mercoledì 17 settembre 2008

Cronache del regno di Carlo IX

Questo, con tutta probabilità, è un libro che nessuno dei miei lettori avrà letto. A meno che, certo, in futuro qualcuno cerchi su Google il libro, anche noto come La notte di S. Bartolomeo perché una professoressa di francese particolarmente puntigliosa si sarà concentrata su un'opera minore di un autore minore, quale il nostro Prospero Mérimée. Una professoressa anche bibliofila, perché l'ultima edizione che porta questo titolo (non ho capito bene perché sia stato riedito nel 2007 con un altro titolo) è del 1943, e l'edizione in mio possesso del 1931 (storia lunga, tra l'altro, perché il primo acquisto, di qualche anno fa, su una bancarella, mi aveva fornito un libro mancante dei capitoli centrali (ancorché, non centrali per la trama) - quelli, appunto, della famosa notte del 24 agosto 1573 - e solo di recente (tre giorni fa, per essere pignoli) sono riuscito a mettere le mani su un'edizione integra: la Treves del 1931.

Il romanzo ha quasi lo sviluppo di un racconto, e ci è voluto davvero poco (di fatto, il tempo in sala d'attesa del dentista per mia sorella, ed il ritorno a casa in coda). E, probabilmente, ha ben poco spessore letterario; anche se esiste, in Internet, una lettura di Mérimée abbastanza profonda da soddisfare il mio gusto (lettura che vi sfido a trovare, comunque), che lo descrive come una sorta di romantico riottoso, cioè uno scrittore figlio del suo tempo, del primo Ottocento appassionato di Ivanhoe e di Notre Dame de Paris, e di tutte queste storie ricche di colore (romantic, nell'accezione originaria del termine), ma con un carattere ritroso e schivo, che quindi finisce per scrivere di amori tragici, lotte fratricide, vendette magie ecc. ecc. descrivendo tutto con cinica e fredda distanza. Poi, è vero, altrove ne ho letto come anticipatore del decadentismo, con le sue femmes fatales di cui la più celebre, che conoscono tutti - anche quelli che del nostro non hanno mai sentito parlare - è Carmen della Carmen.

Comunque, il lato che - come può ben immaginare chi mi conosce, o chi ha letto abbastanza di queste pagine - preferisco è il primo, in questo romanzo ben rappresentato.

È la storia di un giovane ugonotto che raggiunge Parigi durante una delle brevi tregue tra una guerra di religione e l'altra, per mettersi al servizio di un celebre ammiraglio protestante accolto a Corte. Ivi reincontra il fratello, che non vedeva da anni perché convertitosi al cattolicesimo e, persosi durante una delle varie guerre, si era messo al servizio del Re (il Carlo IX del titolo) ed era diventato ufficiale dell'esercito. Qui Mergy, il giovane, viene introdotto alla vita ed alle dissolutezze della corte, pur conservando caparbiamente la propria fede, anche contro la propria amante, di cui è innamoratissimo e che riesce a conquistare manu militari al precedente cavalier servente (cornuto e mazziato, in quanto i favori della Contessa gli erano stati tolti alla comparsa di Mergy, ed il reliquiario dono della Contessa salva la vita al giovane durante il duello, ed il giovane per pura botta di ... lo uccide nel duello medesimo), che fa di tutto per convertirlo. Accanto al nostro poveraccio idealista schiavo d'amore - a cui non va la mia simpatia se non nella rocambolesca scena della fuga travestito da frate, quando viene costretto al famoso ego te baptizo piscem da una soldataglia ubriaca - abbiamo l'eroe tragico della vicenda, il fratello al tempo stesso buono (più che buono, ragionevole) ed ateo, che per una stupida questione d'orgoglio abbandona la chiesa riformata e, di conseguenza, viene spacciato per cattolico, ma che rifiuterà sul letto di morte i conforti dei due religiosi che si contendono la sua anima; e che è il vero testimone del massacro, essendo l'altro nascosto dietro le sottane dell'amante. Riflessione sul fanatismo religioso dell'una e dell'altra fazione, e sui motivi molto più prosaici che spingevano il Re ora a parteggiare per gli uni, ora gli altri; il tutto scritto con una forma chiara, limpida, e con uno stile leggero; che ne fa, di fatto, una sorta di feulleiton predumasiano scritto con nitore settecentesco.

E poi, usa più volte una delle mie parole preferite, mezzana.

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