Ancora un episodio della vicenda di Lui
Camminava a passo svelto tra la folla della Galleria Vittorio Emanuele. Aveva preso una decisione che comportava seri rischi, ma d'altra parte in mezzo alla gente che prendeva parte alla passeggiata domenicale ben pochi sarebbero stati in grado di seguirlo senza farsi notare. Questo era di importanza primaria, dopo che saltando da un tram in corsa era riuscito a far perdere le proprie tracce a quell'uomo di mezza età con un'insolita (e sospetta) giacca di tweed ed un paio di favoriti di foggia straniera. Per la sicurezza della propria borsa, invece, non poteva che affidarsi alla manetta, opportunamente nascosta dalla giacca troppo lunga, che gliela legava al polso. Per la sua sicurezza, era meglio non pensarci. Del resto, nessuno avrebbe dovuto saper niente del suo trasporto. Anzi, forse nessuno ne sapeva niente, ed era sceso dal tram solo per paranoia. Ma sempre meglio che avere un gentiluomo di Sua Maestà britannica alle costole.
Tagliò per la diagonale piazza Duomo, evitando di incrociare i due carabinieri a cavallo che avevano occhi più per le giovani a spasso negli ultimi giorni di primavera che per l'ordine pubblico; quando fu dalla parte opposta della piazza, si infilò nella più stretta delle vie e si dedicò ad un giro piuttosto tortuoso, sempre dalle parti della biblioteca Ambrosiana. In piazza San Sepolcro, all'infuori di una beghina che usciva dalla chiesa, sembrava non esserci nessuno.
Gettando uno sguardo sul palazzo in cui era atteso si chiese come facesse la gente a non aver mai pensato a finanziatori occulti di quel partitino dello zero virgola; dello zero virgola, ma molto rumoroso; ma del resto tutti gli estremisti erano molto rumorosi, in quegli anni. La questione fondamentale, ora, era capire se convenisse farli tacere, o far urlare loro parole condivisibili.
Quelli dell'Alleanza Industriali, a quanto pareva, propendevano per la soluzione due. Per ora non ci erano riusciti, ma continuavano a prestargli gratis la sede.
Era venuto il momento di dare una scossa alla situazione. Lui tirò il fiato, diede una lisciata ai baffetti impeccabili, ed entrò nel portone.
Nemmeno in guerra aveva visto una soldataglia peggiore. «Sono atteso», si limitò a dire alla specie di sergente appesantito dalle più incongrue decorazioni che avesse mai visto, da fez nastrini e cordicelle, che faceva un solitario nella guardiola del portiere. Nonostante indossasse abiti civili, e passasse per corridoi in cui erano buttati qua e là squadristi coi loro manganelli, nessuno lo fermò; solo ogni tanto si levava qualche occhiata scontrosa, che Lui tacitava con lo sguardo che dispensava, durante la guerra, alla rassegna della propria compagnia. La faccenda buffa è che quegli sgherri fissavano lui, con sospetto per via dell'abito elegante, del volto rasato, dell'aspetto aristocratico, e non sembravano prestare attenzione alla valigia che cercava di muovere il meno possibile, mentre saliva al piano nobile e percorreva il corridioio per il salotto di rappresentanza.
Alle pareti, teschi e gagliardetti degli arditi, una sorta di raccolta di souvenir della Guerra.
La prima persona a rivolgergli la parola fu una giovane. Lui si trovava dinanzi alla porta chiusa del salotto, colto nell'attimo d'esitazione tra il bussare o attendere che qualcuno lo notasse - in fondo doveva essere atteso - ed introducesse.
«Signore, può accomodarsi ed attendere con noi»
"Noi" erano due giovani sorelle con l'abito della festa e l'aria spaesata di chi è la prima volta che si trova in un posto del genere. In un posto che, Lui riteneva, non avrebbero mai dovuto frequentare. Probabilmente anche loro stesse non erano entusiaste della propria posizione; anche perché gli squadristi non avevano di meglio da fare che fissarle con insistenza o cercare di risultare, con esiti disastrosi, sufficientemente urbani per attaccare bottone.
Lui, al contrario, non aveva nulla da dimostrare; inoltre, doveva evitare di far cadere l'attenzione sulla valigetta e sul suo strano braccialetto. La ragazza che gli aveva rivolto la parola denotava una spigliatezza, ancorché non sufficiente per confonderla con una ragazza introdotta in società quali quelle che Lui frequentava, bastante per passare un quarto d'ora ameno. L'altra sorella, invece, doveva essere d'indole ben più riservata. Probabilmente un partito migliore, per qualche rampollo del paese; peccato fosse meno graziosa della prima.
Mentre a mezza voce ciarlava del più e del meno, «Lei è mai stata a Roma, signorina?», Lui cercava di dedurre cosa le conducesse a quello che non era certo un ritrovo d'educande. Ci avrebbe visto meglio delle donne pubbliche, Lui; non le figlie di uno stampatore di Tirano - annotò mentalmente: libelli eversivi in Valtellina, controllare.
Non aveva idea di quante visite potesse ricevere il capo del movimento, ed a quali scopi. Erano circa venti minuti che facevano anticamera, ormai. Lui non avrebbe potuto dirlo con precisione perché il movimento necessario ad estrarre l'orologio dalla tasca avrebbe probabilmente scoperto le manette, e non era il caso. Tra l'altro, per salutare le signorine avrebbe dovuto dar loro la destra, dalla padella alla brace. A meno che fossero fatte entrare loro per prime.
Cosa che, fortunatamente ma ragionevolmente, avvenne. A metà del suo ragionamento, dalla porta uscì un vecchio artritico, vestito di una camicia nera troppo larga. Invitò le signorine Zinella -Zinella, segnato- ad entrare, e chiese a Lui se volesse qualcosa da bere. Mandatolo a far fare un caffè, Lui si gettò attorno un'occhiata, constatò con un sorrisetto che, sparite le signorine, era scemata anche l'attenzione degli squadristi; ed in due mosse si liberò il polso, in tempo per prodigarsi in una regolare presentazione - che prima aveva evitato per non dover stringere mani o fare il baciamano (ché non sarebbe da fare, perché non sono sposate: ma saranno abbastanza erudite da saperlo, o preferirebbero comunque riceverlo, per vantarsi con le amiche di aver conosciuto un vero gentiluomo, in città?). La giovane e graziosa Pace, la timida Giaina («diminutivo di Giovanna, nostro padre è alquanto eccentrico»). Lui le guardò prendere lo scalone, prima di voltarsi ed entrare, borsa alla mano, nel salotto in cui era atteso.
Pesanti tende alle finestre, affacciate sulla piazza quasi deserta; un tavolino rotondo per prendere il tè; un vecchio divano ed una poltrona in coordinato; una scrivania insolitamente sgombra di carte, per il direttore di un giornale. Davanti alla scrivania una seggiola imbottita: le signorine dovevano essere state ricevute al tavolino, sebbene fossero state congedate in breve tempo. Dietro la scrivania riluceva la calvizie dell'uomo. Di fronte a lui, una mezza risma ordinata di carta bianca. Accanto alla risma, una penna. Non era certamente lo studio in cui lavorava.
«Si accomodi, dottore»
Lui, soffermandosi artatamente ad esaminare la foto di un gruppo di commilitoni in divisa da bersagliere, notò con la coda dell'occhio le due giovani uscire dal portone; solo allora, un momento prima di dare l'impressione di essere scortese, depose cappello e soprabito sul tavolino, guadagnò la seggiola e posò la borsa sulla scrivania.
«Un'altra campagna elettorale, per le ennesime elezioni politiche. Mi chiedo sempre cosa ci troviate, voi politici»
«Ed io mi chiedo sempre perché voi signori non facciate un partito vostro, invece di venire ad elemosinare da noi»
«Per via del suffragio universale; ma definirei assai opinabile dire che siete voi a farci l'elemosina.»
E, così facendo, aprì la borsa e mostrò all'interlocutore il suo contenuto. Per quanto si sforzasse di non mostrare sorpresa, questi non poté fare a meno di sobbalzare.
«Sì, sono tanti. Vedete di guadagnarveli»
«Con questa donazione, penso proprio che i bolscevichi non metteranno a repentaglio il raccolto, come l'anno scorso»
«I proprietari che rappresento ne confidano. E confidano anche che con le elezioni del mese prossimo si dia una scossa al Paese»
«I cuori degli Italiani si rivolgeranno a noi in questo momento di crisi; la borghesia e gli amici dello straniero che affamano il popolo soccomberanno sotto l'autentico sentimento che sorge dalla coscienza nazionale»
«Devo confessarle che fatichiamo a capirla, talvolta. L'abbiamo appena finanziata affinché siate d'ostacolo alle rivendicazioni dei braccianti»
«Ma quei vostri braccianti non sono italiani autentici, sono ammorbiditi e corrotti dal veleno bolscevico e da sobillatori stranieri, che vogliono indebolire la nostra economia e con essa l'Italia!»
«Come dice lei. Coloro che rappresento, comunque, gradirebbero una ricevuta»
Scribacchiò su uno dei fogli che aveva di fronte, «Il sottoscritto, a nome della federazione dei Fasci di Combattimento, riceve da...?»
«Unione Agraria Italiana»
«..dall'Unione Agraria Italiana lire 150 000 quale contributo volontario...»
«Lasci perdere, non andremo certo a metterla sui giornali questa nota. Lire 150 000. Stop. Serve a me per dimostrare che ho fatto il mio dovere.»
«Va meglio lire 150 000 per mezzo del dottor Fabiani?»
«Andrà benissimo»
Appallottolò il foglio su cui stava scrivendo e ne prese un altro:
Il sottoscritto, a nome della federazione dei Fasci di Combattimento, riceve dall'Unione Agraria Italiana lire 150 000, per mezzo del dottor Fabiani.
M.
Lo ripiegò con cura, sigillandolo in una busta, e lo consegnò a Lui; il quale, congedandosi, raccolse dal tavolo anche la brutta copia. Poi, riprendendo cappello e soprabito, diede ad intendere che non voleva si sentisse mai parlare dell'incontro; e si raccomandò, ancora una volta, per il sereno svolgimento del raccolto.
Lui scese velocemente le scale ed uscì in piazza. Senza doversi più preoccupare della borsa e dei soldi, si sentiva parecchio più leggero; anche le casse dello Stato dovevano avere la stessa sensazione, pensò quasi sorridendo.
C'era meno gente in piazza Duomo, si stava avvicinando l'orario del pranzo. Come al solito, invece, l'usciere della piccola filiale della Stefani presidiava l'ingresso dell'ufficio, con la sua mole da ex pugile che sembrava occupare tutta la guardiola. Lui entrò sbrigativo, e si mise a parlare seccamente, più al vento che all'usciere: «Allora, tre cose: Primo, c'è in giro un inglese che stamattina mi seguiva; Secondo, fatto tutto: telegrafate a Roma; Terzo...avete corrispondenti a Tirano?»
«Signore, non è nemmeno sede di prefettura...» rispose con un po' d'imbarazzo l'impiegato
«Non c'è bisogno di dire nulla, giusto?»
«Agli ordini», gli rispose portando la mano alla fronte. Lo sguardo di Lui avrebbe potuto fulminarlo; l'usciere bofonchiò delle scuse e gli consegnò un biglietto ferroviario.
Nella salone della Stazione Centrale, Lui esaminava il tabellone dei treni in partenza. Scorreva con lo sguardo passando dal primo treno per Roma a quello per Tirano, e viceversa. Avrebbe potuto giungervi prima di notte. Si risolse ad una decisione quando ormai la locomotiva aveva cominciato a sbuffare. Si accomodò in poltrona, e riprese ad esaminare la vicenda delle signorine Zinella, ed a cercare di mettere a fuoco il motivo per cui un incontro banale avesse attirato la sua attenzione. Giaina e Pace; con nomi del genere, il padre non poteva che essere anarchico - o socialista rivoluzionario; forse, a Pace avrebbe preferito Guerra, ma probabilmente la moglie aveva conservato un po' di buon senso. Uno Zinella anarchico, o sociorivoluzionario, in alta Valtellina. Non sarebbe dovuto essere molto difficile scoprire molto su di lui; e, soprattutto, cosa avevano le due figlie da confabulare con un arruffapopoli.
Dodici ore (di cui ben poche di sonno) ed un bagno veloce dopo, Lui attendeva nella divisa d'ordinanza, nell'anticamera di Sua Eccellenza il Ministro Rodinò, al piano nobile di Palazzo Baracchini.
«Non sapevo che si chiamasse Fabiani, colonnello»
«Ci sono diversi avvocati Fabiani, Eccellenza. Ma non ne conosco nessuno.»
Il Ministro si stava rigirando tra le mani la ricevuta per l'utilizzo di quei fondi riservati. «Beh, la faccia archiviare»
«Senz'altro, Eccellenza. Posso chiederle l'autorizzazione ad infiltrare i Fasci di Combattimento?»
«I compiti di polizia politica dovrebbero essere affare della Guardia Regia»
«Forse, ma non sono riusciti nemmeno ad individuare l'inglese che suggerisce la linea ai fascisti. Almeno io so che faccia ha.»
«Colonnello, lo so che è inutile negarle l'autorizzazione»
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