svariati centri commerciali, l'uno più offesa architettonica dell'altro, perfino un "Galli materiali edili" in una zona industriale dismessa, e mi sono risolto a chiedere indicazioni ad un'indigena. Il piazzale Galli risulta essere il parcheggio dell'Eurospin di Lecco, non l'avrei mai trovato. Dopo una serie di fortunati sensi unici (poiché la rotonda di fronte al piazzale era chiusa per lavori, e bisognava arrangiarsi) raggiungo la sede dei sindacati confederali, indicatami come "nei pressi", ed il piazzale. Sono in ritardo di soli cinque minuti, merito della mia guida disinvolta, ma non c'è nessuno. Non c'è ANCORA nessuno. Trovo un'edicola e, sebbene avessi preferito prendere un caffè, prendo il giornale e mi avvio con la tipica aria da uomo vissuto, che non vuole far altro che leggersi il giornale, bere un caffè e mangiare una brioche, al parcheggio dove ho messo l'auto. Dal fondo del piazzale mi viene incontro una figura in braghini e maglietta che sventola la mano salutando. È Quadrelli, che è arrivato insieme a Chiesa il quale sta finendo di procurarsi il pranzo. La terza auto, a guida Galasso, è in ritardo finché decidiamo di chiamarli. Sono in dirittura d'arrivo, con qualche indicazione fornita loro sventolando braccia, giornali e bandierine ai bordi della superstrada li indirizziamo verso il posto dove ci siamo tutti. Bisogna andare in stazione a prendere quelli che arrivano da Milano. Ad occhio e croce, ci sono cinque posti liberi, sulle tre auto, mentre in teoria da Milano e dintorni dovrebbero arrivare in sei o sette. Ci si stringerà, Chiesa si bulla di avere un macchinone che se serve tira fuori dal garage. Allo stato attuale, i tre equipaggi sono così composti: auto Quadrelli (Seicento bianca): Quadrelli, Chiesa: 2-3 posti liberi; auto Galasso (Matiz blu): Galasso, Cardani, Colleoni (mu), Paolo il matematico; nessun posto libero; auto Casati (AX celeste): Casati stesso: 3-4 posti liberi;
Durante la salita, invero pigiati "quasi come in metropolitana la mattina", ci sbizzariamo nel repertorio di scemenze, poiché la parte del pizzo d'Erna solcata dalla funivia prende il nome di "Cadrega", cioè sedia, e da cadrega al rivivere lo sketch di Aldo Giovanni e Giacomo ci passa pochissimo, e poiché ciascuno di noi parla col proprio accento e dialetto peculiare, alla fine siamo tutti gelati da un altro (non so chi, se di noi o degli altri escursionisti) che si chiede ad alta voce: "Ma sarà minga u terùn?" - o come suona la frase "sarà mìa u terù" in milanese.
Piani d'Erna, quota 1300erotti m slm; il nostro obiettivo è la punta Cermenati, m 1874. Sulla carta il dislivello è minimo, ma il problema dell'orografia locale è grave: per salire dobbiamo prima scendere, in un bosco ottimamente ombreggiato, sulle note de "il vitello dai piedi di balsa" fino a ca 1200 m, e poi risalire a Pian Serrada, aggirare uno sperone roccioso, del bel calcare del Resegone, e salire per un canalone dove, con discreto divertimento, si tratta anche di usare le mani, quando serve. L'ultimo tratto è impressionante, da una certa distanza sembra verticale. Ed in un paio d'ore siamo in cima, sono in cima anche quei due-tre di coda, assistiti (per l'andata) da Chiesa. Pranzo con aperitivo in vetta, si mangia troppo, e si discute animatamente se sia più opportuna la valorizzazione dei seminari minori o di altri metodi di orientamento vocazionale (siamo, in fondo, il gruppo "clericale" della facoltà di scienze)
Devo faticare per convincere un gruppetto, rigorosamente di soli uomini, che la bottiglia di lambrusco portata in vetta era come la Coca, buona ma poca (chicca di Chiesa), e che era opportuno un cicchetto a base di grappa. Poi, il solito gruppo si prepara a giocare a carte, mentre io, con un poco di compagnia, giro su un paio di crestine dei paraggi, tanto per non stare fermi.
Poi iniziamo a scendere, verso le tre. Dopo dieci minuti DIECI il primo e più grosso inconveniente della giornata: a Colleoni si rompono gli scarponi, deve cambiare le scarpe e procedere ancora PIU' lentamente di come non abbia fatto fino ad allora. Tra l'altro, abbiamo in programma di non prendere la funivia, in discesa, ma di aggirare il Pizzo d'Erna via Capanna Stoppani per arrivare al parcheggio della funivia a piedi. La discesa è lunga, ed il gruppo si disperde. Non so perché, benché sia certo di avere in plurime occasioni invitato tutti ad allungare il passo, mi ritrovo nel mezzo, dopo aver per lungo tempo accompagnato i ritardatari per bivi ambigui e sentieri invasi da "quei ca**o di sassi", dovuti, come ho subito spiegato, a "quella ca**o di erosione", e l'ultimo tratto di discesa, quando ormai abbiamo aspettato per ricompattarci, è quasi una corsa contro il tempo per arrivare in tempo utile per il treno delle 18.46; cosa che si verifica puntualmente - essendo il treno in ritardo.
Bene. Fatta la gita dell'anno scorso. Ora non resta che organizzare quella di quest'anno