Birnlücken Hütte, o non è un sentiero per vecchi
Il mattino (o meglio, la tarda notte, ché la sveglia per me suona - metaforicamente, perché non ho mai avuto bisogno della suoneria del cellulare - prima delle cinque, per verificare il tempo), si osservano umidi vapori e soffi di lampi che si inseguono sulla mia testa, e poi giù sopra Lutago, fra le cime della Valle di Riva e poi giù nel fondovalle. Ma sono come gli ultimi scoppi dei fuochi d'artificio, e verso le cinque il tempo, pur restando minaccioso, dà evidente segno di calmarsi, e si decide di dare al sveglia e partire. In effetti, già prima delle sette, mentre la nostra colonna assonnata scende a Klammerhöfe per prendere l'autobus, il cielo si sta aprendo di sereno. Il viaggio verso Casere è lungo, anche perché la compagnia è quasi integralmente addormentata e c'è poca conversazione da fare. Alle otto meno dieci, sbattendo per il freddo e guardando con invidia l'Epo che sembra resistere in canottiera, briefing sull'escursione del giorno e preghiera del mattino.
Il sentiero (la stradetta) si inoltra pianeggiante verso la testata della Valle Aurina (ormai l'ho capita, Ahrntal), tra alpeggi ameni ed il torrente spumeggiante, per chilometri ombrosi e freddi, fino a scontrarsi sul primo zoccolo glaciale, e ad affrontare la via dritta fino a Lahner Alm (1980 m), che era la tappa intermedia, che in teoria - facendo affidamento ai tempi delle guide - doveva essere l'obiettivo per i non camminatori, ma - a parte una che era oggettivamente e seriamente inferma - gli unici a fermarsi, in cinque, lo hanno fatto molto più per poca voglia, o per interessi altri rispetto alla condizione fisica ed alle condizioni della montagna. Dopo la malga Lahner c'è una vasta piana acquitrinosa - ed è l'unica zona umida convincente trovata nelle nostre escursioni, e poi un nuovo, cattivissimo, zoccolo glaciale, che per analogia chiameremo la strada tortuosa, e che per oltre quaranta minuti di ripidi stretti tornanti da sputare sangue e non solo. Ci si alza, una rampa dopo l'altra, senza avanzare di un metro, ma solo innalzandosi come in ascensore, finché si sbuca nella testata della Valle Aurina. Non che il sentiero si plachi, fino al poggio su cui sorge il rifugio Brigata Tridentina (2441 m), preannunciato dalle bandiere gemelle (come De Vito e Schwarznegger, cioè una minuscola e l'altra enorme) di Italia e Tirolo, il che indica che si tratta di un rifugio CAI, perché gli altri non hanno quella italiana, e da una croce in ferro battuto e smaltato di rosso. I rifugisti - questi sì, veri rifugisti e non albergatori - si informano sulla nostra meta e ci informano sul meteo, preannunciando grandine; infatti, il cielo si è già nuovamente chiuso. Con un piccolo gruppo, dopo esserci ricompattati, proseguiamo per la nostra meta definitiva, la Forcella del Picco che ci separa (o unisce, termine esatto trattandosi di un evidente valico commerciale) dall'Austria, e la raggiungiamo spazzati dal vento, e reclamiamo al sacro suolo della Patria e del Re almeno cinque metri del territorio oltre il confine austroungarico, confine varcato in armi, cioè armati da racchette da escursionismo. Abbiamo poi mirato ad ottenere posizioni lungo la cresta sud, ma l'inizio di avverse condizioni meteo ci ha impedito di completare lo schieramento, che speriamo poter concludere la settimana successiva, quando saliremo con le medie. Sul confine abbiamo poi girato un video che testimonia l'uso, ancora attuale, del passo per il contrabbando di generi di consumo quali i cappelli tirolesi.
Scesi al rifugio ci siamo accorti che la poca pioggia gelata che avevamo preso non era nulla al confronto con l'acqua e la grandine che aveva afflitto le nostre retrovie, e con quella che renderà un tormento la spedizione del secondo gruppo al confine. Dopo aver esasperato il rifugista per la nostra prolungata e chiassosa permanenza, abbiamo intrapreso la discesa, interrotta da soste alimentari alle varie malghe gestite lungo il percorso, recuperando per strada i nostri figli perduti di Giuda, provando un bicchiere di retrogusto (succo di sambuco!) ed aspettando che gli elementi si scatenassero, ed arrivasse il nostro autobus. Gli elementi, che in fondo ci sono stati soltanto mediamente avversi, decidono di infierire contro di noi nelle poche centinaia di metri che separano la fermata dell'autobus dalla casa, ed arriviamo tutti fradici; ma non ci abbiamo mai messo così poco a fare questo tratto di strada. Il maltempo fa saltare anche i programmi di falò vari per la serata, in quanto - anche se non piove più così forte - il cielo è minaccioso e coperto. Curioso è il fatto che il temporale abbia intorbidato le sorgenti, e l'acqua sia di un gradevole color grigio terra; non diciamo le rivolte per la doccia.
Ma, se di rivolte si deve parlare, allora passerà alla storia, nelle pagine della colonna infame, la notte - o meglio, il tempo dopo l'ora di ritirata. Individuato e ritirato il nettare per libagioni non autorizzate giù al Mulino, e terminato il film-facoltativo, che avremo visto sì e no in dieci, è il momento di mandare a letto gli adolescenti, troppo stanchi per tutto fuorché per fare casino. Iniziano male, perché al gentile (e, stavolta, non è ironico) invito a ritirarsi nelle proprie stanze nei confronti di quelli che erano nella stalla, al calcetto o sotto le promiscue coperte dell'esterno, salta su un irragionevole - e palesemente alterato, fossero ormoni alcolo o droga non mi si è lasciato indagare, ma ho chiaramente le mie idee - tribuno della plebe, che inscena una rissa alla G8 ad un richiamo più fisicamente esplicito. Essendosi così fatta tesa la situazione, ed aggravata da inutili ed infantili sottospecie di vendette trasversali, le disposizioni che ricevo sono ritirarmi nella mia stanza e lasciar esplodere le contraddizioni. Improvvisati comizi, moti oscillatori tutti fuori, tutti dentro, violenti contrasti in loro seno, e situazione ampiamente fuori controllo perché siamo stati bravi (eh?) per una settimana, oggi facciamo quello che vogliamo, e vogliamo essere liberi ed autorizzati a farlo sono i rapidi passi verso la catastrofe pedagogica che deliberatamente alcuni di noi teorizzano; ma qualcuno di noi teorici, e facciamo nomi, Eriberto, interviene prima della catastrofe finale, ed a mio avviso così si perde un po' di incisività, sgridandoli ed insaccoapelandoli prima che si ammazzino fra loro, che è - in fondo - quello che vogliamo.
E paziente, immobile ed inattivo in camera mia - come da ordini - annoto ed annoto, né verrà perduta una sola loro parola. E ci si addormenta per l'ultima notte.
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