venerdì 25 luglio 2008

Un po' di sassi (Rifugio Benigni)

Avendo finito con gli esami (in realtà, avendo finito la sessione di luglio, perché me n'è rimasto indietro uno a settembre), ieri ho celebrato a mio consueto modo l'inizio delle (più o meno) ferie con un'escursione in montagna. Benché all'inizio avessimo valutato, Epo ed io, che si sarebbe potuti proficuamente andare al rifugio Baroni al Brunone, alle pendici del Redorta, ma poi la pigrizia, e soprattutto la voglia di passare una giornata divertente, e non di cupa fatica, ci ha fatto ripiegare sul rifugio Benigni al Lago Piazzotti, tra la Val Brembana (che per me è ancora abbastanza ignota, fatto salvo l'ampio spartiacque con la Seriana) e la Valtellina, perché mi ricordavo che fosse una salita di medio impegno - e, soprattutto, c'è il famoso Canalino che avrebbe reso la gita diversa dalla solita camminata.

Ricordavo male, perché quella che pensavo essere una salita di un mille-milleduecento metri di dislivello per tre ore-tre ore e mezza di tempo (ricordavo nel senso che pensavo di aver letto) si è rivelata, una volta presa in mano la cartina e confrontati i segnavia del CAI (fino al Canalino l'ottimo sentiero 108, poi ci si immette sul Sentiero delle Orobie Occidentali, 101 CAI BG), con una quasi passeggiata dai 1500 ai 2222, per un tempo previsto di due ore (ed effettivo di 1h40').

L'attacco del sentiero è lungo la strada che da Cusio va ai Piani dell'Avaro, dismessa località sciistica che i comuni della zona stanno studiando di far tornare viva, nei pressi della baita degli Sciocc. Il sentiero sale, dapprima costeggiando la strada ma innalzandosi sopra di essa, in un bosco rado e, nonostante sia abbastanza stretto, non dà nessun problema. Dopo una decina di minuti (i tempi sono calcolati col nostro passo) il sentiero piega a destra, uscendo dal bosco ed immettendosi nella bella Val Salmurano, che sale fino all'omonimo passo. Con qualche impercettibile saliscendi (che si fa più percettibile solo in discesa) si costeggia una baita, attualmente "scarica" ma di sicuro ancora in funzione, e si attraversano in qualche modo due torrenti che scendono dalla nostra destra. È passata una mezz'ora dalla nostra partenza, e fino a questo punto saremo saliti sì e no di cento metri. Il sentiero, ora, si impenna per superare un dosso che ci porterà nella parte alta della Valle di Salmurano, e si placa solo nei pressi della Fonte S. Carlo (è pieno di fonti S. Carlo, su questi monti) a poco meno di 1800 m. Da qui, il percorso nella parte bassa della valle è una traccia chiara nel verde dei pascoli.

Spogliato il primo strato di copertura (al mattino faceva decisamente fresco, ed anche adesso, all'ombra, non è che si scherzi), riprendiamo a salire lungo una mulattiera militare (a tutta prima) che, con pendenza costante, si dirige verso il passo di Salmurano (2017 m), che separa il versante orobico dalla Valgerola. Il sentiero sta relativamente alto sopra il fondo della valle, occupato dai ruderi di un paio di baite e dal greto del torrente Salmurano, e piega verso ovest (dunque, a sinistra) tagliando un centocinquanta metri più in basso il costone erboso che porta al passo. Un paio di varianti, una prima della svolta, e l'altra quando il sentiero raggiunge le pareti rocciose in cima alle quali è appollaiato il rifugio (ma ancora non lo sappiamo, perché abbiamo proceduto faccia a terra, fino a questo punto) permettono di portarsi al passo, ma ormai noi siamo in vista del Canalino e procediamo per la nostra via. A memoria (quindi chissà quanto sia vero) sapevo che il canalino è certo facile, ma prevede qualche passaggio di tipo più alpinistico, anche se non supera il II grado, ma a dire il vero la salita la facciamo talmente di slancio che è più il divertimento che altro. Sì, c'è una placchetta che non si può superare praticamente a caso come tutto il resto, ma niente di che.

Comunque, superati i cento metri del canalino, uno potrebbe pensare di essersi meritato l'arrivo...invece non è così, e dopo un piccolo pianoro da cui si osserva, ormai sotto di noi, il passo di Salmurano, c'è ancora un quarto d'ora abbastanza ripido per superare l'ultima bastionata, tra l'altro reso ancora più antipatico dalla ormai evidente bandiera del rifugio, che rimane sempre ferma sopra le nostre teste. Finalmente arriviamo, al piccolo ma simpatico rifugio, da cui un'incredibile vista spazia su tutto il gruppo Scalino-Disgrazia-Bernina, e le altre cime delle Alpi Retiche che fanno da cornice, bianche di neve e ghiacciai. La giornata è talmente limpida che, con l'aiuto del potente binocolo di Epo, riusciamo a vedere due cordate impegnata nella salita del ghiacciaio del Bernina!

Dopo un minimo di relax, durante il quale abbiamo raggiunto la rosa indicatrice delle cime dei dintorni, posta ad un cinque minuti dal rifugio, abbiamo percorso i pochi passi che lo separano dal Lago Piazzotti, per osservare da vicino il metodo di raccolta dell'acqua (il lago, come appare evidente, non può che essere alimentato da sorgenti sotterranee, in quanto è troppo ampio per essere pluviale né ci sono torrenti che vi si immettono, e l'acqua per gli usi del rifugio viene derivata dal lago. Peccato che non sia potabile, e che un'ordinanza vieti di berla). Prima di pranzo, abbiamo deciso di fare due passi per ingannare il tempo e farci venire appetito, ed abbiamo iniziato a salire verso la cima di Valpianella ma poi (eravamo sempre venuti per divertirci, e non per sudare più di tanto) abbiamo abbandonato la traccia di sentiero giocando ai piccoli Kaiserjaeger (e non Alpini perché andiamo in Alto Adige ai campi estivi), cercando di attraversare a vista, tra i grossi massi e i lastroni della conca al cui fondo si trova il lago, fino a raggiungerne le sponde dal lato opposto rispetto al rifugio, e di lì tornare per pranzo. La cosa ci impegna per una mezz'oretta, durante la quale abbiamo modo di renderci conto di quanto siano diffusi gli stambecchi su questi monti. Ne avevamo visto uno in lontananza arrivando al rifugio, ed un paio che scendevano lungo le balze della cima di Piazzotti orientale, sulla quale è costruito il rifugio, ma facendo questo giro incontriamo: stambecchi che ci attraversano il sentiero, stambecchi che ci osservano con faccia di tola, stambecchi che fanno cozzare gli uni contro gli altri le corna, stambecchi che scappano quando, calandoci nel nostro giro del lago in una conchetta, ce li troviamo davanti e (più tardi, al rientro) una famiglia completa di sette stambecchi, di cui due cucciolissimi, che beatamente prende il sole a dieci metri dagli umani. Talmente tanti stambecchi, che ad un certo punto ci siamo stancati di fotografarli. Dopo aver mangiato, ed aver organizzato una gara di bouldering, in cui siamo arrivati fino al livello 3 (conglomerato, salita in aderenza), abbiamo intrapreso la discesa (durata poco più di un'ora e dieci), trovando solo un minimo di difficoltà nel fare a ritroso la placchetta di II grado del canalino. Epo (non so come) è rimasto in equilibrio sulla "lama" della placchetta, mentre io mi sono calato (dopo aver superato un primo passo sulla medesima lama, perché non si riusciva a scendere subito) nel canaletto sulla destra che, percorso fino in fondo, arriva alla base della placca, dove poi si traversa a sinistra e si trova il segnavia. Il resto della discesa è quasi una passeggiata.

Tutte le foto giudicate degne di essere ricordate si trovano nella cartella del mio fotoalbum.
Come di consueto, è disponibile un file con il tracciato di Google Earth dell'escursione (parzialmente dovuto al CAI di cui ho "copiato" il percorso dei sentieri.

2 commenti:

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