Essere buoni è solo un modo più sottile di essere cattivi
Da un albero cattivo non nascono frutti buoni. E viceversa. O viceversa
Il peggior albero della storia ha dato il frutto più buono
Quando la sveglia discretamente mi suona nel letto svegliandomi mi sembra di non essermi ancora addormentato. Sarà una lunga giornata. Abbondantemente saturato di caffeina vado alle lodi con gli altri mattinieri, tra i quali va segnalata una camera di ragazzi cui l'educatore della stanza aveva imposto l'obbligo di frequenza. Le lodi in quindici con tre breviari sono una faccenda un po' complicata, fortuna che i breviari hanno l'inserto "salmi per le lodi delle feste e delle solennità", e dunque ne abbiamo ricavati sei. Finite le Lodi, e saranno state le nove, avevo già esaurito la mia energia per la giornata. E bisognava assolutamente evitare di darlo a vedere.
I ragazzi che scendono alla spicciolata per la colazione sono ancora addormentati. E non è un modo di dire: uno che dormiva nella mia camera (e tra l'altro dormiva, non è uno dei produttori di casino) ha tenuto gli occhi chiusi fino all'ora di pranzo.
Nel programma della mattinata c'era una riflessione (per non arrivare in fondo al campo avendo usato un decimo delle pagine del libretto...), ed a dire il vero ascoltare la meditazione tutti pigiati nella sala da pranzo (che per qualche motivo era stata sistemata in modo poco razionale) è stato difficile; per non parlare della riflessione personale del seguito, che per carenza di spazi abbiamo fatto gomito a gomito.
A pranzo sono andato a raggiungere uno dei miei filthy minions (anzi, forse il loro capo), per avere aggiornamenti e suggerire di tenere sotto controllo un certo gruppo, che loro eh, ci siamo un po' persi di vista, sai dopo quell'episodio... ed io tieni d'occhio, che si prepara qualcosa
Dopo pranzo siamo scesi da Campamoli ad Arezzo, che è una buona ventina di minuti di tornanti e poi una strada decente. In molti avevano messo in conto l'ora-ora e mezza di viaggio come un indispensabile surplus di sonno, ma non avevano messo in conto la sottile perversione del curato, ben supportata dalla follia (vera) di una delle nostre adolescenti, che ha blaterato, strillato, cantato al microfono incurante delle bordate di insulti che le giungevano dal fondo pullman. Quando sono andato a lamentarmi, mi è stato detto «Meglio su di giri che quando è depressa. Prima che scappi», obiezione cui non si poteva replicare.
Ad Arezzo avevamo in programma un gioco che permettesse di conoscere la città; ma Piazza Grande dove avevamo posto il campo base era invasa da un cantiere di pavimentazione stradale, e ci siamo trasferiti al Prato dietro il duomo. Divisi nelle sette squadre-gruppi di lavoro-gruppi di servizio siamo partiti per i vari angoli della città alla ricerca di dettagli architettonici, insegne di osterie, eruditi tuttologi aretini. Insieme al Fanto con cui dividevo l'onere del gruppo siamo andati in cerca di dettagli architettonici in cui inserire membri della squadra, e cercare di trovare il modo più originale di farlo. La migliore è senz'altro quella delle persone che si spingono in alto, abbarbicate a cartelli stradali ed issati su un muro di cinta mentre cercano di raggiungere un lampione. Fortuna che dalla casa nessuno ci ha sparato addosso.
Qualche errore di calcolo ha affetto i tempi di gioco, che così abbiamo tutti interrotto più o meno a metà, e siamo andati in cerca di un luogo caldo anche perché nel frattempo il sole era tramontato e c'era poco da scherzare con la temperatura. Nello scendere, per ultimi perché ci eravamo fermati per accertarci che non arrivasse nessuno, siamo anche riusciti a sbagliare strada e ad uscire da Arezzo per la porta sbagliata - fortuna che c'è qualcuno ancora dotato di senso d'orientamento anche senza TomTom, ed arriviamo ai pullman. Il viaggio di ritorno a Campamoli è più tranquillo, anche se non possono mancare per noi preoccupazioni.
È un po' come la peste manzoniana, che da qualche tempo serpeggiava senza che si chiamasse con il proprio nome, ma l'epidemia che aveva attecchito tra gli adolescenti e gli educatori ormai aveva una dimensione abbastanza importante perché ne tenessimo conto nei nostri programmi. Si calcolava che in ogni stanza dei maschi ci fosse almeno un malato, e che un paio di ragazze seguissero a ruota. Come tanti professoroni discettiamo di come isolare l'epidemia senza chiamarla con il suo nome, o sulle ipotesi di contagio - come si trasmette, quale fetta della popolazione è più soggetta, se è possibile ipotizzare una predisposizione generica o è soltanto febbre benigna da strapass - ma arrivo solo io a mettere in luce il punto. Il punto è che, con un malato per stanza, possibilmente carismatico (ed era il caso dei più celebri), gli altri sarebbero stati più cheti. E si preparava già un piano mirato di inoculazione del baccillo.
La cena è stato un tentativo disperato di finire le provviste, o perlomeno di buttare via il meno possibile. Si ha un bel dire che prima o poi andrà messo in conto un percorso mirato, magari un campo, sul rapporto col cibo, ed invocare una guerra per tutti quei majamal che da un piatto di gnocchi ne prendono sì e no mezzo (gnocco), ma prima s'avrebbe da fare un bell'esame di coscienza sui conti del cibo, ché ormai sono quasi due anni che ne portiamo sempre troppo. Dopo cena, scartata per ragioni d'ordine pubblico la richiesta di andare subito a letto, che pure ce ne sarebbe stato bisogno, abbiamo organizzato un karaoke cercando di infilarci qua e là altre scuse per consumare provviste, tipo il panettone e la spuma nera. E, dopo aver mandato a letto gli adolescenti poco dopo mezzanotte, ci siamo messi a preparare panini per l'indomani (in teoria il pranzo era ciascuno per sé e Dio per tutti, ma con tutta quella roba che avanzava...). Affettare il pane toscano non è per niente facile, per quanto possa essere affilato il coltello. Coltello affilato da cui mi sono salvato per l'interposta presenza della mia unghia, che ora ha un'eroica cicatrice ma che se non ci fosse stata non avrei più il pollice.
Quando sono salito al piano la situazione era moderatamente calma; praticamente nessuno dei maschi era ancora a letto, ma abbastanza in dirittura d'arrivo e, soprattutto, con apparentemente poca voglia di fare casino. Tranne forse una camera, ma che rimanessero tra le loro quattro mura e non disturbassero gli altri. E, infatti, ci siamo addormentati tutti presto nonostante il concerto polifonico di russatori (noi avevamo un malato vero, ma anche gli altri erano belli raffreddati...).
Finché, nel pieno della notte, spalanco gli occhi e trovo in camera tre persone, che stanno per fare corona attorno al mio letto. Gli chiedo cosa stanno facendo, e scappano di fuori. Ormai svegliato nonostante fossero le tre e mezza, sento un gruppetto di persone che vaga per i corridoi. Dopo qualche minuto la mia porta si apre, e si affaccia uno dei colpevoli. Segnato. Poi un altro. Segnato con beneficio del dubbio. Lasciano aperta la porta, e dal rumore hanno sceso le scale.
Mi alzo. Metto gli occhiali e controllo il corridoio.
Emerge da un'altra camera la capocamerata, di quinta superiore. Era stata aperta anche la sua porta e chiedeva se fossi stato io a controllare. Beneficio del dubbio. Assicuro che "giustizia sarà fatta", e mi appoggio al muro subito dietro la porta delle scale. E aspetto. E, ripensandoci, mi vengono in mente mille modi più interessanti in cui avrei potuto gestire la situazione tutta.
Dopo qualche tempo, appare il primo della combriccola. Gli appaio a cinque centimetri dal volto. Di fronte a questo sgamo completo, sono sportivi, salutano e si infilano in camera. Attendo ancora a lungo onde assicurarmi che non ci riprovino, e finalmente torno a dormire.
Si scoprirà poi che uno, per eccesso di zelo ed aspettandosi la mia presenza, è rimasto nascosto nell'armadio del bagno (i bagni erano in comune) fino alle quattro e mezza, prima di rientrare. A parte che sono stati talmente furbi da venirmelo a dire, e quindi è come se l'avessi beccato, ma direi che penitenza più grande di rimanere chiuso per quasi un'ora nell'armadio del bagno, solo per non essere colto in flagranza di reato, è una punizione più crudele di qualsiasi altra avrei ritenuto adeguata (non più crudele di qualsiasi punizione io possa immaginare, e qualcuno lo sa bene). Poche ore ed è l'ultimo giorno.
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