venerdì 4 gennaio 2008

Cronache del Campo /5

Era già sera, fu mattina. Quarto giorno. 1 gennaio.

E' sempre un'esperienza singolare alzarsi il primo dell'anno senza mal di testa. Saranno le otto meno un quarto; un paio dei miei compagni di camera hanno intenzione, come me, di partecipare alla preghiera del mattino. Ci ritroveremo in una decina di educatori e tre ragazze. Di prima superiore. Che meritano il nostro plauso, e per la buona volontà e per il contegno tenuto nella gelida chiesina.

Scopro, mio malgrado, che la parte più urgente della sistemazione era stata fatta la sera prima, e che quindi è praticamente già pronta la colazione. Prima della preghiera ho anche scroccato un paio di tazze del primo caffè della giornata. Tutto benissimo. Dopo la preghiera, iniziano a scendere i primi dei ragazzi. Il latte tarda un po' a fare compagnia al caffè, e visto che sono rapido a perdere la pazienza inzuppo i cantucci avanzati dalla sera prima (e sono ancora tanti...come è tanta la crostata, nonostante l'impegno di Dario a finirla la notta, ma quella è un po' troppo dolce per i miei gusti) nel caffè. In tutto ne butto giù tre tazze intere. E, a ripensarci, capisco com'è che per tutta la giornata, e fino a notte inoltrata, sono stato il più sveglio e nervoso tra gli educatori ed i ragazzi.

Il programma della prima parte della mattina è semplice e fondamentale: trattasi in sostanza di riordinare tutto quello che era rimasto in giro dalla sera prima: decorazioni di vario gusto, residui di cibo scivolati dietro i tavolini, cravatte abbandonate sull'attaccapanni nella foga del ballo...alla nostra contrada della chiocciola tocca il salottino degli antipasti, il che è anche abbastanza semplice, perché non è molto grande...anche se mi devono spiegare chi ha avuto l'idea di tirar giù il sacco di sabbia per boxeur che penzolava in quella specie di sala giochi-tv-salottino (e fin qui ottima idea) per sostituirlo con una gruccia di bambù che decorava una parete, abbellita con fiori di carta realizzati anche con una certa maestria. Non che ci stesse male, in quell'universo kitch che era la casa, ma sarebbe stato più discreto levare il sacco e piantarla lì. Dopo metà mattina, quando i servizi si esauriscono, il curato si inventa un modo per passare il tempo che aumenti lo spessore della giornata. Guardiamo degli spezzoni dello sceneggiato RAI su don Lorenzo Milani, onde essere sufficientemente preparati per il giorno dopo, quando saremmo andati tra le quattro capre di Barbiana. Mangiamo molto presto, peggio che le galline, perché nel pomeriggio ed alla sera abbiamo in programma la visita ad Orvieto.

Non ero mai stato ad Orvieto. La funicolare, necessaria per salire in città dal parcheggio, è più rapida di quella di Bergamo ed è senza conducente. Però è su un binario singolo, e c'è una sorta di chicane intermedia per evitare la collisione tra la vettura che sale e quella che scende. Purtroppo Orvieto, nella nostra geografia mentale, felice espressione coniata dal don, era molto più vicina al Lago Trasimeno di quanto non sia in realtà, ed arriviamo in città verso le tre e mezza, con il famoso e bel duomo che - crediamo - chiude alle quattro. Inoltre, non è stata presa in considerazione la questione della cena, e lungo il percorso dalla stazione superiore della funicolare al duomo due nostri rappresentanti si fermano presso un fornaio per commissionare una montagna di pizza. Infatti, avevamo già avuto contatti con l'oratorio di Orvieto per gli spazi, e ci saremmo fermati lì a mangiare. Le nostre informazioni sull'apertura del Duomo sono, ovviamente, false. Per quel pomeriggio era in programma una messa gospel con il vescovo di Orvieto-Todi e le autorità cittadine nell'ambito della manifestazione Umbria Jazz (fatevi anche voi la nostra stessa domanda, che c'azzecca il gospel con il jazz...e non vale la risposta di Herbert le radici nere del jazz, perché allora voglio una messa gospel anche all'Heineken Jamming Festival - le origini nere del metal via rock via blues), ed il duomo sarebbe stato aperto non fino alle quattro, ma dalle quattro, per consentire l'afflusso dei numerosi fedeli. Chi vuole entrare lo fa, gli altri ci si sparpaglia liberi fino alle 18.00, quando con appuntamento di fronte al duomo saremmo andati nella vicina chiesa di San Bartolomeo per la messa. Mentre adolescenti e giovani si riversavano e sparivano nelle strette strade del centro, colme di bottegucce oscure, da quelle bellissime di prodotti gastronomici alle orrende kitcherie di ninnoli ceramici, accompagno la suora, insieme al segretario del vescovo di Orvieto che, evidentemente, gli fanno fare di tutto, prima dalle clarisse per lasciare il materiale della messa e vedere la chiesa, poi dall'altra parte della città per vedere l'oratorio, recentemente realizzato nel complesso del seminario oramai pressoché deserto e frequentato solo durante i pochi giorni di ritiro per i sacerdoti giovani, ed avere così la preziosa occasione di discutere sulle diverse esperienze pastorali di due diocesi così diverse (ed andarsene con la convinzione che non abbiamo che da ringraziare il Cielo per come sia buona la situazione della Chiesa bergamasca, nonostante il Secolo...). Dopo queste incombenze il giro, di un'oretta, per Orvieto al seguito del curato, che si infila in un negozio di stampa alternativa, in cui erano in vendita libri che credevo banditi da anni, come le opere di Bakunin o improbabili teorie complottarde circa le elezioni del 2006 (teorie complottarde di cui stavo elaborando una mia personale a fini narrativi, ma è un'altra questione), e ne esce con una biblioteca intera.

La chiesa in cui celebriamo messa è fantastica. Bella. Altro che chiese di geni di architetti moderni che sembrano fuori dei cinema multisala e dentro dei capannoni del Trevigiano; un gradevole e misurato barocco di scuola borrominiana, molto monastico con la sua bianca monocromaticità. Peccato per il freddo.

Ci trasferiamo poi dall'altra parte della città vecchia, all'oratorio, dove ci accomodiamo, invero un po' stretti, nel salone, appena pulito dopo la festa dell'ultimo (ed infatti, quando lo avevamo visto al pomeriggio, era ancora in aria e c'erano grossi avanzi di dolci, che purtroppo erano stati portati via), e riceviamo le teglie di pizza. Mangiamo con incredibile ordine - quanto tempo è passato da quando si gettavano come animali sulle pizze al metro -, anche se un po' poco, tanto che in molti opteranno per un dopocena altrettanto, se non più, sostanzioso (penso al kebab del gruppo Rosciate Rulez, ma non solo), e poi alcuni ardimentosi (o affamati) sfidano il freddo serale, mentre altri rimarranno all'oratorio fino all'ora del rendez-vous finale. Con il curato, la suora, le signore Cinzia e Chiara, ed un gruppetto intorno alla prima superiore siamo usciti in cerca del caffè o del dolce; per prima cosa abbiamo perso la suora e le primine davanti ad un cuoco che realizzava con sublime maestria crepes alla nutella (anzi, per amore di copyright, crema al cioccolato con nocciole), poi siamo entrati in una pasticceria dall'aria lussuosa per bere caffè, tisana, mangiare una fetta di torta (gli altri) e bere finalmente un buon whisky torbato (Laphroaig 10 yrs., che ha riscosso successo anche presso il don).

Dopo aver fatto un viaggio a vuoto all'oratorio, perché quelli che erano rimasti se ne erano già andati chiudendo tutto e riordinando, ci ritroviamo alla funicolare per il ritorno. Si arriva a Torricella di Magione in tarda serata, verso le 23 e 30, e si danno disposizioni di andare subito a letto (nonostante io avessi optato per le celebrazione di una compieta comunitaria). Il troppo caffè della mattina starà ancora facendo effetto, oppure il whisky mi avrà dato la carica che era necessaria, o qualche altro motivo, fattosta che sono in gran forma per la mia notte di sorveglianza. Metto il pigiama e mi appoggio con aria allo stesso tempo paternalistica e minacciosa al termosifone in cima al corridoio. Invito i miei colleghi ad andare a letto, se avessero voluto, ché tanto ci sarei stato io. Essendo l'ultima sera, e tutti provati, non fanno troppi complimenti.

Ed inizia la mia guerra personale.

4 commenti:

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