giovedì 14 aprile 2011

Ad Inferos - In un prodigioso duello


Parte 2 del Racconto di Pasqua. Parte 1.
2. In un prodigioso duello

Il terremoto, al livello degli uffici del Direttorio Terra, e poi più in basso, fino al trono del Principe, era arrivato molto attutito; ma al livello della Degenza, in cui il vice di Iaphet era appena arrivato, fu tanto violento da causare diversi crolli, e frane tra un settore e l’altro. Certo, non era cosa rara – e, soprattutto, non era affatto sgradita: solitamente, dopo eventi del genere c’era sempre un picco degli arrivi, che per mantenere il livello di produttività richiesto dai piani alti (piani bassi, in realtà) era sempre il benvenuto.

La situazione, anche lì nel settore Giudea del reparto degenza, era dominata dall’euforia per la morte del Nemico; e, difatti, il problema per il vice non era tanto se quello che Iaphet gli aveva ordinato di fare fosse o meno permesso dai regolamenti, ma trovare qualcuno cui potersi rivolgere per trovare quell’Eliseo (che non è che gli ospiti andavano in giro con il cartellino di riconoscimento, e anche se l’avessero fatto erano comunque miriadi di miriadi). Addirittura i sorveglianti di turno stavano, nel loro casotto, brindando e bevendo, già ubriachi.

Visto il funzionario, con le insegne del suo ruolo che ne rimarcavano la superiorità rispetto agli addetti a quell’incarico di bassa levatura, solitamente lasciato agli apprendisti, insistettero anzi perché si unisse a loro, ché tanto “i morti non vanno da nessuna parte, e oggi nemmeno il capo più arcigno può negare ai suoi dipendenti il giusto svago”, ed il vice – che non aspettava altro, da quando era stato strappato dal party di gala e dalle proprie accompagnatrici – acconsentì di buon grado.

Mentre Iaphet beveva da solo, ed aspettava il suo ritorno allineando sulla scrivania tutti i casi di rianimazione: era riuscito a convincere i suoi commessi a darsi da fare, ed il lavoro procedeva alacremente.

Nella casetta delle guardie, mentre tutti bevevano e festeggiavano, iniziò a ronzare un cicalino. Sulle prime non se ne accorse nessuno, ma presto i cicalini divennero due, e tre, e dieci, mentre una spia si accendeva ad intermittenza e le sirene risuonavano tra le volte delle aule antiche. Il primo ad accorgersene, a deporre il calice ed a cercare di riscuotere chi di dovere fu il vice di Iaphet.

«È l’allarme evasione! Datevi una mossa!»

Le guardie del reparto erano tutte rallentate ed appesantite dai bagordi; ci volle del tempo perché fosse fatto il contrappello, e ci si rendesse conto che si era dileguata una trentina di ospiti, alcuni dei quali – tra l’altro – già trattenuti per secoli.

«Forse il terremoto ha aperto un varco, e si sono infilati da là»

«Sia quello che sia, signori demoni di seconda classe, vanno ripresi prima possibile. Appartengono a noi!»

Una squadra di recupero fu sguinzagliata sulle loro tracce, mentre una segnalazione – concomitante – giungeva sulla scrivania di Iaphet. Eventi occorsi in seguito alla morte del Nemico, il titolo del memorandum di un paio di pagine. Il compilatore, anonimo come da regolamento, descrive il sole che si oscura su tutta la terra (che a rigore è avvenuto prima, e non in seguito, ma evidentemente il titolo del rapporto gliel’ha dettato qualcun altro), il terremoto, poi una cosa molto pittoresca come il velo del tempio di Gerusalemme squarciato nel mezzo, che per come la vedeva Iaphet poteva essere una conseguenza pura e semplice del sisma abbattutosi sulla città, e poi della resurrezione di molti corpi dei santi. Passato di sfuggita il punto, la nota si metteva a disquisire la sorte di Giuda, come se ci potesse essere una disputa su quale fosse il suo posto. Ma Iaphet non arrivò neanche a leggere il paragrafo, perché si era inchiodato sulla riga della resurrezione.

«Passatemi immediatamente il reparto degenza, settore Giudea!», ordinò al centralino.

«Non è possibile, Eccellenza. Il settore è isolato, è scattato l’allarme»

«Passatemi subito chi comanda, non costringetemi a raggiungerlo di persona!»

«Non vogliamo costringerla a farlo, anche perché l’intero settore è stato chiuso e non potrebbe entrare comunque»

«Ma avete capito con chi state parlando?»

«Certo, Eccellenza. Ma ora il comando è stato assunto dalle Forze Speciali, lei non può fare niente»

Iaphet scagliò il telefono contro il muro, frustrato per la situazione. Intanto, dal rumore che ancora si sentiva provenire dai piani inferiori, la festa proseguiva come se nulla fosse. Beh, perlomeno adesso non era l’unico a doversi preoccupare di qualcosa.

La suoneria del cellulare attirò la sua attenzione. La voce, lontana e disturbata, era quella del suo vice.

«Scusa, ma non riesco a chiamare al numero dell’ufficio»

«Sì, forse c’è un guasto. Che succede lì sopra?»

«Ah, hai saputo? Abbiamo avuto un’evasione di massa, ma le Forze Speciali stanno riacciuffando i fuggitivi uno ad uno. Non erano andati molto lontani – figurati, alcuni erano morti da secoli, probabilmente si trovano meglio da noi che all’aperto – e non oppongono resistenza. Però non ho trovato il tuo Eliseo, non vorrei fosse tra loro – un paio di secoli in isolamento non glieli toglie nessuno, come immagini, e non sarà facile interrogarlo, e men che meno portarlo giù in ufficio»

«No, ascolta, ho cambiato idea. È inutile tornare a tirar fuori una storia vecchia di secoli, e per di più dubbia, quando abbiamo in mano questa evasione di massa. Sono tornati vivi, ed erano morti da secoli – alcuni, almeno, come mi hai detto. È su questo che bisogna lavorare»

«Capisco; o meglio, continuo a non capire, ma quello che dici ha un senso. Il problema è che qui sopra nessuno sa come abbiano fatto a scappare, ci sono solo un paio di ipotesi strampalate. Un’evasione di massa, poi…»

«Lo so, lo so. Lo immagino. Appunto per questo bisogna parlare con qualcuno di importante. Lo chiederei alla segretaria, ma ho paura che le attacchi il telefono in faccia. Mi serve un appuntamento con la Morte».

«Potrebbero volerci giorni, capo»

«Cerca di convincerla che è urgente. Cita l’evasione di oggi. Cita Elia, che non è riuscita a prendere e magari le rode ancora. E poi di’ che c’entra il Nemico»

«Il Nemico? Non stai esagerando? In fondo, non lo sappiamo»

«Dille che forse c’entra il Nemico, ma “forse” dillo a bassa voce, se ti fa star meglio. Ma le voglio parlare entro stasera. E torna in ufficio, che lì non servi a niente»

«Se mi fanno uscire. Hanno isolato il settore, te l’ho già detto? E, sappilo, mi hai rovinato la festa»

«Aspetterei di vedere il Nemico tra noi, prima di cantar vittoria».

«Sempre il solito menagramo».

Non era passata un’ora – e non aveva avuto più notizie del suo vice – quando la segretaria gli passò una chiamata, farfugliando qualcosa a proposito di chi era in linea; qualcosa che Iaphet non riuscì a cogliere. Fu, dunque, una sorpresa, quando alla cornetta udì la voce che era più facile aver sentito su qualche nastro che dal vivo; una voce inconfondibile, contralto e baritono al tempo stesso.

«Sono io, la Morte».

«Dite, Signora».

«Venga subito; le devo spiegazioni».

«Veramente, Signora, io non oserei mai chiedervi conto di alcunché»

«Non metto in dubbio la sua devozione. Così come non metto in dubbio che lei sarà da me quanto prima».

Era dunque la Primogenita dell’Inferno, dalle sue aule tenebrose. La Vittrice, colei nel nome della quale tutti, quel giorno, libavano; nel nome della quale aveva brindato anch’egli, in pubblico e in privato; che ora lo convocava, quando Iaphet avrebbe voluto domandarle udienza.

E così Iaphet scese nelle aule della Morte, al suo cospetto. Tanto magra da sembrare trasparente, ma all’apparenza giovane e bella; i lunghi capelli, bianchi e leggeri, che sembravano diffondersi in tutta l’aula e si muovevano ad ogni alito o movimento –si diceva tenessero avvinti i morti nell’Inferno; un velo ad adombrarne il volto, della stessa sostanza impalpabile e trasparente.

«Immagino di dovermi scusare con lei, Iaphet».

«Non pensatelo nemmeno, Signora; non sono nulla al vostro cospetto».

«È il soprintendente di Giudea. Ed è particolarmente importante la Giudea, in questi giorni», rispose la Morte mentre un mulinello ne attorcigliava alcune ciocche di capelli, in lontananza.

«Avete rimesso le cose a posto, in Giudea. Anche il Nemico, Signora, è in vostro potere. Nulla sfugge al Vostro potere».

«Il Nemico, come l’ha chiamato, mi ha impegnato molto. Troppo. È per questo che, mentre combattevamo – perché non come gli altri, che chinano il capo e mi seguono, è questo nostro Nemico – ed io usai tutte le mie forze per avvincerlo tra le mie spire, beh… non ebbi la forza di trattenere tutti coloro che già riposano da noi, e molti mi scapparono – proprio mentre facevo il mio più importante Prigioniero»; la Morte parlava sempre con la sua voce enigmatica e pulita, ma essa si affievoliva parola dopo parola. «Scusi, sono molto stanca».

«Dunque, Signora, sapete dell’evasione»

«E come potrei ignorarlo? Conto tutti quelli che avvolgo nelle mie spire, e non ce n’è uno che mi sia ignoto»

«E dunque, se posso permettermi – avrei voluto incontrarvi per parlarvene, comunque – se altri, in teoria, fossero mai stati strappati da Voi, voi lo sapreste»

«Ne porterei le ferite, come se avessi carne e mi fosse strappata; finché non tornino – e tutti tornano»

«Dunque, Signora, è capitato talvolta»

«Raramente»

«Lazzaro di Betania?»

«Non è ancora tornato»

«Dunque è vero, era morto ed è tornato in vita»

«Era morto e mi è stato strappato. Ma ho vinto, come mi diceva poco fa; ed è morto il Nemico, colui che riusciva a contrastarmi. Di propria iniziativa, nessuno mai è riuscito né riuscirà a fuggire».

«Dunque, è finita?»

«Dunque, anche lei – come gli altri – dovrebbe festeggiare, e torni al banchetto»

«Quando il Nemico sarà tra noi?»

«È per strada, arriverà a ore».

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