Ci tiene molto, sa.
Grazie della correzione, sistemato.
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