sabato 5 aprile 2008

Dice la sua

Chiara elenca in un post i punti di domanda che spesso le affiorano in mente, e - certo con un colpo di genio - Ronkas le risponde.

Leggendo soprattutto le sue prime risposte, la mia prima idea è stata quella di lasciargli un commento in cui le contestavo; poi, ho pensato che da una parte avrei abusato della sua ospitalità, dall'altra che non avrei avuto lo spazio di trattare le domande come alcune di loro meritano. Del resto, le prime attività di stamattina mi hanno messo, contro ciò che c'è di buono e giusto ma grazie alla dinamica del l'avevo detto, di buon umore, e quindi non ho voglia di sprecarlo subito andando ad immergermi nelle varietà PN, o peggio nei compiti di Oleari.

Si pensa che l'isolamento sia una cosa negativa?
La prima risposta sarebbe: e chi lo pensa? Poi, in effetti, basta guardarsi intorno, osservare la smania di relazioni delle donne e degli uomini, ed in effetti viene il dubbio che, se ci si dà tanta pena per evitare l'isolamento, almeno almeno l'idea che sia di per sé negativo e vitando non sia così peregrina. Rimangono, però, due fatti. Il primo, che l'isolamento non è - non sempre, almeno - una situazione da cui fuggire, ma spesso è indispensabile per ritrovarsi. Sfido chiunque a capire chi è, cosa sta facendo e cosa vuole fare durante una cena con i soci. Secondo, che sì, lo credo anch'io, saremo premiati per il bene che abbiamo fatto piuttosto che per il male che abbiamo evitato di fare, ma non per questo siamo autorizzati ad andare in giro a ferire il prossimo. E ci accorge da soli quando non è giornata, ed a stare con gli altri non potresti fare loro che del male.

Si collega il silenzio con la tristezza?
Io, a dire il vero, ho sempre collegato il silenzio alla riflessione. È vero, d'altronde, che quando uno scoppia di felicità non si siede a riflettere, generalmente, ed è uno che ha delle storie che, solitamente, tende a perdersi in pensieri. Comunque boh, tristezza e felicità sono due categorie molto lontane dal mio modo di vedere il mondo - non che non veda dove possano trovarsi, ma mi sembrano inadatte a fondare ontologia ed etica (con buona pace di Aristotele). Inoltre, ho l'impressione che tanto pensiero, comune ma anche colto, le innalzino a tal punto quale orizzonte di riferimento che, a torto, uno tende a ricollocare ogni cosa sotto le ali dell'una o dell'altra. Un po' come in Italia si assolutizza destra e sinistra con gli effetti esilaranti messi in luce da Giorgio Gaber in Destra Sinistra.

Si presume che parlare=sentirsi a proprio agio?
Questo non è vero in generale. Ad ogni modo, di solito si ritiene che quando uno si senta a proprio agio tenda a lasciarsi andare, e quindi - se in compagnia - si metta a parlare. Poi ci sono contesti in cui il parlare non è segno di spontaneità, e spesso vedi che è proprio chi parla, da come parla, che si sente talmente a disagio da trovare nelle parole - spesso a vanvera - una via di fuga dalla situazione.

Si confonde riservatezza con timidezza?
Non volevo scrivere è colpa dei tempi, ma le ultime risposte sono sintetizzabili in questo modo. Se siamo immersi in un sistema di ostentata ed esasperata gioiosità e compagnoneria, la persona riservata è fuori posto, direi quasi fuori tempo, e non può essere accettata come "normale". Per questo si tende a sovrapporla a quella che può essere considerata una patologia, o (mi si prenda il termine con le pinze) una devianza dallo standard, cioè la timidezza. Non è tempo per i timidi, ma per gli squali.

Ci si ostina a pretendere che siamo tutti uguali?
Perché è decisamente più facile orientarsi in un mondo fatto sulla propria misura che dover considerare di adattarsi diversamente alla misura di ciascuno degli altri.

Perché scrivo su un blog
Perché è molto spesso parlare senza dire, e quando si dice qualcosa viene facilmente perso nel flusso. E rimane un'estetizzante vuota vetrina.

Perché si prova invidia?
Perché il bene degli altri, in fin dei conti, non è una nostra priorità. E ci comportiamo come se esistesse una quantità finita di bene; per cui, una goccia in più per il mio fratello è una in meno per me.

Perché si fa del male?
Questa è dura. Si fa, in effetti, male alle persone a cui non siamo legati, ed è un conto; semplicemente, si mette al primo posto sé stessi, e costi quel che costi. Ma ben più misterioso e grave è quando si fa male a chi ti è vicino, a cui non vorresti fare male, e ti risolvi a farlo. Perché un bambino di tre anni dice "ti odio" alla mamma? La mia impressione è che, alla fine, siamo tutti come quel bambino. Abbiamo ricevuto una carezza che non volevamo, ci sentiamo traditi per un nonnulla, pensiamo di poter fare da soli, di avere il diritto di farlo. La radice del nostro Male.

Perché ti va sempre via la voce?
Canti troppo, secondo me.

Si crede che sia importante qualcosa per gli altri poiché lo è per noi?
Perché è molto difficile uscir fuori di noi, e guardare tutto con sguardo obiettivo, e vedere noi stessi con lo stesso sguardo che gettiamo sugli altri. Siamo immersi nel nostro mondo; gli altri singolarmente sono un altro universo, ma non abbiamo modo di "misurarlo" se non dal nostro sistema di riferimento. Se non lo facciamo, è come se esistessimo solo noi. Ma se lo facciamo, lo facciamo da una prospettiva sbagliata - sbagliata per loro, ma non per noi.

La scuola non funziona coerentemente?
Perché, le persone sì?

C'è gente che non ordina secondo ragione [inserire la cosa disordinata]?
Lo fa per metterci alla prova, ovvio. Vuole vedere se perdiamo la pazienza.

Le nuvole fuggono ogni malumore?
Evidentemente ci sono tipi diversi di meteoropatia. Ci sono nuvole e nuvole. Di certo, i cumuli bianchi che sembrano di cotone, quelli che ci si metteva ad indovinarne le figure, non fanno per me. Sono come dei putti cinquecenteschi. Di cattivo gusto.

Siamo come un paio di forbici?
Non condivido questa metafora. Sulle prime, l'avevo letta come "siamo bravi a separare quello che è unito", e mi ci trovavo di più. Due tendenze divaricate nel genere umano, sinceramente, non le vedo con così importanza. Piuttosto, molto meglio essere il perno, che è la parte che sostiene gli sforzi delle forbici ed è l'unica che rimane ferma. Le lame, l'impugnatura...sono solo folclore, o quasi. Parlando in fisichese, i momenti delle forze sono tutti calcolati sul perno.

4 commenti:

Ronkas ha detto...

Ehm, volevo specificare, se questo può essere ancora ambiguo, che quel mio post non è certo frutto di malizia, contestazione o superbia; né aveva lo scopo di mettere a disagio qualcuno.

Non è per colpo di genio che ho avuto quelle risposte: sarà che vedo il mondo (magari errando) più semplicemente; o che ancor più banalmente non sono quelle le mie principali e totalmente indecifrabili perplessità.
Il mio scopo era solo offrire un punto di vista, che può essere condiviso o meno.

Buona domenica!

Cassa ha detto...

In effetti, Ronkas, il dubbio non mi aveva nemmeno sfiorato. Sarei quasi curioso di sapere da cosa l'hai erroneamente dedotto - volevo soltanto dire come io avrei risposto (ed ho risposto) molto diversamente ad alcune delle domande, e che piuttosto che lasciare un commento con scritto "secondo me, invece" ho fatto un post a parte.

Buona domenica anche a te

Ronkas ha detto...

No, no, tranquillo, non ho dedotto nulla; semplicemente mi piace mettere ben in chiaro, esplicitare le cose per evitare qualunque fraintedimento, sono fatto così.
Niente di che, buonanotte! :)

Chiara ha detto...

Non capisco cosa potrebbe centrare la malizia...

E chi vi capisce! Grazie dei pdv comunque.