Premessa: venerdì, durante il week-end di formazione dei GD di Bergamo, ho preparato un gioco di ruolo (che è stato partecipato con, mi sembra, un certo entusiasmo) il cui scopo era formare un governo ed ottenere la fiducia dal Parlamento, secondo la prassi e con i protagonisti della Prima Repubblica (nel senso che ciascuno dei partecipanti doveva identificarsi con un partito e (eventualmente) una corrente. Riporto com'è andata, sostituendo ai nomi dei concorrenti i nomi "veri". Sembra divertente.
Le elezioni del 25 giugno 2010 riservano diverse sorprese al mondo politico italiano, ma quella che non sembra poter essere messa in discussione è la nettezza dei risultati: infatti, la Democrazia Cristiana è il primo partito con il 52,6% dei consensi, il che le fornisce i numeri sufficienti per non dover cercare alleati, cosa mai successa nella storia repubblicana. Secondo partito è, a sorpresa, il Movimento Sociale Italiano che ottiene il 16% dei voti validi. Segue il Partito Socialista Italiano (14,3%) che supera il Partito Comunista Italiano fermo al 13,8%. Ai partiti minori restano le briciole: l'1,8% per Democrazia Proletaria e l'1,4% per il Partito Liberale Italiano.
La nettezza dei risultati dei partiti nasconde però un grosso problema per il partito di maggioranza, che si trova fortemente polarizzato tra l'ala conservatrice degli andreottiani (32% del Consiglio Nazionale) e quella della sinistra sociale (Forze Nuove ha la maggioranza relativa con il 32,6% del Consiglio Nazionale). Il centro doroteo si ferma al 19,5%, la sinistra de La Base al 14% mentre i morotei raccolgono le briciole. Negli altri partiti, si osserva per la prima volta la corrente lombardiana, di sinistra, giungere alla guida del Partito Socialista superando l'ala craxiana, mentre il Partito Comunista è in mano ai miglioristi di Amendola (ed è di fatto irrilevante la sinistra di Ingrao e Cossutta).
Che formare un governo, a dispetto dei numeri, non sarà semplice emerge dal Congresso della Democrazia Cristiana, in cui viene eletto come segretario di compromesso Aldo Moro, privo di una maggioranza, mentre il partito passa momenti di fortissima tensione per le pressanti richieste di Carlo Donat-Cattin di inserire nel programma di governo il matrimonio per gli omosessuali: proposta questa, irricevibile per Andreotti e Forlani, e che lascia molto freddi anche gli altri leader. Il congresso DC si chiude con un fragile accordo per il riconoscimento di diritti e doveri alle coppie conviventi.
Nel frattempo, iniziano le consultazioni per la nomina del nuovo governo. I partiti minori, demoproletario e liberale, si dichiarano fuori dai giochi ed indisponibili a sostenere qualsiasi maggioranza; mentre il PCI, il PSI ed l'MSI si sono accordati per la formazione di un governo che conterebbe sull'appoggio determinante dei voti portati in dote da Carlo Donat-Cattin (che in Parlamento conta su più voti di ciascuno dei partiti dell'eventuale coalizione), pronto a spaccare la Democrazia Cristiana perché ostile all'idea di autosufficienza che ha caratterizzato la stagione congressuale. Il programma che una così composita maggioranza di governo promuove prevede la nazionalizzazione delle attività produttive, l'aumento della pressione fiscale sulle rendite ed i ceti improduttivi e la contestuale diminuzione per le fasce deboli, l'estensione del matrimonio per le coppie omosessuali, un convinto europeismo. Più problematica la posizione sull'energia nucleare, visto che si fronteggiano i socialisti decisamente favorevoli e comunisti e neofascisti contrari. La Democrazia Cristiana offre, invano, la Presidenza del Consiglio al Partito Socialista, dopo il fallimento dei tentativi di Forlani di stringere un accordo con l'MSI, rendere non più necessari i voti dei deputati fedeli a Donat-Cattin e garantire per l'Italia un governo di centro-destra.
Il Presidente della Repubblica affida, così, l'incarico di formare il governo ad Enrico Berlinguer, esponente del Partito Comunista Italiano. Il governo che si presenta al parlamento per ottenere la fiducia vede, inoltre, i socialisti Lombardi agli Interni e Craxi agli esteri ed Almirante, del Movimento Sociale, all'Economia. L'accordo tra i partiti della maggioranza prevede, inoltre, l'elezione alla presidenza della Camera del comunista Amendola. A sorpresa, però, sfruttando l'istituto del voto segreto, Benigno Zaccagnini, de La Base (ok, licenza poetica), riesce a convincere l'intero gruppo democristiano a portare presidenza della Camera il collega di corrente Ciriaco De Mita, al tempo stesso come garante dell'opposizione e risarcimento per la spaccatura del partito causata da Donat-Cattin.
A questo punto il Partito Comunista, ritenendosi sottorappresentato, invoca la sospensione della seduta del Parlamento e la ridefinizione dell'accordo tra i partiti della maggioranza. Il PCI chiede al PSI di rinunciare ad uno dei due ministeri per permettere la nomina di un ministro comunista, ma a questo punto il PSI, pesantemente corteggiato dalla Democrazia Cristiana, lascia il tavolo. Il governo Berlinguer, oltre ai voti favorevoli del Movimento Sociale, del Partito Comunista e di Forze Nuove, la corrente ormai ex-DC di Carlo Donat-Cattin, riesce ad ottenere l'appoggio esterno di Democrazia Proletaria, ma l'abbandono del PSI gli impedisce di riscuotere la fiducia. Riprendono così le febbrili trattative tra i partiti e le consultazioni al Quirinale. PCI, MSI, DP e Forze Nuove tornano a proporre Enrico Berlinguer, mentre la Democrazia Cristiana torna ad offrire la Presidenza del Consiglio al PSI, nella persona di Bettino Craxi. Il Partito Socialista, subendo gli insulti degli ex-alleati, acconsente in cambio di un ulteriore ministero di peso, gli Interni, che sarà destinato a Lombardi. La coalizione DC (priva di Forze Nuove)-PSI non ha, comunque, i numeri necessari a governare: interviene in suo soccorso il Partito Liberale, che con i suoi dieci parlamentari permette a Craxi di ottenere la fiducia, in cambio del ministero dell'Economia che viene affidato alle liberistiche cure di Renato Altissimo.
La Camera concede la fiducia ed il cosiddetto "Gruppo Democratico" (formato, invero, da partiti con differentissimi concetti della democrazia) che doveva riunire PCI, PSI, Forze Nuove e MSI rimane lettera morta. Come al solito, Democrazia Cristiana al governo: emblematica della situazione politica la fotografia che ritrae Giulio Andreotti sorridere sornione alle spalle di Craxi. Per quale motivo, si dirà, se sembra proprio essere dover l'unico insoddisfatto della soluzione, dato che la sua corrente, pur essendo ormai maggioritaria, non ha ottenuto nemmeno un posto (ministero ai dorotei, presidenza della Camera alla Base, segreteria ai morotei)? Ha finalmente avuto tutte le necessarie assicurazioni circa la propria scalata alla Presidenza della Repubblica, allo scadere del settennato dell'attuale Presidente.
Ok, ci vuole una canzone