Sulla carta questa tappa è lunghetta, ma siamo rinfrancati dal fatto che sia l'ultima. Passando accanto al castello di Biscina si scende dapprima per sterrato, poi per alcuni ripidi tratti di sentiero - che sembrano messi apposta per ostacolare quanti, come mio cugino Davide, procedono coi sandali per via delle vesciche (sandali che, dopo aver provato praticamente quelli di tutti, in data odierna sono i miei - ma se avessimo saputo prima che gli sarebbe venuto così facile camminarci, glieli prestavo già da un paio di giorni) - alternati (perché mi sembra giusto) con altrettanto ripidi strappi in salita, fino alla strada - direi di servizio, visto che è piena di segnali di divieto d'accesso e la carta Kompass ritiene di metterla sotto il teorico livello di massimo invaso del, per il lago di Valfabbrica, che è poi una specie di gigantesco stagno puzzolente causato dallo sbarramento del Chiascio da parte di una diga ciclopica, che chissà se è mai servita a qualcosa di serio. Dopo averla seguita per qualche chilometro fino alla diga, ignorando alcuni segnavia che, stando alle mappe, ci avrebbero offerto certo la visita di una pieve e di un grazioso agglomerato di case, ma regalato un su e giù inutile, ci mettiamo nella piana del Chiascio, dalla località Barcaccia dove un tempo partivano i traghetti per l'attraversamento del fiume (che mi chiedo come sia mai stato possibile navigare senza grattare il fondo), che seguiamo su strada bianca dapprima in pieno sole, poi ombreggiata fino alle porte di Valfabbrica, che raggiungiamo in salita, e sono già due ore e tre quarti dalla partenza.
Dopo esserci procacciati il pranzo, proseguiamo, infilandoci fortunatamente presto, dopo pochi ma intensi minuti di rebatù sull'asfalto, in un fossato/valletta detto Fosso della lupa, in cui si sente l'insolito - per questo pellegrinaggio, direi che è la prima e l'unica volta che capita - gorgogliare di un ruscello non in secca che ci accompagna per quasi tutta la - peraltro assai ripida, a tratti - risalita, che si conclude sul crinale della collina. Altri duecento metri di strada bianca e siamo al GPM della tappa odierna. Su strada asfaltata, in lievissima discesa, giungiamo a Casa Coppe, dove attendiamo gli altri e mangiamo, ospitati per quanto concerne acqua, vino e grappa - prodotta a Pedrengo, ironia della sorte - dai gentilissimi agricoltori. Si scende poi, tutti insieme, dapprima su strada e poi per sterrato fino a poco prima di un poggio (Assisi, ormai, è visibile all'orizzonte dal GPM, ma il Subasio si intravede anche da Biscina) che, tra qualche imprecazione di troppo, risaliamo per ridiscendere ai piedi della collina su cui sorge Assisi. Con qualche incertezza, in silenzio, tentiamo dapprima di raggiungere la basilica superiore risalendo nel bosco, ma il segnavia del CAI si perde nella fratta, e noi con lui. Tornando sulla strada cerchiamo qualsiasi risalita purché non quella segnata sulla guida, che ci porterebbe su fino al cimitero; e troviamo una strada pedonale, chiaramente in ripidissima salita ed in pieno sole; sbuchiamo alla Basilica Inferiore, saliamo la rampa di scale e ci ritroviamo (con Davide, che sotto l'effetto dell'Aulin ci ha preceduto) nel piazzale della Superiore, per concludere il pellegrinaggio.
Nella foto, noi buttati sul piazzale della Basilica Superiore
1 commento:
Ho un ricordo chiarissimo del monte Subasio quando sono stato per la prima e finora unica volta in Umbria: ci siamo saliti in macchina e siamo ridiscesi col carroattrezzi.
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