venerdì 8 aprile 2011

Ad Inferos - Viva la Morte


Racconto di Pasqua, parte 1

1. Viva la Morte

Il Salone dei Banchetti era pieno fino all’inverosimile. Come ad ondate, attorno al Trono, la folla avanzava e si ritraeva, come in una danza colossale. Le grida sguaiate si confondevano con il battere dei calici, pieni di liquori inebrianti, neri e fortissimi.

Il giorno era alfine giunto, ed il Nemico consegnato ai suoi carnefici. L’attenzione di tutti era concentrata sugli ultimi atti del processo: il Tribunale aveva già emesso la condanna a morte, ma perché fosse eseguita c’erano ancora diversi impacci burocratici, di poteri e contro-poteri, che andavano superati. Comunque, tutti erano convinti che fosse solo questione di ore, e la grande festa, che si andava preparando da molti mesi, era già iniziata.

Si era temuto molto il Nemico, negli anni e nei secoli precedenti. Ma le cose avevano preso una buona piega, ed il gran finale era arrivato inesorabile. O meglio, stava arrivando: in effetti, qualche cassandra – e Cassandra stessa – diceva di prestare attenzione al Privilegio Pasquale che tecnicamente poteva essere invocato ed evitare l’esecuzione della sentenza; ma altri assicuravano che la folla era talmente ebbra di fanatismo che non avrebbe mai richiesto la liberazione del Nemico: e costoro videro giusto.

Mentre il condannato saliva al monte per l’esecuzione, la festa raggiungeva il suo culmine. Ma.

«Dov’è il sovraintendente alla Giudea?» iniziò ad invocare a gran voce il Principe «Portatelo qui al posto d’onore!»

Molti avevano storto il naso quando, due secoli prima, l’oscuro Iaphet era stato nominato sovraintendente di Giudea. Pochi abitanti, senza dubbio, ma si poteva pur immaginare che la regione avrebbe rivestito una grossa importanza nel futuro, stanti le profezie che il Principe non poteva ignorare. «Ma si sa come vanno queste cose: avanzamenti di carriera, scatti di anzianità, assenza di meritocrazia; sono i burocrati che comandano, ovunque, e nemmeno Lui può farci nulla», avevano malignato i colleghi. Il puntiglioso e grigio funzionario era comunque riuscito, se non a far uccidere il Nemico in fasce, comunque a tirar su una strage niente male, e si diceva riuscisse ad indirizzare il già non poco violento governatore romano. Che, pure, si era dimostrato piuttosto restio a concludere questa condanna.

Il sovraintendente di Giudea camminava nervosamente per il corridoio, sbraitando nell’auricolare con qualcuno dei suoi sottoposti.

«Riunione con tutti i dirigenti all’ora sesta!» «E che m’importa se è festa?»

Quelli che erano venuti a cercarlo lo costrinsero a riattaccare e lo trascinarono sul palchetto, alla destra del Principe. Gli misero in mano un calice che il paggio riempì fino all’orlo ed iniziarono a reclamare un suo discorso. Dietro le spesse lenti Iaphet si guardava intorno, cercando di mettere a fuoco tutta la folla che lo acclamava. Non riusciva a farlo del tutto, ma pensò che fosse un bene; già ne vedeva troppa, e non era dell’umore giusto per i festeggiamenti. Abbozzò un sorriso imbarazzato, mentre il Principe, spazientito, ripeteva l’invito a dire due parole. Iaphet cercò di bisbigliare al suo indirizzo, senza che altri lo sentissero, «Veramente io dovrei andare…», ma quello odiava essere contraddetto. Gli sibilò secco di non rovinare la festa e di brindare. Guardandosi intorno ed incrociando sguardi sempre meno festosi e più ostili, Iaphet levò il calice,

«Viva la morte!»

E, mentre la sala tornava ad esplodere in urla di giubilo, si defilò da una porta di servizio.

«Mi si tiene sempre nascosto qualcosa», ruggiva nel telefono; «prima della riunione voglio vedere il movimento anime degli ultimi tre anni!»

Perché sì, aveva appena brindato all’inesorabile destino di ogni uomo – ed il Nemico aveva fatto un bell’errore di valutazione, ad assumerne la condizione – ma non se ne fidava fino in fondo. Quello era stato certamente in grado di guarire i malati e gli indemoniati – aveva fatto scalpore la storia di Legione e dei maiali – ma nessuno aveva mai approfondito il suo potere sulla vita e sulla morte. Forse, nessuno. Di sicuro, sulla sua scrivania non era mai arrivato nessun memorandum.

Sulla sua scrivania, nell’ufficio ordinato e freddo – ad immagine del proprietario – era già stato lasciato l’ingombrante faldone con i morti degli ultimi anni. Dovevano aver avuto problemi, con l’archivio, perché era sfasciato e le carte che non erano cadute a terra erano sparse per il tavolo. Contenendo uno sfogo d’ira, chiamò all’interfono la segretaria.

«Non ci siamo capiti. Voglio le anomalie degli ultimi tre anni. Che pretendete, che in mezz’ora faccia passare migliaia di pratiche?»

In pochi attimi, due commessi avevano portato via il faldone e lasciato una cartelletta. Le anomalie si contavano sulle dita di una mano. Gente che avrebbe dovuto morire e non s’è presentata all’appuntamento. Gente temporaneamente recuperata alla vita e che, dunque, faceva fallire il bilancio di previsione. Di queste anomalie, solo un paio erano attribuibili all’intervento del Nemico. In entrambi i casi, chi aveva compilato i rapporti non le aveva ritenute vere risurrezioni, ma piuttosto rianimazioni miracolose. In pratica, si era ritenuto non fossero morti il giovane di Nain e la ragazza di Cafarnao, anche se avrebbero dovuto. Forse non onestissimo, ma pulito.

Ma.

Iaphet riprese in mano tutte le pratiche anomale credendo di essersi sbagliato, o che fosse rimasto un foglio sul fondo della cartella. Niente. Tuonò all’interfono – mancava un quarto d’ora alla riunione «Il movimento delle ultime due settimane! Ordinato per luogo di morte, grazie»

Tre minuti, e sfogliava il registro scorrendo febbrilmente la lettera B. Come Betania.

Non c’era il nome Lazzaro. E avrebbe dovuto. Il Nemico aveva richiamato in vita anche lui, come la figlia di Giairo ed il figlio della vedova di Nain. Solo che non l’aveva fatto immediatamente dopo morto, ma dopo qualche giorno. Qualche giorno. Il tempo sufficiente perché si presentasse alle porte del Regno. Forse, il tempo sufficiente anche perché le varcasse. E dai registri risulterebbe non morto. Qualcuno ha falsificato i registri per avere meno grane. Non c’erano alternative.

Sarebbe stata una riunione faticosa.

Quando i dirigenti di tutti i settori del Dipartimento Giudea presero posto nella sala riunioni, trovarono al proprio posto una cartellina con i rapporti sulle due “rianimazioni” incriminate e uno stralcio del Movimento, relativo a Betania.

«Qualcuno di voi mi sa spiegare perché i figli di una vedova qualsiasi e di un notabile di paese sono più importanti di un amico di vecchia data del Nemico?»

«Perché abbiamo un rapporto su una rianimazione compiuta dopo pochi minuti dalla morte, e misteriosamente non v’è traccia di una risuscitazione compiuta a cadavere già in putrefazione?»

Tutti finsero di cadere dalle nuvole, o forse lo caddero davvero. Le risposte raccolte furono “se non v’è traccia non è successo”, “forse è cosa antica e si è perso il documento”, “forse è cosa troppo recente e non è stato ancora archiviato il rapporto”, “forse il rapporto è stato secretato”, e varianti.

A quest’ultima, in effetti, Iaphet non aveva pensato. Si perse un attimo nei propri pensieri, mentre i dirigenti iniziavano a rumoreggiare perché la festa si avvicinava al culmine e loro si trovavano costretti in riunione.

Un lontano boato aveva salutato l’oscuramento del sole su tutta la terra. Il Nemico è inchiodato in croce.

Uno dei dirigenti (sì, lo minacciava prima al telefono, l’avrebbe trasferito senz’altro l’indomani) si fece suonare il cercapersone per lasciare la riunione e tornare al banchetto. Inutile proseguire, ad ogni modo: nessuno sapeva niente, e c’era comunque bisogno di verificare se un eventuale rapporto su Lazzaro fosse stato secretato.

Lasciò tornare gli altri, e si mise al telefono cercando di contattare qualche dirigente del movimento anime, qualche capoturno ai cancelli del Regno, perfino un vicedirettore dell’Archivio Segreto. Tutti alla festa, nessuno in ufficio. Gli unici su cui poteva contare erano i suoi commessi e la sua segretaria: perché non avevano la possibilità di disobbedirgli, altrimenti era abbastanza ovvio sarebbero corsi anche loro a raggiungere la festa.

«Mi servono le anomalie per gli anni di Elia ed Eliseo», ordinò nell’interfono. C’era sempre il vizio di non guardare più in là del proprio ombelico, in quell’ambiente. Ma certamente, a saper rileggere negli archivi, qualcosa sarebbe saltato fuori. E si ricordava vagamente di questi portavoce del Nemico Sr., sui cui deliri aveva dovuto sudare al corso d’aggiornamento per chi si occupava della Giudea.

La segretaria fece capolino dalla porta, con aria imbarazzata «Scusi, Signore…»

«Già fatto? Una piacevole sorpresa, ogni tanto»

«Ci sarebbe il problema che gli archivi di quegli anni sono ancora solo in cartaceo…e capisce, siamo solo in tre oggi in ufficio, ci vorranno ore»

Iaphet si mise la testa fra le mani, per nascondere – almeno in parte – l’odio che gli era montato per i propri sottoposti.

«Va bene, violiamo il regolamento. Ma non me ne assumo io la responsabilità. Chiami il mio vice, immediatamente».

«Ma è alla festa!»

«Immaginavo, grazie. Immediatamente, ho detto».

Quell’immediatamente durò due ore. Al punto che Iaphet si era quasi risolto ad andare lui stesso in cerca di quell’Eliseo, che doveva trovarsi da qualche parte nel reparto degenza, ed interrogarlo; nonostante fosse completamente irrituale, sospetto e probabilmente anche vietato dai regolamenti.

Si sistemò sulla poltroncina con la camicia sporca di salsa ed ancora il bicchiere semivuoto in mano.

«Cosa c’è di così urgente, capo?»

«Di così urgente da richiedere la tua presenza dopo due ore, nulla. Di molto più urgente, devi trovarmi Eliseo figlio di Safàt e portarlo qui».

«Chiunque sia, dove dovrei trovarlo?»

«Tra i morti in quella che oggi è Samaria, tra i sette e i nove secoli fa… Ma almeno i degenti li abbiamo su supporto informatico, vero?». Iaphet urlò l’ultima frase all’indirizzo della segretaria, che non trovò migliore risposta di «Forse»

Alla fine arrivò una cartellina: Eliseo doveva essere un nome diffuso, fortunatamente Safàt molto meno. In duecento anni, ce n’erano una dozzina tra cui cercare quello che faceva il profeta.

«Ma sicuramente i responsabili di reparto te lo sapranno indicare», Iaphet rassicurò il suo vice.

Rimasto solo, tirò fuori da un mobiletto tenuto dietro la scrivania una bottiglia dell’unico liquore che circolava da quelle parti, piena per metà, e se ne versò un bicchiere abbondante.

Lo portò alla bocca mentre da lontano giungevano i boati della festa, ed un terremoto – non che fossero rari, lì sotto – faceva tremare i lampadari. Epicentro in Giudea, riportarono poi gli esperti.

Iaphet levò il calice, «Viva la morte».

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