sabato 13 ottobre 2007

Del principio d'indeterminazione

Non mi si tacci di simpatia per la meccanica quantistica, o meglio per l'interpretazione di Copenaghen.
Però, se sciogliamo la formulazione fumosa del principio di indeterminazione, che ancora all'ultimo anno di Liceo insegnano (i professori di lettere - non per ingiungere loro di stare zitti, ma sarebbe sempre meglio sapere ciò di cui si parla) essere, insieme alla relatività (che ha intendimenti e risultati opposti) essere una delle basi della crisi delle certezze del primo Novecento, il principio è assolutamente accettabile, ed evidente - e non mi sembra che possa intaccare le certezze di chicchessia. La prima cosa da cui vorrei sgombrare il campo è che il principio sia dovuto alla misura, cioè all'idea, che sono certo viene ancora veicolata nelle scuole superiori (stavolta, più grave, dagli insegnanti di scienze), che l'osservazione di una particella ne perturbi le condizioni, e che quindi se vedo dov'è (posizione) le do una "botta" e non so più dove andrà a finire (velocità). Questo, che è comunque vero, non è la radice del principio - anche perché, converrete, non sarebbe poi questa cosa fondamentale.

Nota: cercherò di essere il più chiaro possibile, ma se uno non dovesse capire di cosa sto parlando, è bene che si dia un'occhiata alla meccanica delle onde e (se volesse una dimostrazione di quello che dico, che comunque qui non darò) all'analisi di Fourier.

Tutti hanno presente la funzione sin(t) - t è la variabile, a questo livello è indifferente scrivere x. Sappiamo che è continua e va "su e giù", come un'onda. Possiamo prenderla come modello di onda piana. La funzione varia tra -1 e 1 (non possono esserci valori di seno più alti di uno e più bassi di -1) ed è periodica; sappiamo che si ripete uguale dopo 2π. Possiamo scegliere di assegnarle un'ampiezza ed un periodo (con relativa frequenza) arbitraria, tramite opportuni parametri. y=Asin((2π/T)t). Si vede subito che questa nuova funzione varia tra +A e -A ed è periodica dopo un'intervallo di T sulle t (se non ci credete o non lo vedete al volo, verificate).
A questo punto, sapendo che la frequenza è l'inverso del periodo, introduciamo la grandezza (molto più comoda) ω tale che y=Asin(ωt). La pulsazione, come si chiama, è direttamente proporzionale alla frequenza. Ora, diamo per scontato che si sappia, da Einstein, che l'energia trasportata da un'onda è direttamente proporzionale alla sua frequenza. Si ha E=ħω. Con ħ ho indicato il fattore di proporzionalità rispetto alla pulsazione perché so già è quello, ma non ci sono motivi particolari per prediligerlo, andava bene una costante qualunque. L'energia trasportata da un'onda dipende dalla sua frequenza. La funzione che ho scritto, allora, ha un'energia arbitrariamente precisa, perché arbitrariamente precisa è la frequenza. Mi posso però chiedere dov'è questa energia (anzi, visto che la funzione è in t, sarebbe meglio quand'è) (per i fisici: so di non essere preciso, che la variabile coniugata all'energia è il tempo e non la posizione, e quindi dovrei parlare di impulso e non di energia, ma tanto sono proporzionali, no? per i non fisici: fate finta di non avere letto) e concluderei che non è da nessuna parte di preciso, perché la funzione seno è "uguale" (ci capiamo...) dappertutto, e quindi non posso localizzarla.
Esiste un modo di realizzare, a partire da un numero qualsiasi (anche infinito, anche infinito con la potenza del continuo) di funzioni goniometriche (seni e coseni, oppure esponenziali complesse che si fa prima - i non fisici trascurino queste ultime) una forma qualsiasi, e questa operazione si chiama Trasformata di Fourier. In soldoni, se io voglio avere un'onda limitata nello spazio e/o nel tempo, cosicché possa dire "è già qui", "non è ancora passata", devo sommare tante onde "standard", di cui abbiamo già visto la forma. Ogni onda con la sua frequenza e la sua ampiezza. Avremo così un risultato che è fatto di tante frequenze diverse, e quindi con tante energie diverse, per avere un'onda (meglio, un pacchetto d'onda) localizzata. Se, al limite, volessimo essere precisissimi, e avere un pacchetto arbitrariamente stretto, dovremmo usare infinite onde, con infinite energie, e non potremmo dire che energia è assegnata a questo pacchetto.
Questa, che è una conseguenza matematica che vale sulle onde, passa in meccanica quantistica quando ci si accorge che è possibile descrivere anche la materia come un'onda - dunque anche per i punti materiali vale qualcosa del genere, che se si vuole essere precisi su una delle due variabili coniugate (come si chiamano), cioè energia-tempo e impulso-posizione, si perde precisione sull'altra. Poi, va be', siamo in meccanica quantistica e quindi non ci sta male un acca tagliato, e quindi il principio ha la nota forma
E·t≥ħ p·x≥ħ
dove io non ho scritto, ma si intende, che E,t,p,x sono errore su E,t,p,x.
Qualcuno non dormirà stanotte, per questo?

Nessun commento: