Premetto che ieri sera ho rivisto ampi stralci di Romanzo Criminale, e che la cosa ha avuto una certa influenza.
C'era una volta un funzionario del SISDE che prestava servizio in Sicilia. Poiché lo Stato non è né San Francesco, né la beata Pierina Morosini, ai suoi superiori, diretti come al suo capo del Viminale, era parsa cosa non buona, ma senz'altro giusta, che iniziasse a conoscere un po' di boss della zona. Che, se non era cosa troppo onerosa, desse loro anche una mano, onde ricevere in cambio ora il doppio, ora il decuplo, ora cento volte. Non che, in assenza della bontà dello Stato, si ravvedessero i mafiosi; ma, tutti pedine dello stesso gioco, all'uopo erano manovrati dal medesimo giocatore.
E, finché lo Stato, ed i politici che lo reggevano, aveva forza ed autorità per paternamente sopportare i propri gangli corrotti, ed usare anche quelli nell'interesse della ragion di Stato, tutto andava bene.
Ma, un brutto giorno, per cause ancora da chiarire - non crediamo né alle coincidenze, né allo Spirito del Tempo - qualcuno si convinse che lo Stato dovesse essere specchio di virtù; altri si riempirono la bocca della parola trasparenza, altri ancora, organi istituzionali di quello stesso Stato, si finsero vergini educande e si scandalizzarono sulla pubblica piazza e sui giornali. E, essendo per dettami istituzionali che a suo tempo erano sembrati saggi, svincolati dal resto del potere statale, si armarono contro lo Stato e lo decapitarono. Così, tra gli altri vespai da questi nostri magistrati sollevati, andò in fibrillazione la mafia, facendo l'inaudito - attentando direttamente alle istituzioni. E giù lo Stato a muso duro, decapitato, ma con tutte le membra al suo posto, a fingere di inseguire i mafiosi nelle masserie, ché tanto aveva sempre saputo dov'erano, ad arrestarli ed a tradurli in carceri di massima sicurezza.
Ma ci sono i processi, ed anche quelli sono a rischio. Perché quelli che collaborano fanno nomi scomodi. Come quello del funzionario protagonista della nostra storia. Che non si può certo definire mafioso, ma a sentire i pentiti il concorso esterno c'è tutto. Ora, lui potrebbe alzarsi in piedi e raccontare tutto. Ma, a parte il rischio non indifferente di morire per una qualche disgrazia, sono cose che il suo lavoro prevedeva. E si dichiara semplicemente innocente.
Al primo grado di giudizio viene condannato. Ancora mi immagino questi pubblici ministeri togati che gongolano davanti alle telecamere. Qualcuno gli consiglia di fare ricorso. E qui mi immagino altre e più alte opposte pressioni sui giudici. Assolto con formula piena. Ma il PM non molla l'osso annusato, anche perché ad essere onesti il concorso esterno c'è tutto, per quanto fosse ordine di servizio, e la Cassazione nuovamente condanna.
Il nostro funzionario, uso ad obbedir tacendo, va in un carcere militare. Il peggio è leggere che ha tradito lo Stato di cui resta servitore. Ma sono soltanto parole. Intanto, qualcuno si occupa ancora della sua situazione. Si potrebbe chiedere, ottenere e manipolare la revisione del processo. Ma alcuni illustri membri del governo, in quegli anni, sono già in odore di mafia; meglio evitare di suscitare altro scandalo tra i cittadini. Cambia il governo: questo è infestato da acri giustizialisti; ma lo Stato è più forte del Governo, tra l'altro non particolarmente forte neanche di suo.
Facciamo che gli si concede la grazia. Lui sparisce. E zitti e mosca.
E l'Italia giocava alle carte, e parlava di calcio nei bar.
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