Via tra Gerusalemme e Betlemme
Quindici giorni dopo il Solstizio d'Inverno
«Abbiamo perso dieci giorni per sapere una cosa che sapevamo già» lamentava il dottor B.
«Una cosa che lei supponeva, e che a tutti e tre sembrava come minimo improbabile. Si è mai visto di un Re che nasce non nella capitale, ed il re che non sa niente?» puntualizzò il dottor G.
«Ma, tecnicamente, questo Erode con cui abbiamo parlato è un re straniero, non giudeo. Il re che andiamo a cercare - ammesso che ci sia - è il re dei giudei. Potrebbe anche reclamarne il trono» osservava il dottor M., con la sua aria da esperto di mondo. «Piuttosto, mi preoccupa che la congiunzione tardi a riformarsi. Non è comune che ci si sbagli di dieci giorni»
Erano dieci giorni che il dottor B. sopportava critiche per questo suo presunto errore. I primi tempi aveva dato la colpa alla propagazione dell'errore sperimentale, che a distanza di oltre sei mesi (quasi un anno, anzi) doveva aver prodotto uno sfasamento dai calcoli di qualche giorno. Poi, però, la spiegazione non ha più retto alle orecchie dei suoi colleghi, che quindi avevano deciso avesse sbagliato lui. Il dottor B. aveva perso, invece, quel poco di fiducia nei suoi colleghi che il viaggio di mesi aveva indotto. Perché la congiunzione doveva essersi verificata, ed erano loro che non la vedevano. O guardavano dalla parte sbagliata, o anche guardando dalla parte giusta non riuscivano a distinguere i pianeti. Senza i loro costosissimi strumenti, che non si erano potuti portare dietro, probabilmente non erano neanche capaci di individuare il punto verso cui puntare i loro piccoli sestanti di bronzo.
Il dottor B., fedele alla sua cattedra di Teorico, non sollevava neanche lo sguardo verso il cielo; piuttosto, ricontrollava i calcoli. Aspettava che gli altri gli confermassero o meno l'osservazione della congiunzione; da dieci giorni a questa parte.
Intanto scendevano dalle pendici di Sion, lungo uno stretto tratturo invaso da una folla che procedeva in direzione contraria.
«Che poi non ho capito 'sta storia dei doni» sbottò il dottor G. dopo una pausa di silenzio che aveva, evidentemente, passato a rimuginare.
«È normale portare doni ad un bambino, e doveroso se è così straordinario come riteniamo» rispose con tono piano il dottor M.; il dottor B. camminava con la testa immersa nei calcoli e sembrava non desse loro retta.
«Va bene, ma c'è qualcosa di poco chiaro in come s'è svolta tutta la faccenda dei doni. Li abbiamo prelevati dal tesoro del Gran Re, sta bene, ma...soprattutto, perché quel dono così assurdo?»
Il dottor G. faceva riferimento al dono scelto dal dottor B. Perché lui, per andare sul sicuro, considerato che avevano stabilito dovesse nascere il nuovo Re d'Israele, aveva preso il miglior oro degno del più grande dei re - che fosse poi un re così grande, bisognava aver fiducia che i cieli non mentissero, o fossero ben interpretati, Israele non era un così grande popolo - mentre il dottor M., che aveva letto nei segni la venuta di un figlio per Dio, aveva scelto l'incenso più profumato che il tesoro del Gran Re contenesse - sotto gli sguardi indispettiti dei dignitari di corte che li accompagnavano. Ma il dottor B., inspiegabilmente, era andato a rovistare nell'angolo più remoto della stanza, fino a scovare dietro un rotolo di tappeti preziosi un piccolo scrigno ricolmo di resina.
«Di mirra!» interruppe il dottor B. che stava già da un po' ascoltando la conversazione dei due colleghi
Di mirra, appunto, che non si capiva cosa ci facesse nel tesoro, ed era infatti dimenticata da tutti. Agli stessi dignitari risultava, in effetti, che fosse lì da secoli. Quando, infatti, dopo aver consegnato ai tre dottori i doni, l'addetto al Tesoro andò a cercare nell'inventario gli oggetti, trovò che tutti e tre - che coincidenza, fatta apposta per semplificarmi il lavoro, aveva commentato - erano entrati nel tesoro nella medesima occasione, al tempo del sacco di una città-santuario sul confine con l'India. E quindi erano tutti su un solo registro.
Di mirra, che tra l'altro è un dono che porta male, perché non gli regala direttamente un sudario, o un funerale tutto-compreso?.
Il dottor B. pensava che avrebbe dovuto rispondere alla questione tempo prima, ed invece apparentemente i suoi colleghi non avevano opposto obiezioni. Ed avevano preferito tenersi in testa i dubbi.
«Per prima cosa, con la mirra si prepara l'olio per l'unzione. E vi ho già ripetuto che la Stella è il segno che è nato il Messia di Israele - e non vi devo dire io che Messia vuol dire unto; ciò nonostante, capisco l'obiezione, e che se il significato del mio dono fosse solo quello dell'unzione, sarebbe più di buon gusto donare del balsamo. Ma la verità non ha buon gusto, e sta scritto
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.
Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in espiazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.
E qui il loro profeta sta parlando di Lui»
I due colleghi erano ammutoliti, e forse avrebbero scosso la testa, non avessero avuto paura di essere scoperti.
La strada continuava, scavalcando ed aggirando dossi, e della Stella in cielo nessuna traccia. Ormai il dottor B. non ripeteva nemmeno più i calcoli: erano esatti; il problema era dei due sperimentali che non sapevano dove, o come, guardare. Lui non avrebbe alzato gli occhi al cielo; non aveva bisogno di conferme, la Stella doveva essere lì, appena dietro il poggio. Fece un urlo al dottor G. di osservare in quella direzione, ma quello niente. Il dottor M. aggiunse aspro «La guardi lei, se è così convinto che ci sia».
Da quando era ancora uno studente il dottor B. non aveva più compiuto un'osservazione. Anzi, le aveva odiate a tal punto, a quel tempo, da ripromettersi di non levare mai più lo sguardo per aria.
«Basta, dottori! Non ne posso più della vostra cecità. Guardate là!», urlò, e così dicendo puntò il dito basso sull'orizzonte, verso sud-est, mentre il panorama si apriva sulle case sparse di Betlemme. E, seguendo il proprio dito, finì per guardare il cielo, e vedere la Stella - non se l'immaginava così luminosa, e di questa luce speciale - che traguardava sopra una casa. Sopra la casa.
Sapendo dove guardare, anche gli altri dottori la videro, ed esultarono e si abbracciarono come quando un esperimento difficile riesce.
«Venite, adoriamo.»
Fine
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