E fu sera, e fu mattina. Secondo giorno.
La sera prima siamo andati a letto molto tardi, anche perché abbiamo finito di cenare alle dieci passate, e poi s'è dovuto sistemare tutto, e preparare il pranzo al sacco per l'indomani, e poi era comunque la prima sera...E svegliarsi entro le sei e mezza (entro, perché alle sei e mezza è da dare la sveglia, e non tutti gli educatori possono permettersi di farsi buttare giù dal letto alla stregua degli altri ragazzi) non è facile. Fortunatamente non è facile neanche dormire, perché basta respirare che il letto a castello fa un baccano d'inferno. Mi alzo così intorno alle sei ed un quarto, facendo di tutto per non svegliare i miei compagni di stanza, e mi preparo diligentemente per essere pronto alle sei e ventinove, onde uscire a bussare alle porte di tutti quelli del mio piano spaccando il secondo. Stavo giusto finendo di fare il nodo alla cravatta (saranno state le sei e ventisette circa) quando sento un concerto di voci stridule e schiamazzi levarsi dalla cima del corridoio. Balzo fuori infuriato - perché nessuno si deve lamentare di essere svegliato in anticipo, onde evitare strascichi polemici - e trovo queste due ragazze (di cui cito le iniziali perché torneranno altre volte nel racconto, A. e S.) che, in piedi dalle cinque e mezza, a detta loro, hanno pensato bene di rendersi utili aiutandoci a svegliare tutti. Le scaravento fuori dal corridoio. E passo a dare la sveglia come si deve, ovvero bussando sulle porte dicendo semplicemente "Sveglia."
Essendo la prima colazione ci sono dei problemi di calibrazione, tipo che il caffè arriva un quarto d'ora dopo il latte e ci sono almeno dieci litri di tè che vanno sprecati perché non lo beve nessuno, o quasi. Mentre ragazzi ed educatori scendolo alla spicciolata ed il sole lentamente sorge in un mare di nebbia, che non si vede dall'altro lato della strada, si mette lentamente in moto la macchina per la partenza. Servizi di cucina, finire di preparare le ceste con i panini al sacco, si stabilisce che la distribuzione del pranzo avverrà in loco, e si sale sui pullman alle sette e mezza. Bisogna arrivare a Rivotorto, appena fuori Assisi, alle nove meno un quarto. In questi giorni i due autisti che ci hanno portato da Bergamo si fermano nel bed&breakfast accanto alla nostra casa, rimanendo sempre a nostra disposizione. Tutto il viaggio fino ad Assisi è immerso in una nebbia lattiginosa, tanto che dalla chiesa di Rivotorto non si capisce nemmeno da che parte sia questa famosa "Assisi" di cui si parla tanto.
Tema del giorno è la pazzia; è in programma, per il primo pomeriggio, un'inconsueta attività personale e di gruppo. Alla chiesa di Rivotorto celebriamo la messa alle 9.00, per poi essere trasportati fino ad Assisi, nella zona di San Damiano. Arriviamo che la nebbia non si è ancora sollevata dalla pianura, ma ormai ne siamo fuori e ci rendiamo conto che sarà una fredda giornata di sole. Il tentativo di visitare San Damiano viene bloccato dalla concomitante presenza di un gruppo numeroso almeno quanto noi; pertanto, dopo aver tenuto consiglio, si decide di dividersi per contrade come previsto e di lasciare il pomeriggio fino alle 17.00 libertà agli educatori dei singoli gruppi di gestire il momento di riflessione, le visite culturali ed i momenti di svago.
Sotto la mia guida inflessibile, il gruppo conosce una netta spaccatura. Poiché noi dobbiamo raggiungere la Basilica Inferiore per il nostro momento di riflessione (ogni contrada in una chiesa diversa) e non era più tardi delle undici ed un quarto, dispongo che si raggiunga la basilica, dalla parte opposta di Assisi, indi si pranzi, indi la riflessione, poi avremmo deciso che fare. Durante il viaggio, alla prima brevissima tappa per vedere Santa Chiara (abbastanza sterile tornare indietro poi, per visitarla), i maschi del mio gruppo, anche complice il fatto che un altro gruppo proprio in Santa Chiara dovesse fermarsi, si ostinano a fermarsi lì per pranzo e ci avrebbero raggiunti in seguito, ché nessuno si perde ad Assisi (tenete a mente questa frase...). Con le tre ragazze arriviamo alla meta, consumiamo il nostro pranzo al sacco ed aspettiamo una mezz'oretta che arrivino gli altri i quali, accodatisi al gruppo che doveva lavorare in Basilica Superiore, ci raggiungono soltanto quando l'educatore dell'altro gruppo mi chiama seccato che se ne voleva liberare.
Dopo un brevissimo fervorino in cui ribadisco le già illustrate consegne per la meditazione, i ragazzi devono dividersi per osservare e riflettere sulle persone che incrociano nella basilica. Si ripiega sulla piazza perché è appena finita la messa e di perdiamo in una folla che non va né avanti né indietro. Due - tre di loro (dei maschi, ovvio) spariscono nel momento in cui bisogna dividersi per restare un po' da soli. Li ritrovo al termine dei primi venti minuti di riflessione, davanti alla basilica superiore, insieme a quelli dell'altro gruppo, che giocano con la PSP. Me lo segno sul mio taccuino mentale e li conduco dagli altri, per la seconda parte: chiedere ai passanti cosa li spinge ad Assisi, di cosa sono in cerca, se sono credenti o meno. Dovevano fare questo lavoro da soli, da programma, ma già al mattino il curato aveva concesso il lavoro a coppie. In pratica stanno tutti insieme, ed in mezz'ora riescono solo a farsi dire da un turista che sta cercando la toilette. Per l'ultima fase della meditazione, abbastanza sconfortato, li porto a pregare in basilica. Li faccio accomodare e poi inizio a preoccuparmi anche della mia anima. Non si saprà mai se hanno usato bene o male quel tempo. Li vedo, invece, presi bene per le tombe di San Francesco e dei suoi primi compagni. Sono io che devo aspettarli.
Adesso inizia la parte più complicata; finita la riflessione, si sentono tutti liberi, e devo penare non poco per convincerli a vedere almeno gli affreschi di Giotto. Poi cedo, e li lascio andare dove vogliono. Sanno dove e quando raggiungerci. Con chi mi segue (le tre ragazze) abbiamo in programma di metterci in cammino per l'eremo delle carceri - a patto che ci si fermi per una cioccolata. In effetti è da poca passata l'una e mezza e fa già un freddo cane. Dovevamo incontrarci con alcuni della contrada della Selva, che sarebbero venuti con noi all'eremo, ma quando li incrociamo con il loro educatore che stavano andando a visitare le Basiliche francescane capisco che ci saranno dei problemi d'orario. Ma la parola è data. L'appuntamento con loro è fissato all'anfiteatro romano alle tre (vengono dati quattro chilometri da lì all'eremo, in due ore si dovrebbe riuscire ad andare e tornare) e li si và a prendere la cioccolata e ad attenderli. In pratica riusciamo a muoverci con loro solo intorno alle tre e venti, perché tardano non poco, e per qualche motivo il sentiero per l'eremo c'è scritto richiedere più di un'ora. Potremmo muoverci lungo la strada, ma questa è un auto parcheggiata dietro l'altra e, nonostante l'ambiente, è tutto fuorché bucolica. Allora prendiamo il sentiero, e andrà come andrà. Dopo una mezz'oretta, avendo sentito che quelli partiti più di mezz'ora prima di noi erano appena arrivati, stanti le minacce di ammutinamento noi tre educatori che li accompagnavamo, i due Emanuele oltre a me, decidiamo di fare rientro con la coda tra le gambe. Arriviamo al luogo dell'appuntamento, dopo essere scesi per percorsi alternativi alle quattro e mezza, ma già sono tutti lì. Difficile gestire la libertà di un pomeriggio, quasi tutti gli adolescenti si sono riuniti per aggregazione spontanea. Gli ultimi ad arrivare, oltre a don e suora, sono due educatori che, però, si erano persi. Eravamo in giro strafuori, l'elegante giustificazione.
Incontrando don Alessandro, riporto l'increscioso incidente PSP. Mi viene raccomandato di amare di più i miei ragazzi. Ma intanto, la sera, farà loro una lavata di capo. Prima di conoscere lui stesso il potere deviante della Play. Intanto che aspettiamo l'ora di partire, mi si fa incontro minaccioso il ragazzo di A., una di quelle del mattino, che deve aver saputo che ho cacciato in malo modo la Sua. Con la soggezione che mi può mettere un gracile quindicenne ascolto che non devo toccare la sua ragazza (dove il toccare -più propriamente sospingere- si presume, a ragione, essere avvenuto per allontanarla fisicamente dal luogo a lei precluso); eccetto che se sta sbraitando. Ci confrontiamo e concordiamo che, dati i fatti, ne avevo pieno diritto. Ed anzi, sono raccomandato di ripetermi finché non capisca.
Il viaggio di ritorno, benché relativamente breve, per Torricella, è l'inizio di una lenta agonia. Uno dopo l'altro, nei giorni successivi, legioni di adolescenti si ammaleranno, chi per una sera, chi per un giorno, chi in via definitiva. E fiorisce il mercato nero della tachipirina.
Arrivati alla casa si prepara la cena, ed inizia la fortuna del pianoforte, che da questo momento avrà sempre qualcuno (molto spesso io) che ci mette sopra le mani. Dopo cena, che pur non trascinandosi molto diventa tardi, perché c'è anche da mettere in conto il tempo per i servizi, proiezione del film La Febbre di Alessandro D'Alatri. Non tutti gradiscono, e preferirebbero andare a letto. Ma meno sono stanchi, più casino si fa nelle camere. E poi il film è considerato "contenuto" del campo. In modo misterioso. Ma, comunque, piacevole.
Nel frattempo ci hanno raggiunto gli educatori mancanti ed anche l'adolescente Luca Riva (di cui la foto), che non ci ha accompagnato il primo giorno per questioni di salute. "I Rosciatesi festanti posero", come si leggeva sulla lapide in onore della sua sedia. Con gli educatori mancanti arriva il mio collega della contrada della Chiocciola. Domani saremo a ranghi completi. Faccio il minimo indispensabile di controllo notturno, non perché sia particolarmente stanco ma perché la situazione è del tutto sotto controllo. In poche camere, quando salgo, resistono focolai di chiacchiericcio molesto. Tutto sembra in ordine. Mi accorgerò due giorni più tardi di quanto sia illusoria questa quiete. Ma intanto vado a dormire.
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