giovedì 17 luglio 2008

Ritorno in Val Zebrù

Non c'è più religione! Stavo scordandomi anche della relazione della gita delle medie del CRE di questo martedì. Non che la questione sia la gita in sé, di cui infatti, anche volendo scriverne, non che ci sia molto da dire. Ma, essendo la gita un'escursione in montagna, è necessaria la relazione che segue ogni mia girata.

Tra l'altro, riguardo la nostra meta avevo la nostalgia dell'infanzia passata, perché quando ero alle elementari ogni tarda primavera facevamo un'uscita di qualche giorno in montagna, ed in terza elementare eravamo stati (ne sono certo, passando per l'Aprica e non per Lecco-Colico-Sondrio), appunto, a Sant'Antonio Valfurva, e le due escursioni impegnative (per un bambino di nove anni, intendo) erano state appunto la Valle dei Forni e la Val Zebrù. E, in particolare - ma faventes le migliori condizioni meteorologiche ed alcune nuove amicizie di quel giorno - avevo apprezzato la Val Zebrù. Ora, sono certo che oggi come oggi avrei preferito il roccioso, severo e brumoso clima di quella giornata al cospetto del ghiacciaio dei Forni, e non il verde ridente di larici, abeti, e pascoli punteggiati di baite, con tanto di rumoroso e spumeggiante ed impetuoso torrente, ma allora non c'era stato gioco, ed avevo in mente una specie di venerazione per la Val Zebrù. Al punto che le quattro ore di pullman per raggiungerla (la statale dello Stelvio era ancora interrotta per le frane di domenica, e la deviazione ha comportato una lunga coda, e per fortuna che ci avevo pensato ed avevamo i DVD del Signore degli Anelli per ingannare il tempo) non mi erano un peso.

Arriviamo, con arditi tornanti - decisamente arditi, per i nostri tre pullman granturismo - al borgo di Niblogo, dove scendiamo e perdiamo subito un quarto d'ora perché tutti i ragazzi muoiono di fame e devono mangiare. Alle undici meno un quarto del mattino. Poi ci dividiamo in gruppetti di una ventina di persone, perché abbiamo cinque guide alpine e del parco che ci accompagneranno spiegando quello che incontreremo - e sulla falsariga di quello che ci insegnavano alle elementari, ma in effetti per noi allora erano novità, e lo erano anche per curato, suora e ragazzi delle medie che non avevano fatto le medesime cose in più tenera età. Formiamo un gruppo di volontari più camminatori, e ci inoltriamo sull'ampia, comoda, quasi autostradale mulattiera - di origine militare - della valle. La nostra guida ha la filosofia del non è importante fare le corse, ma guardarsi intorno ed imparare il più possibile, così la passeggiata, già di per sé alquanto amena, diventa la cosa più riposante che abbia fatto da secoli. Nonostante l'assurdo chiasso che producevamo - e, secondo me, se avessimo corso di più presto l'avrebbero piantata per risparmiare fiato, ma così non c'è stato verso - abbiamo avvistato un gruppo di stambecchi ed il gipeto, anche detto avvoltoio degli agnelli (ecco, questo era stato appena reintrodotto, l'ultima volta, e non l'avevamo visto, ma le aquile). L'unica è che, con questo passo, presto è venuto il tempo di fermarsi per pranzo, ed anche se, in seguito, il nostro gruppo di camminatori è ripartito in "salita", praticamente sulle tracce dei miei ricordi di cui avevo messo a parte la guida, fino ad arrivare, dopo aver attraversato diversi torrenti che tagliavano la strada, ad un ponte sullo Zebrù ed al gruppo di baite che era stata la nostra meta della gita alle elementari (e non ho osato dire che, allora, il gruppo dei camminatori più tosti era arrivato ancora più su, fino ad un ristoro) - anche perché siamo dovuti scendere di corsa, essendo la meta non più Niblogo ma il paese di Sant'Antonio, e dovendo quindi mettere in conto una discesa non breve, per giunta rallentata da quanti del nostro gruppo avevano ormai mollato.

Ma la cosa migliore è stata senz'altro il fatto che avesse fatto brutto tempo nei giorni precedenti, e che la giornata fosse tersa e radiosa, ed i monti tutti imbiancati. Si vedevano ovunque tracce del violento disgelo - è comunque metà luglio - e cascate, cascatelle, spruzzi e nastri d'argento scendevano da tutta la bastionata rocciosa del Monte Cristallo. E credo di essere stato il solo ad aver avvistato i pennacchi di neve sollevati dal vento che spazza le creste. Anche se, in effetti, abbiamo camminato troppo poco, e piano, per i miei gusti. Ma, ad aver tempo, in quattro ore si raggiungerebbe il rifugio V Alpini, al cospetto del Gran Zebrù - non fidatevi delle indicazioni CAI-Stelvio, che sono a misura di milanese zoppo. E mi sa che è da fare.

Informazioni logistiche: la Val Zebrù è una trasversale della Valfurva, che sale da Bormio al Passo di Gavia. Presso la frazione di Sant'Antonio Valfurva si prende a salire a sinistra, e si raggiunge la località Niblogo dove termina la strada asfaltata e si deve lasciare l'auto. Poi ci si inoltra lungo la comodissima sterrata, seguendo gli onnipresenti cartelli del Parco Nazionale dello Stelvio, e si prosegue più in piano che in salita praticamente fino a quando non si è paghi di quello che si è visto. Se uno non è mai appagato, continuerà a salire fino al termine della strada, e poi su sentiero risalendo i ghiaioni, fino al rifugio V Alpini a 2877 m, e poi eventualmente a divallare presso il passo di Zebrù.

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