mercoledì 11 giugno 2008

Valbondione 2008

Per il secondo anno, appena terminate le scuole si parte per un paio di giorni di formazione per gli animatori del CRE. E, per il secondo anno, capita esattamente a cavallo dei miei esami. L'anno scorso si era rimediato salendo dopo il primo giorno, superato l'esame di laboratorio di fisica. Quest'anno si è dovuto fare diversamente, perché l'esame è domani; e scendere ieri sera, perché in teoria dovevo essere a Milano stamane, e perché non credevo si potesse studiare così bene in montagna, modulo trovare il tempo di farlo. Ad esempio, niente distrazioni come questa.

Sveglia traumatica lunedì mattina, perché - al solito, ormai è un vizio - non avevo preparato niente in anticipo, ed in mezz'ora scarsa preparare lo zaino (ed il pranzo) per la montagna e la borsa per la vita normale, nonché caricare tutto in auto - misteriosamente lasciata in strada da mio fratello -, e quindi dover fare l'andirivieni tra la scarpiera, dove ho tutta l'attrezzatura, e fuori. Corsa folle per le poche centinaia di metri da casa alla chiesa di Scanzo, dove si iniziava con la Messa, ed arrivare a metà prima lettura (fantastiche, le messe feriali: erano solo le otto e tre). La solita perplessità nel vedere mammine accompagnare i pargoli sedicenni che mancheranno di casa per ben due giorni e mezzo, ed la consueta spola tra oratorio e piazzale, per caricare l'autobus. Valigie dal volume di un metro cubo. Non capire perché a me tocca portare lo scatolone delle varie ed eventuali, che avrà pesato venti chili, ed a quello che avevo accanto lo scatolone delle brioche, che se pesava tre chili era tanto. Dovendo scendere prima, salgo in auto, con l'incarico di precedere il pullman per far trovare aperta la casa, sita in posizione ignota perché era la prima volta che ci andavamo. E, mentre mi fermo a fare benzina, a Casnigo - probabilmente non avevo maturato abbastanza vantaggio - l'autobus mi passa, e per i successivi venticinque chilometri di valle non c'è verso di passarlo. Arrivo, dunque, sette secondi dopo gli altri.

La giornata non è bella. Cielo coperto, inquietanti addensamenti attorno alle cime. Il programma era tirarsi a bolla, e salire al rif. Coca. La tenutaria della casa vacanze ed io rimaniamo dell'idea che la cosa migliore sia seguire il programma, perché - nonostante sia molto più pesante - salire al Coca è rapido, e si sarebbe riusciti ad arrivare su asciutti. Il don, supportato dagli altri - non dagli adolescenti, per cui la scelta era rimanere in casa - dispone invece il Curò, un'ora in più di salita ma sentiero che si potrebbe fare anche con i tacchi (ed una volta ho incontrato una che lo faceva). Purché si parta in fretta, raccomandiamo, si va. Ci dividiamo in tre gruppi-velocità, ed iniziamo la facilissima marcia. Quando si esce dal bosco, la sorpresa del fragore delle Cascate del Serio, che di solito vengono aperte tre giorni all'anno per la gioia dei turisti, ma le condizioni del tempo (in paese ci hanno detto che sono due mesi che piove tutti i giorni) impongono di sversare i bacini idroelettrici. Arriviamo sotto una pioggia fine, che quasi non bagna, all'attacco della direttissima (si guadagna quasi mezz'ora, rispetto alla panoramica), e saliamo. Il primissimo tratto, su fondo di terra, è franato e ci dobbiamo improvvisare equilibristi per qualche metro. Poi si inizia a calcare la roccia che - sebbene fradicia - non ci dà nessuna difficoltà. Vedere dal basso dove sbucheremo, a quelle lontanissime bandierine che garriscono al vento, è impressionante. Ma chi ha un minimo di pratica sa che non è difficile come sembra risalire il costone di roccia, mantenendosi sulla sinistra ed aiutandosi, in un paio di passi, con le mani e le catene. Beltrame di Valbondione-Rifugio, 1h30'. Non male; anzi, record. Il rifugio Curò del CAI di Bergamo (1895 m) dovrebbe essere ancora chiuso, ma i rifugisti - nuovi, dall'anno scorso - l'hanno già aperto per preparare la stagione, e stanno anche ospitando degli scialpinisti. Se li avessimo avvisati per tempo, avrebbero anche preparato per il pranzo. Noi, in realtà, avevamo tutti (eccetto uno) il pranzo al sacco, ma non si può transigere sulla birra dei primi arrivati, e nemmeno tutte le altre golosità da rifugio. Il resto del gruppo arriva nella successiva ora e mezza, gli ultimi sotto una pioggia che si è fatta battente a dir poco. Il bacino artificiale del Barbellino, pieno oltre l'immaginabile, si perde nelle nuvole. Gli ultimi che arrivano, pantofolai e costretti alla direttissima dai propri accompagnatori per prendere meno acqua possibile, lamentano la peggior esperienza di montagna della propria vita, e di aver pianto. Per quanto mi riguarda, non riesco a sopportare di restar fermo in un rifugio, specialmente come quello del Curò, con mille belle cose da vedere senza sforzo, per più di un'ora, e mi avventuro, impermeabilizzato il più possibile, fino alla diga. Al mio ritorno ha quasi smesso di piovere, e con un piccolo gruppo ed il don usciamo per una nuova passeggiata; di nuovo alla diga, dove avvistiamo un branco di camosci che lecca il sale che trasuda dal cemento, e le opere idrauliche di troppo pieno che compiono il proprio prezioso lavoro. Il sentiero per il Lago Naturale, che doveva essere naturale proseguimento della gita, è lambito ed a tratti invaso dalla neve. Diventa l'occasione per battagliare. E perché una, camminandoci sopra, sprofondi fino alla vita in seguito al crollo di una "grotta di neve". Rientriamo al rifugio che ha ripreso a piovere, e disponiamo l'inizio della discesa. Non piove poi così tanto. Parto per ultimo, avendo il tempo di gustare altre specialità etiliche di montagna, ed inizio una corsa in discesa con l'intento di raggiungere i primi, avanti d'un quarto d'ora e che non stanno certo fermi. Improbabile la direttissima in discesa, si tagliano un po' i tornanti della panoramica, e prima del bosco si raggiunge la testa del gruppo. Sono in fuga i primi tre, e non c'è verso di prenderli. L'obiettivo diventa allora un altro, dimostrare che esiste una scorciatoia dal sentiero standard a quello del Coca, che volevo facessimo al mattino. In effetti, arrivo in paese per primo (ma quelli che inseguivo si erano fermati al termine del sentiero, non si saprà mai chi ha prevalso), dopo essermi praticamente gettato giù per la linea di massima pendenza del bosco - il sentiero c'era: ricordavo bene!

La casa vacanza è di lusso, con tanto di bagni in camera. E qualche problema dovuto al fatto che le donne si sistemano sempre all'ultimo piano, ed hanno a lamentarsi perché non arriva loro l'acqua calda, e proprio devono scendere seminude nelle camere dei maschi per finire la doccia. Già alle sei si capisce che sarà una lunga notte. Cena e servizi in fretta e furia perché gioca l'Italia, mentre io, in un angolo, studio le interazioni elettrodeboli. Quelli che non escono a cercare un bar dove veder perdere la Nazionale si preparano a vedere un film degli otto che il don, non sapendo decidere, ha portato. La spuntiamo con N., di Virzì. La notte non è particolarmente traumatica; bisogna solo (nell'ordine): cacciare quelli che si nascondono negli armadi delle ragazze, murare le finestre di quelli che, incuranti della morte, l'amore spinge ad arrampicarsi alle finestre del piano di sopra, e fare un intervento antiincendio spinti da fumo anomalo proveniente da una camera.

Non riuscendo a dormire in un letto non mio, sveglia alle cinque e mezza il giorno dopo. Così riesco ad intercettare la suora prima che scenda in bassa valle a fare gli esami di terza media, ed a farmi dare le istruzioni per colazione e pranzo. Un paio d'ore di studio tranquillo, e preparare la colazione per quaranta affamati. Poi, in mattinata, lavori per fasce d'età; una gru che lavora un cento metri sopra, nel manovrare, prende i cavi dell'alta tensione e lascia al buio (e, per via del sofisticato impianto antincendio, noi anche senza gas) metà paese. Pranzo freddo, con il riso cotto la sera prima condito con tutto l'edibile, dopo aver scartato la mia fantastica proposta di fare del sushi di carne con le fettine avanzate dalla sera prima. Nel pomeriggio ci si divide per "luogo di lavoro", onde predisporre laboratori ed accoglienza del primo giorno. Per quanto mi riguarda, uno dei responsabili di Scanzo (medie). Me l'avranno ripetuto dieci volte, di lasciar lavorare i ragazzi, che organizzino loro l'accoglienza, e non mettere becco. Obbedisco, ma sia chiaro fin d'ora che (nel più politicamente corretto dei toni) l'accoglienza che è stata predisposta non incontra la mia sensibilità. Io credo, nemmeno della media dei ragazzi delle medie. Ma le signorine-animazione, d'altro canto, credono di aver ragione loro; ed ai posteri l'ardua sentenza. Fosse per me, non scenderei mai. Ma, prevedendo di dover andare a Milano il mercoledì (cosa poi saltata, e quindi inutilmente) avevo detto a mio fratello (dice lui, io non ricordavo) che martedì sera poteva avere l'auto, e quello mi chiama e fa chiamare tre volte, per dirmi di scendere subito a consegnargliela. Carico le mie cose, dunque, mentre gli altri preparano la messa, e volo (letteralmente, chi è salito in macchina con me sa come fa quando passa i cento all'ora) giù per la sgombra strada della valle. Per (spiace ribadirlo, ma mi è rimasto qui) sapere che potevo restare su. In ogni caso, non si può tornare indietro, anche perché alcune cose che devo studiare non me l'ero portate, prevedendo il rientro.

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