Sono di ritorno da una delle conferenze di Bergamoscienza, Fisica e musica, del prof. Frova.
Il prof. Frova è ordinario di Fisica Generale alla Sapienza, ed ha scritto il libro su cui ho preparato, a suo tempo, la parte di fisica della mia tesina di maturità, Fisica nella Musica, Zanichelli ed.
Quindi non potevo fare a meno di andare a sentirlo, anche perché di tutte le conferenze del Bergamoscienza vado ad una sola, di solito, e quest'anno l'unica di mio interesse era questa. La tesi di tutta l'opera musicologica del professore mi era già nota: che il concetto di consonanza ed armonia delle note non è un fatto culturale o convenzionale, come qualche musicista moderno ha sostenuto, ma dipende dalla natura dei suoni e dal modo in cui il nervo acustico ed il cervello li codificano ed elaborano. Così, in un cervello privo di educazione musicale, quale quello degli animali (su cui si sono eseguiti simpatici esperimenti in vivo) o dei bambini, apprezza solo gli intervalli più consonanti, quelli in cui il rapporto delle frequenze è dato da numeri interi piccoli (proportio sesquialtera, sesquitertia, ecc. in terminologia secentesca), e meno quelli dissonanti. Inoltre, e qui la polemica si fa più virulenta (ed io sono assolutamente d'accordo con lui, beninteso), le teorizzazioni della dodecafonia, della musica seriale ecc. sono sperimentazioni oggettivamente "brutte", che il pubblico non può recepire, perché prive delle strutture melodiche (intervalli consonanti contrapposti a dissonanti, cadenze e moduli ritmici) che il cervello elabora agevolmente - qui si dovrebbe entrare nei dettagli e non lo farò - e molto simili, dal punto di vista del segnale elettrico elaborato dal cervello, al rumore.
Io non voglio essere materialista, e come Pitagora sostengo che il senso dell'armonia è nei numeri che rappresentano le proporzioni, come se all'orecchio piacessero davvero le frazioni semplici, senza aver bisogno - ma non perché questo non sia vero, perché è inessenziale alla descrizione, anche se fondamentale al meccanismo - di ricorrere alla coincidenza delle armoniche superiori, come "fisicamente" si dovrebbe fare.
Musica è l'esercizio della mente che conta senza sapere di contare, Leibniz
2 commenti:
Sorrido ogni giorno osservando come i musicisti suonino e ascoltino, mentre altri osservino la musica quasi fosse un animale curioso, che si è differenziato nel tempo in molteplici specie...
Un esempio banale: ho scoperto più regole di armonia suonando la chitarra che non suonando il pianoforte, sperimentando semplicemente. Caratteristiche fisiche del suono e degli intervalli, come la reazione del cervello ad essi, non interessano l'esecutore...Di solito ci si avvicina a questi argomenti quando si è obbligati a studiarli per gli esami del conservatorio, e allora si scopre questo lato che prima soltanto si intuiva della musica.
E continuo a sorridere, vedendo che qualcuno studia l'equilibrio delle coreografie mentre qualcuno balla, che qualcuno studia le reazioni chimiche del nostro organismo a sostanze commestibili mentre altri si preoccupano di cucinare con gusto. Che qualcuno suona. E qualcuno studia.
E sorrido ancora. Un chiaro segno che musicologia non era una brutta idea...
Non sono un artista. E me ne guardo bene. Ma, in piccolo, un esecutore appassionato lo sono anch'io.
Quello che per me è il punto è la ricerca delle fondazioni della musica. Perché le cose vanno capite, non solo provate (e questa è tutta la mia anima di matematico che mai sarà artista se non per sperimentazione); come per i Greci che cercavano l'arché di tutte le cose. E la base dell'armonia sono i numeri - interi - piccoli.
C'è, come accennavo, una ragione fisica, "materiale", della cosa - oscillazioni onde frequenze armonici scomposizioni in serie di Fourier (via via più astratta ed immateriale) - ma la radice è nel Numero.
Posta un commento