Mentre io ero via con la famiglia, i giovani di Scanzorosciate hanno vissuto un'esperienza di cosiddetta convivenza.
Premesso che il fatto di dover andare via mi ha tolto dall'imbarazzo di dover decidere se parteciparvi o meno in forma completa (id est convivere in oratorio con gli altri vari giovani oppure solo partecipare alle attività di riflessione proposte), anche dopo i favorevoli apprezzamenti che l'iniziativa ha ricevuto da parte di miei amici che avevo ritenuto assolutamente distanti da questa sensibilità sessantottina della comune cattolica.
Sia detto per inciso, mi sono raffreddato nei riguardi dell'Azione Cattolica e l'ho mollata quando hanno iniziato a fare queste convivenze. Se volevo stare in convento, la strada me la trovavo da me; non amo le "esperienze forti", gli "slanci" ideali o spirituali. Queste convivenze di tre giorni, di una settimana, di quello che sia, mi dicono poco. Il nostro mondo quotidiano è accantonato, e si vive in un mondo parallelo dove tutto - o quasi - è rose e fiori, ma non è vero. Come una recita, senza la consapevolezza di recitare.
Detto questo, appunto, il problema non s'è posto, perché non c'ero.
Essendo, però, arrivato per tempo a casa, ho potuto partecipare all'incontro di preghiera conclusivo. I due momenti forti, da programma, erano sabato sera e domenica sera, con questi incontri aperti anche a chi non partecipava alla convivenza; questi incontri sul Padre Nostro. Avendo io saltato sabato, i passaggi di cui ho ascoltato la meditazione sono i due del titolo. Per i precedenti ho il libretto, per i successivi ci aggiorneremo ai prossimi incontri.
Devo dire che, a parte il solito contorno di "evocaticitame" che non mi dice molto (e Chagall non mi piace, poverino, ne riconosco l'impegno per un'arte sacra moderna ma...), le due meditazioni sono state interessanti ed azzecate. (so che a volte legge, e magari commenta anonimo: bravo don)
Sono però, secondo me, e su questo dovremo chiarirci, in equilibrio tra richiedere agli uomini di essere non Uomini, ma santi, e la fragilità e debolezza umana, opportunamente riconosciute - come da citazione di Rom 7,15 - e la fede della Grazia di Dio che interviene. Per sensibilità, sapete, sono più propenso ad affidarmi alla Sua Grazia che a fidarmi di me stesso e dei miei simili.
Facciamo un esempio concreto, che scrivo troppo e poi nessuno legge i post fino alla fine:
Dire "Venga il tuo Regno" vuol dire credere che il mondo sarà cambiato. E se io lo credo non per i segni che riesco a scoprire dentro il groviglio dolente dei fatti di cronaca, ma perché Dio si è impegnato. La promessa di Dio è il mio punto d'appoggio. E Dio esaudisce sempre, non le nostre preghiere, ma le sue promesse.
Come dire...bene. Condivido. Ma, allora, cosa significa
Il Regno è dentro di me quando scendo nei miei propri inferi, nelle zone da evangelizzare di me stesso, in quel mio profondo dove tumultano le passioni le ansie e lì porto orientamento, direzione, senso e armonia ecc.
Non è che non condivida queste parole. È la possibilità che queste parole comunicano davanti alla quale sono scettico. Come dire, se io faccio questo, il Regno abita in me. Ma i casi sono due (cfr. Sant'Agostino, ivi citato "È dunque la grazia di vivere bene che tu chiedi quando preghi: venga il tuo Regno"): o io riesco a fare quello che sta scritto, e sono in grado di rigenerarmi, e dunque non serve la Grazia, oppure questo non è altro che un elenco di pie intenzioni; senza la Grazia sono cose impossibili. Ma, allora, a cosa servono queste intenzioni - l'uomo, perché lo dice sempre "arrivare a Dio passando per l'umano" - se è Dio che agisce (e non so cosa dovrei credere, a questo punto, ma io credo che sia Dio che agisce nella storia del mondo e nella vita degli uomini)?.
Nessun commento:
Posta un commento