sabato 26 gennaio 2008

La solitudine

Cerca la solitudine!
Mi sono congedato, ieri sera, dalla suora mentre lei gridava queste parole al mio indirizzo.

Non era un invito a chiudermi in qualche eremo ed a non farmi più vedere (invito che, ad ogni buon conto, non sarebbe stata la prima volta che sentivo), ma a preparare del materiale per la nuova tappa del cammino per adolescenti.

Metafora del pellegrinaggio. Come tanti termini catechistici, forse un po' abusata. Ma non è un discorso sul lessico quello che serve, e voglio fare.

Nostro intento sarebbe mostrare, accanto al significato per così dire standard della solitudine, che crediamo sia profondamente inciso nelle vite di questi adolescenti che fanno di tutto per essere parte di un gruppo, per essere sempre tutti insieme, per non farsi emarginare, per non essere mai circondati dal silenzio, l'aspetto della solitudine come possibilità, risorsa e via di questo passo (sono quattro momenti concettuali, non sono qui per copiare il foglio degli appunti.
Il materiale di cui si parlava servirà per il primo incontro sul tema, venerdì prossimo, quando vorremmo partire dalle riflessioni dei nostri ragazzi, sperando (si accettano scommesse, noi del gruppo di quarta abbiamo già puntato) che superino solitudine come vuoto autonomamente; e, per farlo, si pensava di poter offrire loro spunti di riflessioni, parole sparse e via di questo passo che possano essere legate, in modo obliquo piuttosto che (che va inteso in buon italiano, e quindi non come "oppure", ma "preferibilmente a") esplicito.

E poi c'è aperta una sottile disputa su "Fango" di Lorenzo Cherubini (che - come musicista e/o guru - non amo per niente) a proposito di Io lo so che non sono solo anche quando sono solo vs. Io lo so che sono solo anche quando non sono solo.
Se qualcuno avesse spunti da darmi, gli assicuro che non mi prenderei il suo merito.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

La prima che hai detto, con alto grado di evidenza. Gli indizi: la recente morte del fratello, tutto il verso sull'uomo che guarda la sua mano e pensa a suo padre, "e stare con le antenne verso il cielo", "quelli che hanno ancora il coraggio di innamorarsi", "e una musica che pompa sangue nelle vene che...", e poi proprio il tono con cui canta quelle parole.

zar ha detto...

Direi che ci siano due livelli: la frase "Io lo so che sono solo anche quando non sono solo" è attribuibile al "giovane da discoteca", che sta nel branco per paura di esser solo, e che solo rimane comunque.

Poi, crescendo e maturando, si dovrebbe arrivare all'altra frase - e al concetto della solitudine come momento arricchente.

In tutto questo entra anche la religiosità; quella di Jovanotti è molto new age, ma non necessariamente negativa: ci sono persone che hanno con Dio un rapporto tutto particolare e personale.

Chiara ha detto...

Commento personale.
La solitudine è il deserto e la montagna. Sia che tu guardi dentro di te o verso l'esterno, devi necessariamente aderire ad una condizione estrema: o dentro, o fuori. Sussistono perciò 4 situazioni differenti, accomunate da una maggior lucidità rispetto all'ibrido di sopravvivenza.
Accompagna la solitudine il silenzio. Assoluto o meno, rappresenta l'assenza di distrazione. Prima di suonare devi fare silenzio, prima di pregare devi uscire dal normale, prima di vivere devi morire, in una costante rigenerazione.
In questo senso la solitudine è condizione necessaria per la comunione. Io non conosco molto la condizione di "stare nel branco eppure soli", ma penso che in una situazione del genere si entri in una dimensione di narcosi, dei sensi e del pensiero. Aderire spersonalizzandosi implica un forte alleggerimento della fatica e della responsabilità, immagino, quindi la solitudine in quanto "mancanza di appoggio degli amici" risulta destabilizzante perché catapulta nella realizzazione di una soggettività smorzata dal branco stesso che non si regge più senza di esso (un po' come una droga che dà senso di onnipotenza riducendo al contempo a servitù).
Quindi la solitudine come esperienza privilegiata di consapevolezza individuale.

Due amici non possono stare sempre insieme, nè si può subordinare la propria vita a quella di un'altra persona: se manca la lontananza non c'è scambio poiché viene meno la crescita (o meglio, evoluzione) individuale e personale. Secondo me questa è un'esperienza che hanno vissuto tutti più o meno consciamente, e che per la necessaria unicità degli individui risulta un motivo di riflessione possibile e molto adattabile.

C'è poi la solitudine come spazio proprio. Un esempio banale ma che ho verificato con molta attenzione: se muore un genitore, c'è un'iniziale solitudine, che tuttavia viene superata (maturità permettendo) dalla presa di coscienza di una possibilità in più, di uno spazio proprio maggiore: dalla solitudine nasce dunque consapevolezza, che comporta meno fragilità di fronte alla solitudine "post-branco".
Così è anche rimanendo all'interno dell'individuo stesso: lasciamo spazio a noi stessi? O ci imponiamo elementi esterni, che ci privano di solitudine?

Nella solitudine poi si cerca una guida, e si riconosce la propria realtà umana.

Diciamo chhe resta un'esperienza alla quale forse i giovani devono essere un po' preparati, quella della solitudine e del silenzio, come anche dell'isolamento (forse l'elemento che fa più paura) ma che chiunque, dotato di un minimo di desiderio di progredire, tenderà a ricercare.

In rapporto alla canzone...A me non piace molto. Ma può di certo essere un punto di partenza.

Non saprei però se mea sponte avrei mai cercato la solitudine se non mi fosse stata imposta fin da piccola.
Forse quello che spaventa chi non c'è abituato è il fatto di sentire davvero e senza filtro i propri pensieri. E' un'esperienza in effetti un po' particolare all'inizio.

Hehe, so di non essere stata di aiuto, ma ti dà un'idea di come pensi un'adolescentA.