lunedì 21 aprile 2008

Milàn la brusa

Questo fine settimana è da segnare; non tutto rose e fiori, e probabilmente se dovessi scrivere di un altro umore verrebbe un post decisamente meno brillante, ma stasera - complice il fatto che mi sembra di essere in grado di rilassarmi senza sensi di colpa, per una volta - vengo meno al mio impegno segreto di non scrivere mai di un fine settimana prima che sia passato almeno un giorno, per riorganizzare le idee ed il materiale, e dare una descrizione depurata dalla luna del momento; e lo farò cercando di vedere la cosa sotto la migliore luce possibile. Ma, così facendo, scivolerò nel politicamente meno corretto - i miei lettori lo sanno, e non si faranno grossi problemi.

Venerdì pioveva. Bella scoperta della mutua, ma la cosa ha una rilevanza non indifferente se hai dimenticato l'ombrello in chiesa la settimana prima, e per orgoglio sei in giro senza - e senza cappello, perché con la giacca marrone non avevi a portata di mano quello che si adattava. Dopo catechismo, e dopo aver lungamente festeggiato il compleanno della suora (abbastanza a lungo per mangiare troppe brioches, questo è certo, e la marmellata mi ha rovistato nello stomaco per tutto il sabato), siamo usciti con la compagnia dei soliti soci ed abbiamo tentato di frequentare l'ormai consueto Jam. Dove un gruppo di pseudorockers suonava, ed il locale era impraticabile - anche perché il palco solitamente è invaso da tavolini, e lo spazio in meno si sentiva. Ripieghiamo sullo Smart, che ha la particolarità di essere aperto ventiquattr'ore su ventiquattro tutta la settimana, e di essere stato - almeno a mio avviso - un pessimo investimento, perché, sebbene mai vuoto, la sera non ha certo chissà quanti clienti. Ad ogni modo ci ha preso un languorino - inspiegabile considerata la quantità di dolciumi ingurgitata poco prima - ed abbiamo ordinato una pizza da dividerci (il bello di un locale senza orari è che la cucina non chiude mai) e un Muller Thurgau per mandarla giù. Peccato che la cameriera dopo pochi minuti torni a dirci che, a dispetto della carta dei vini apparentemente nutrita, il Muller era finito e ci consigliava un qualcosa del grillo, siciliano. Benché tutti gli sguardi convergano sopra di me, perché di solito sono io a scegliere il vino, ed io mostri evidente titubanza per un vino a me ignoto, e per giunta siciliano (e, quindi, lontano dalla delicatezza di quello che avevo ordinato), Epo al mio fianco si decide a confermare, e così ci portano quest'altro vino. Non sono così esperto per poter dare un giudizio consapevole, ma direi che chi ha consigliato ha visto abbastanza giusto, perché il profumo era molto simile a quello che avevo in mente. Il grado alcolico, ovviamente, no - ma di questo me ne sono accorto solo al mattino, per quel leggero mal di testa da alcol. Siamo rientrati, ancora sotto la pioggia battente, tanto battente da aver ritenuto di chiederci da dove andasse a prenderla tutta quell'acqua, che ormai è quasi una settimana che piove senza posa, relativamente presto, e sono andato a letto volentieri.

Il giorno dopo, infatti, ho dovuto mettermi alla scrivania di buon'ora, ché tra compiti di meccanica e cose da sistemare della tesi si preannunciavano due giorni di fuoco. E la mattina ho tenuto fede all'impegno, sistemando delle dimostrazioni - ed ottenendo la prova che R, tensore di compatibilità per una varietà PN, è una 1-forma, sotto un certo punto di vista - e mettendomi con impegno su meccanica, pur senza cavare un ragno dal buco. Pranzo frugale, e di nuovo a faticare senza risultato. Mi ha chiamato Fabio, spezzando un po' il pomeriggio e tirandomi un po' fuori dal delirio in cui ero sprofondato - tant'è che, al mio rientro, avevo sviluppato il metodo di risoluzione del primo esercizio - per scrivere il regolamento dell'utilizzo delle sale dell'Oratorio, di cui all'ultimo Consiglio, cui non avevo potuto partecipare per una concomitante riunione, si era finalmente approvata la revisione. Sono poi rientrato a casa, ma non per molto tempo, perché è presto venuta l'ora di andare a suonare messa.
La sorpresa arriva quando, di ritorno a casa, riaccendo il telefono. Mi è rimasto un messaggio di un'amica, per invitarmi ad uscire insieme ad amici suoi a Milano. Ora, va bene tutto - e, in particolare, andava molto bene l'invito così insolito - ma convincere mio fratello, che pur essendo più giovane ha una sorta di diritto di prelazione sull'auto, per quanto riguarda il sabato sera, non è stato facile e mi sono state strappate faticose concessione. Sono comunque partito, per raggiungerne la casa, dove avremmo preso la sua auto per andare a Brugherio, e da lì avremmo nuovamente cambiato auto per raggiungere Milano; secondo gli accordi, ero atteso tra le nove e le nove e mezza - interpretate come nove e mezza, perché tanto mi si fa sempre aspettare un po'. La sorpresa arriva quando mi chiama alle nove e ventisette, dicendo di essere in ritardo e che eravamo attesi a Brugherio alle nove. Al che, rassicurata sul fatto che in dieci minuti sarei arrivato, mi viene risposto: Ma come sei quasi qua? Io devo ancora vestirmi! - e, soprattutto, arrivato a casa e citofonando, mi si risponde Ti fa niente aspettare venti minuti? Da mettersi le mani nei capelli e ridere; mi sono messo a passeggiare nel quartiere di iperperfettissime villette a schiera, e i venti minuti alla fine sono stati poco più di dieci. Compiuto tutto il carosello automobilistico poc'anzi descritto, arriviamo a Milano, zona Navigli, e ci imbottigliamo nel più assurdo ingorgo che abbia mai visto un sabato sera, neanche a Ferragosto a Jesolo. Due ore, e tre punti d'interesse diversi, per trovare parcheggio. Che, in realtà, avremmo trovato quasi un'ora prima, se non avessimo sfiorato una rissa per la precedenza di occupazione e non l'avessimo data vinta ad un simpatico residente tèca béga. Siamo finiti al bar - ritrovo di una certa sinistra - perché? perché? di fronte a cui è stato ucciso da fascisti (la via di fronte è una via fascista, pare - mi chiedo se significhi che lì resistano gli ultimi reduci della repubblica di Salò, come i giapponesi in mezzo all'oceano) il famoso Dax di Dax vive. E, visto che non si parla di corda in casa dell'impiccato, ho iniziato un crescendo di battute su fascio infame servo con le lame che appare sui muri dalle mie parti - ma sono stato presto fermato dalle parole convincenti della compagnia e dagli sguardi assai più convincenti degli altri avventori. Locale abbastanza vuoto, a dire il vero, fatto salvo il calcetto a cui volevamo giocare. Il mattatore della serata è, come già nell'altra occasione in cui ero uscito con parti della medesima compagnia, Marco, che riesce a scatenare acerrimi diverbi, sposando, in tutte le questioni che si affrontano, le posizioni meno difendibili. Partendo da piuttosto che invitare una donna a cena, farle regali, uscire con lei per diverso tempo, senza avere il risultato assicurato, meglio andare con quelle che si fanno pagare, spendi meno ed hai quello per cui paghi a Israele è come la Germania nazista. Senza di lui, magari, la conversazione languirebbe nel banale. Con lui, è un miracolo che non si sfiori la rissa. Considerato, ad ogni modo, che non abbiamo raggiunto il locale prima dell'una, siamo venuti via intorno alle tre passate e, tra il carosello di auto a ritroso ed un po' di parole che forse si potevano rimandare, sono salito nella mia auto che erano le cinque meno dieci ed ho raggiunto Rosciate con il cielo che già schiariva all'azzurro, e sono andato a letto che la luce già filtrava dalle persiane.

Studiare la domenica è stata un po' tragica. Ma si è dovuto; per tutto il giorno, e fin quasi a notte.

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