domenica 20 maggio 2007

Resegonto

come direbbe De Mita o qualche nostra nota conoscente universitaria tentando di pronunciare "resoconto"; ma in questo caso va bene così, perché si tratta del resoconto della giornata di ieri passata sul Resegone.
E, in effetti, il motivo per celebrare la giornata di ieri c'è tutto, non fosse per altro che, dopo una serie di sfortunati tentativi, tutti bloccati dalle condizioni atmosferiche straordinariamente avverse, che mi avevano fatto sospettare essere il Resegone per me una montagna maledetta, finalmente sono arrivato in vetta, e per di più in una splendida giornata di sole, soltanto inficiata da un poco di foschia che non permetteva la migliore delle viste.
Sono, ora, tentato da un'alternativa. Visto che non sono andato solo, secondo il mio costume, ma con un grosso gruppo di compagni di università, non so se sia più opportuno raccontare tutta l'escursione quale cronista del gruppo, usando quindi la necessaria diplomazia, oppure di fare come mio solito, essendo il blog mio e non di altri, e raccontare la vicenda dal mio punto di vista, ed essere quindi politicamente scorretto, antipatico e saccente. Non so cosa possa essere più interessante, vedremo che piega prende.
L'organizzazione dell'uscita va, senz'altro, ascritta al merito di Chiesa - con l'unico appunto che questa era in programma per l'anno scorso, ma apprezziamo lo sforzo di far andare d'accordo (n+1) persone ciascuna con i suoi impegni, le sue fisime e i suoi conflitti d'interesse. Io, e come me credo anche diversi altri, ero rimasto che dovessimo andare in diciotto; poi erano sorti problemi per i treni (già: facciamoci problemi perché la linea Milano-Lecco è chiusa all'altezza di Sondrio...) e per conciliare il numero di passeggeri disponibili per auto con il numero di passeggeri necessario. E, tra i problemi della fase organizzativa, va senz'altro segnalato il solito Casati che ha insistito fino allo spasimo per scegliere un sentiero più difficile di quello programmato - a posteriori, sarebbe stata una scelta omicida, rendendosi conto delle condizioni di alcuni di noi. Nel programma di Chiesa, il ritrovo per gli automobilisti (alla cui categoria appartengo) era al piazzale Galli di Lecco, che però non è un piazzale vero e proprio, ed anzi non si chiama neanche Galli, però lo trovi subito. Così, almeno, a sua detta. Io sono arrivato a Lecco un po' prima dell'appuntamento, che doveva essere alle nove meno un quarto, ed ho iniziato a girare per l'universo alla ricerca di questa fantomatica piazza. Ho trovato la stazione dei treni (di cui allego una diapositiva)
svariati centri commerciali, l'uno più offesa architettonica dell'altro, perfino un "Galli materiali edili" in una zona industriale dismessa, e mi sono risolto a chiedere indicazioni ad un'indigena. Il piazzale Galli risulta essere il parcheggio dell'Eurospin di Lecco, non l'avrei mai trovato. Dopo una serie di fortunati sensi unici (poiché la rotonda di fronte al piazzale era chiusa per lavori, e bisognava arrangiarsi) raggiungo la sede dei sindacati confederali, indicatami come "nei pressi", ed il piazzale. Sono in ritardo di soli cinque minuti, merito della mia guida disinvolta, ma non c'è nessuno. Non c'è ANCORA nessuno. Trovo un'edicola e, sebbene avessi preferito prendere un caffè, prendo il giornale e mi avvio con la tipica aria da uomo vissuto, che non vuole far altro che leggersi il giornale, bere un caffè e mangiare una brioche, al parcheggio dove ho messo l'auto. Dal fondo del piazzale mi viene incontro una figura in braghini e maglietta che sventola la mano salutando. È Quadrelli, che è arrivato insieme a Chiesa il quale sta finendo di procurarsi il pranzo. La terza auto, a guida Galasso, è in ritardo finché decidiamo di chiamarli. Sono in dirittura d'arrivo, con qualche indicazione fornita loro sventolando braccia, giornali e bandierine ai bordi della superstrada li indirizziamo verso il posto dove ci siamo tutti. Bisogna andare in stazione a prendere quelli che arrivano da Milano. Ad occhio e croce, ci sono cinque posti liberi, sulle tre auto, mentre in teoria da Milano e dintorni dovrebbero arrivare in sei o sette. Ci si stringerà, Chiesa si bulla di avere un macchinone che se serve tira fuori dal garage. Allo stato attuale, i tre equipaggi sono così composti: auto Quadrelli (Seicento bianca): Quadrelli, Chiesa: 2-3 posti liberi; auto Galasso (Matiz blu): Galasso, Cardani, Colleoni (mu), Paolo il matematico; nessun posto libero; auto Casati (AX celeste): Casati stesso: 3-4 posti liberi;

ci rechiamo in stazione (non per niente so già dov'è, benché per raggiungerla mi perda almeno due volte) e scopriamo che il treno è desolatamente in ritardo; almeno ho il tempo di bere il caffè. Arriva, finalmente, con una ventina di minuti di ritardo, la compagnia Milamonzese; sono in cinque. Non c'è tempo per i salamelecchi, tutti smaniamo per calcare, finalmente, i sentieri. Ci si divide al volo sulle auto: imbarco Daniele Introini, Edoardo Re e Silvia "la ricciola"; Quadrelli imbarca la Maddalena Giulini e Chiarina. Tutti dietro a Quadrelli che, guidato da Chiesa, spinge la sua Seicento al limite fisico sui tornanti che salgono alla Funivia dei Piani d'Erna; la mia AX, pur se a pieno carico, fa valere la propria terza "milleusi", come battezzata quest'estate sulle stesse strade. Galasso, dietro di noi, arranca. Arriviamo al parcheggio e, dopo un rapido cambio di scarpe, prendiamo la funivia che, fortunatamente, pare stesse aspettando solo noi.

Durante la salita, invero pigiati "quasi come in metropolitana la mattina", ci sbizzariamo nel repertorio di scemenze, poiché la parte del pizzo d'Erna solcata dalla funivia prende il nome di "Cadrega", cioè sedia, e da cadrega al rivivere lo sketch di Aldo Giovanni e Giacomo ci passa pochissimo, e poiché ciascuno di noi parla col proprio accento e dialetto peculiare, alla fine siamo tutti gelati da un altro (non so chi, se di noi o degli altri escursionisti) che si chiede ad alta voce: "Ma sarà minga u terùn?" - o come suona la frase "sarà mìa u terù" in milanese.

Piani d'Erna, quota 1300erotti m slm; il nostro obiettivo è la punta Cermenati, m 1874. Sulla carta il dislivello è minimo, ma il problema dell'orografia locale è grave: per salire dobbiamo prima scendere, in un bosco ottimamente ombreggiato, sulle note de "il vitello dai piedi di balsa" fino a ca 1200 m, e poi risalire a Pian Serrada, aggirare uno sperone roccioso, del bel calcare del Resegone, e salire per un canalone dove, con discreto divertimento, si tratta anche di usare le mani, quando serve. L'ultimo tratto è impressionante, da una certa distanza sembra verticale. Ed in un paio d'ore siamo in cima, sono in cima anche quei due-tre di coda, assistiti (per l'andata) da Chiesa. Pranzo con aperitivo in vetta, si mangia troppo, e si discute animatamente se sia più opportuna la valorizzazione dei seminari minori o di altri metodi di orientamento vocazionale (siamo, in fondo, il gruppo "clericale" della facoltà di scienze)
Devo faticare per convincere un gruppetto, rigorosamente di soli uomini, che la bottiglia di lambrusco portata in vetta era come la Coca, buona ma poca (chicca di Chiesa), e che era opportuno un cicchetto a base di grappa. Poi, il solito gruppo si prepara a giocare a carte, mentre io, con un poco di compagnia, giro su un paio di crestine dei paraggi, tanto per non stare fermi.

Poi iniziamo a scendere, verso le tre. Dopo dieci minuti DIECI il primo e più grosso inconveniente della giornata: a Colleoni si rompono gli scarponi, deve cambiare le scarpe e procedere ancora PIU' lentamente di come non abbia fatto fino ad allora. Tra l'altro, abbiamo in programma di non prendere la funivia, in discesa, ma di aggirare il Pizzo d'Erna via Capanna Stoppani per arrivare al parcheggio della funivia a piedi. La discesa è lunga, ed il gruppo si disperde. Non so perché, benché sia certo di avere in plurime occasioni invitato tutti ad allungare il passo, mi ritrovo nel mezzo, dopo aver per lungo tempo accompagnato i ritardatari per bivi ambigui e sentieri invasi da "quei ca**o di sassi", dovuti, come ho subito spiegato, a "quella ca**o di erosione", e l'ultimo tratto di discesa, quando ormai abbiamo aspettato per ricompattarci, è quasi una corsa contro il tempo per arrivare in tempo utile per il treno delle 18.46; cosa che si verifica puntualmente - essendo il treno in ritardo.

Bene. Fatta la gita dell'anno scorso. Ora non resta che organizzare quella di quest'anno