Si scende dal Convento dei Cappuccini, un po' dolorosamente per quel fastidioso dolore al piede insorto il giorno prima, - seconda lettura, l'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte - fino alla città, e si attraversa tutta la pianura per vie che tagliano i campi, in alcuni punti a ridosso del muro di cinta della Buitoni. Ad un certo momento, col don, si devia per sentieri lasciando il resto della comitiva a rosolare sull'asfalto, mentre noi lambiano campi di tabacco, percorriamo tratti di quello che ha tutta l'aria di essere un semplice fosso - con tanto di ortiche - ed arriviamo sulle pendici del colle su cui sorge Citerna, nostra tappa intermedia abbastanza in anticipo per evitare la salita dell'inutile poggio che la guida indica e che gli altri, ligi al dovere ed ai segnavia, affrontano.
Il problema della giornata, che sarà poi - in realtà - il problema più grosso dell'intero pellegrinaggio, è che il gruppo di coda, formato da quattro di noi, non sopravvive allo scavalco di questo poggio, che la guida segnala per l'orribile campanile moderno, che certo è moderno ma ho visto di peggio. Dopo averli aspettati, insieme agli altri che a questo punto ci avevano raggiunto dove inizia la salita seria per Citerna, a lungo e telefonicamente contattati, e dopo aver dedotto, stanti le mappe, che tanto più fuori strada di così era impossibile, ed averli indirizzati per Monterchi via strada provinciale, li abbandoniamo un po' al loro destino e risaliamo a Citerna, bel borgo
medioevale - non so se uno dei borghi più belli d'Italia, come recitano i cartelli ad ogni angolo, ma senz'altro merita di farci un salto - presso cui facciamo una prima pausa, ma. Ma, sia per venire incontro a quelli che sono fuori strada, e che dovrebbero giungere non a Citerna, bensì a Monterchi, che per venire incontro al don che vuole vedere la Madonna del Parto, conservata presso il museo di Monterchi stessa, decidiamo che non è Citerna il luogo deputato al nostro pranzo, ma Monterchi, che tanto bisogna semplicemente scendere dalla collina, dal lato opposto rispetto a quello da cui siamo saliti. Io parto un po' prima, perché il piede protesta sempre di più, specie in discesa, e messo sulla cattiva strada da un'indigena imbocco un sentiero, o una traccia di, che attraversa in ripida discesa dapprima il deserto, poi il Getsemani, in cui m'oriento seguendo il letto di un torrente disseccato, fino ad arrivare sul Lago di Tiberiade, che con una certa difficoltà aggiro ritrovandomi poi in pochi minuti a Monterchi, non dove mi aspettavo di arrivare, ma di lusso - per come s'era messa. Devo abbandonare gli scarponi e ripiegare sui sandali. A Monterchi (che, ovviamente, non è in pianura, ma su una piccola collina che va brevemente percorsa fino in cima) pranziamo, sempre in vana attesa delle pecorelle smarrite che, stando a quanto ci riferiscono, sono riuscite a sbagliare ulteriormente ed a dirigersi dalla parte opposta rispetto a Monterchi, una volta trovata la strada "giusta". Ci immettiamo anche noi sull'apparentemente lunghissimo ed apparentemente infinito e non apparentemente, ma veramente torrido nastro d'asfalto che correrebbe dritto fino a Città di Castello, nostra meta, per lasciarlo dopo poche centinaia di metri risalendo un colle (scendendo da Citerna, avremmo comunque dovuto risalirlo, quindi siamo rientrati sul percorso standard) fino alla sommità - l'ultimo tratto è un bello strappo - dove troviamo un agriturismo dal quale quasi non ci lasciano più andar via, tanto sono ospitali ed intenzionati a rimpinzarci. Discendiamo al fondo dall'altro lato e scavalchiamo un altro colle, giungendo a Lerchi. Qui, anche data l'ora, ma soprattutto le nostre condizioni, abbandoniamo ogni velleità di risalire (peraltro inutilmente) all'Eremo del Buon Riposo (che - per come eravamo messi - più facilmente sarebbe divenuto l'Eremo dell'Eterno Riposo), ma seguendo la strada con scorciatoie varie proseguiamo nella piana fino a Città di Castello, che purtroppo va attraversata tutta, in direzione terme, e - non paghi - va lasciata per risalire su un ulteriore poggio, per giungere alla lontana (ma confortevole) Villa Sacro Cuore, dove alloggiamo. Il gruppo dei quattro dispersi, a cui s'è aggiunto Marco che ci avrebbe raggiunto in giornata, durante la tappa, arriva a destinazione - ripescato dai gestori della Villa - poco prima che noi ci si metta a cena. Anche per oggi, missione compiuta.
Nella foto, l'arrivo a Città di Castello, ignari che ci volesse ancora un'ora abbondante di cammino.
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