So di aver liquidato sbrigativamente la questione, ieri sera. E so che tra pochi minuti mi toccherà andare, come tutti, al capezzale del morto ed a trovarne la famiglia.
In queste occasioni, non so mai che dire o fare.
Perché, da un lato, vedo e capisco il dolore dei famigliari - come vedo e capisco il dolore della mia donna di servizio, che ha perso il padre dopo una malattia improvvisa la settimana scorsa. Ma dall'altro, ho l'impressione e la convinzione che questo dolore sia insensato.
Diciamo tutti che i morti stanno meglio dei vivi, e per chi crede questo è vero. Noi crediamo. Dovremmo quasi essere felici, anzi dobbiamo essere felici per i nostri cari che ora sono nella casa del Padre, la nostra dimora naturale - benché non automatica, altrimenti non avrebbe avuto senso la Redenzione.
Eppure tutti piangono. Io no, a dire il vero, ma non è che sia stato toccato da lutti molto profondi. Fortunatamente, certo. Se si esclude mio nonno Angelo, morto che non avevo ancora quattro anni e quindi sì - ricordo di aver pianto - ma non saprei se più per lui che era morto o perché si era spenta la fiaccola che avevo buttato nella fossa con l'intento che ardesse per sempre in lui il mio ricordo, i lutti successivi in famiglia hanno sempre riguardato parenti più o meno lontani, e tra gli amici ed i conoscenti qualche genitore di compagni di scuola o vecchi parroci e suore. Persone anche a cui ero affezionato, a volte, ma senza esagerare. Mai esagerare negli affetti.
E mi chiedo sempre di che piangano le persone che portano il lutto.
Non possono piangere per quello che li ha preceduti - a meno che piangano per invidia, e non mi sembra proprio il caso - piangono per se stessi. Su se stessi. Sui propri rimpianti e rimorsi, sul non aver avuto tempo di dire o fare qualcosa. Ma ora lui sa, è al cospetto di Dio. Con tutto l'amor che il morto può provare per i vivi, quanto deve sembrargli piccola la loro pena. Cosa sarà un dolore di giorni, di mesi, anche di anni, di fronte all'Eterno?
E noi, perché piangiamo? Ci sentiamo persi, fragili, deboli? Ma questo già lo sappiamo.
Non piangiamo sui morti; piangiamo, se dobbiamo, sui nostri peccati.
In queste occasioni, non so mai che dire o fare.
Perché, da un lato, vedo e capisco il dolore dei famigliari - come vedo e capisco il dolore della mia donna di servizio, che ha perso il padre dopo una malattia improvvisa la settimana scorsa. Ma dall'altro, ho l'impressione e la convinzione che questo dolore sia insensato.
Diciamo tutti che i morti stanno meglio dei vivi, e per chi crede questo è vero. Noi crediamo. Dovremmo quasi essere felici, anzi dobbiamo essere felici per i nostri cari che ora sono nella casa del Padre, la nostra dimora naturale - benché non automatica, altrimenti non avrebbe avuto senso la Redenzione.
Eppure tutti piangono. Io no, a dire il vero, ma non è che sia stato toccato da lutti molto profondi. Fortunatamente, certo. Se si esclude mio nonno Angelo, morto che non avevo ancora quattro anni e quindi sì - ricordo di aver pianto - ma non saprei se più per lui che era morto o perché si era spenta la fiaccola che avevo buttato nella fossa con l'intento che ardesse per sempre in lui il mio ricordo, i lutti successivi in famiglia hanno sempre riguardato parenti più o meno lontani, e tra gli amici ed i conoscenti qualche genitore di compagni di scuola o vecchi parroci e suore. Persone anche a cui ero affezionato, a volte, ma senza esagerare. Mai esagerare negli affetti.
E mi chiedo sempre di che piangano le persone che portano il lutto.
Non possono piangere per quello che li ha preceduti - a meno che piangano per invidia, e non mi sembra proprio il caso - piangono per se stessi. Su se stessi. Sui propri rimpianti e rimorsi, sul non aver avuto tempo di dire o fare qualcosa. Ma ora lui sa, è al cospetto di Dio. Con tutto l'amor che il morto può provare per i vivi, quanto deve sembrargli piccola la loro pena. Cosa sarà un dolore di giorni, di mesi, anche di anni, di fronte all'Eterno?
E noi, perché piangiamo? Ci sentiamo persi, fragili, deboli? Ma questo già lo sappiamo.
Non piangiamo sui morti; piangiamo, se dobbiamo, sui nostri peccati.
2 commenti:
Piangiamo perché ci mancherà la persona morta. O, per esempio nel caso di persone giovani, perché sappiamo che ci sono persone (i figli, il coniuge) che contano su di lei e invece non c'è più.
Piangiamo per il vuoto che abbiamo in noi. Per la paura di dover continuare da soli.
I casi sono due:
Piangiamo per i famigliari che restano e che dovranno rivluzionare la loro vita (coi nonni è più debole, ma non saprei, non mi è ancora capitato). O piangiamo per i progetti che il defunto non ha potuto portare a termine, o per le cose utili (non voglio essere cinico, intendo le opere che magari l'avrebbero potuto rendere pià soddisfatto) che il defunto avrebbe ancora potuto compiere, magari con gli strumenti che di anno in anno ci semplificano la vita e ci aprono la mente.
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