mercoledì 24 novembre 2010

Ein volk

Per il Corriere è un sincero democratico

Mah. L'altro ieri, dopo trenta secondi di Parlamento Europeo, già era insopportabile. Questo, prima degli aneddoti. Dopo, era peggio. Il servizio di Corriere.tv si chiede come mai il poveretto venga spesso associato al nazismo o al fascismo. Sarà il fervore degli interventi (da leggersi: essere sempre incazzoso), il fatto che per i non germanofili un tizio che sbraita in tedesco è un topos, che essere d'accordo con lui è difficile se non si vive nella repubblica di Weimar sotto le minacce dei frei korps. Sarà che tutti lo odiano perché sono cattivi.

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sabato 18 settembre 2010

Con metodo democratico

Dalle colonne dei quotidiani nazionali abbiamo letto insigni opinionisti tuonare, a suo tempo, contro il modus operandi leninista con cui la maggioranza del PDL ha, di fatto, espulso Fini e le sue posizioni (per la formalizzazione c'è ancora da aspettare qualche settimana).

Oggi leggo che, nella migliore delle ipotesi, Veltroni e i critici del PD avrebbero fatto meglio a lavare i panni sporchi in casa, e mi puzza di leninismo anche questo; almeno quanto "profuma" (o puzza, a seconda dei gusti) di DC il documento con firme annesse, per far cadere nel dibattito interno una posizione dotata di una certa forza (facciamo un quarto dei parlamentari, ma un po' di firme che mancano mi lasciano perplesso. Ad es. Merlo, non me ne voglia, stando a quanto scrive oggi su Europa e, soprattutto, ad uno scambio di idee avuto qualche mese fa).
Solo che c'è una maggioranza PD che l'unico scambio di idee ammesso era all'interno del Comitato Centrale, rigorosamente sotto segreto.

Tirando le somme ed al netto del clamore mediatico, si tratta solo di una posizione politica, che adesso si sa non essere marginale ma significativa, soprattutto tra gli ex (ex?) popolari. Se non ci fossero tanti personaggi pavidi o troppo curiali, sarebbero anche di più le firme ("condivido il contenuto ma non i tempi ed i modi dell'iniziativa"), perché credo - e spero per il PD - che la condivisione delle posizioni espresse nel documento (rimando a leggerlo sul post) sia più ampia di quella dei firmatari. Poi si possono aggiungere tante cose: la mania di protagonismo di uno che non ha avuto il coraggio di rimanere segretario quando era controcorrente, il fatto che tatticamente si possono avere valutazioni diverse sul fatto che fosse o meno il momento di uscire con una posizione del genere (secondo me sì, ma otèr), e che Bersani comunque è un bravo segretario (diciamo che lo penso a giorni alterni, e sottolineo il comunque)...ma questo non dovrebbe diventare un giudizio di valore sul contenuto del documento.

Sarebbe come se avessi detestato il documento dei cd. giovani turchi (che precede quello di Veltroni/Fioroni/Gentiloni, e che quindi è stato lui a dar fuoco alle polveri) perché l'hanno scritto dei giovani dalemini, e non perché il famoso discorso di Krushev al congresso del PCUS fosse più moderno...

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venerdì 17 settembre 2010

Tre parole (definitive) su Adro

Partito: da parte, fazione.


Pubblico: da populicus, che appartiene a tutto il popolo, quindi: comune a tutti


Ci sono solo due tipi di stato in cui un partito si identifica non già con il governo, ma con il popolo e lo stato stesso: così, per dare un colpo al cerchio e un altro alla botte, sono chiaramente i regimi totalitari di tipo fascista ed i regimi del socialismo reale: stati a partito unico. Riempire di simboli di partito edifici, piazze, strade, scuole è stato normale, in questi paesi e a suo tempo. Anche perché in quel momento fasci littori, croci uncinate, falcimartelli e stelle erano simbolo non più e non solo di un partito, ma dello Stato (che ha tutto il diritto di "marchiarsi" in giro).

Ora, quando io andavo al Liceo c'era ancora questa ossessione per i comunisti infiltrati nella scuola pubblica che adesso mi sembra un po' svanita, più che altro perché, agli adolescenti, della politica a scuola non gliene può fregar di meno. Ossessione esagerata ed irrazionale, come tutte le ossessioni, ma non campata per aria. Illis temporibus, comunque, c'erano le mille galassie tra l'anarchico ed il marxista-leninista che volevano portare la politica (ma sarebbe stato meglio dire: l'ideologia) in classe, e fare dibattiti, e discutere, e fare cose, e invitare ggente, ed un gruppo numericamente molto più sparuto, ma elettoralmente assai forte (del resto, se volevi votare qualcosa di meno a sinistra di Togliatti non avevi scelta) di ragazzi legati ad AN che, invece, facevano loro cavallo di battaglia "fuori la politica dalla scuola"; che poi era un concetto espresso male, perché in concreto la roba era "divieto di volantinare e di affiggere manifesti all'interno della scuola", che in realtà era già previsto nel regolamento.

Tutto questo per dire tre cose:

  1. Domani ad Adro, alla manifestazione contro l'idea balzana, e senza messi termini illegale, di riempire una scuola con i simboli del partito di maggioranza relativa (perché poi, ad Adro, la Lega è sì forte, ma comunque solo al 45%, con il PDL al 30), mi sembra sia sacrosanto andarci, indipendentemente dal partito di appartenenza (a meno che si sia della Lega: per carità di patria, dico, perché la legge e la logica, in realtà, varrebbero anche per loro), ed anzi e meglio senza bandiere di partito. Ma vaglielo a spiegare ai GD lombardi che si divertiranno a sventolare anche («per far più rabbia ai leghisti!») le inguardabili bandiere della pace.
  2. Questa è la settimana del ministro timido: oltre che con la Libia, anche con la Lega. Perché, se a caldo il ministro della P.I. aveva condannato la decisione del sindaco di Adro, quando gli è stato fatto notare che era della sua maggioranza si è rimangiata tutto, facendo sfoggio di benaltrismo e citando (mai visti, ma questo va da sé: il sonno della ragione genera mostri) simboli comunisti che avrebbero, nei decenni di egemonia democristiana, riempito le scuole di ogni ordine e grado. Altro discorso (che non c'entra con quello in oggetto, ma tirato in ballo da diversi leghisti per alzare il polverone) il fatto che ci siano stati molti insegnanti di sinistra; che, tra l'altro, mi sembra siano riusciti a formare una società perfettamente anticomunista, bravi!(sinceramente: ci vorrebbe tanto una classe docente alla Stracquadanio...)
  3. E, tutto sommato, questi sono i sintomi che la Lega non si è ancora riuscita ad inserire seriamente nel sistema democratico. Ora, visto che quello che la "tiene dentro" è in pessime acque, potrà agitar trasferimenti dei ministeri ma, sarà pure al culmine del successo, io la parabola la vedo già discendente. Sopravviverò (sopravviveremo) a lei ed a Silvio.

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mercoledì 8 settembre 2010

Per un bene più grande

Qualcuno dovrebbe spiegare a questi signori che sono la più solida delle stampelle dell'ormai traballante Silvio. In realtà, sono moltissimi i commentatori che l'hanno fatto e continuano a farlo, parlando ad una platea di sordi e scrivendo per venticinque lettori ciechi.

Poi mi viene in mente che, probabilmente, il punto non è questo. I signori hanno bisogno di stare bene (niente di più importante del benessere psicofisico, lo dice anche il TG1), e per farlo devono sentirsi i migliori, piccoli antistorici emuli del Migliore; e, pur di stare bene, in pace con sé stessi ed i propri simili, in fondo vale la pena di perdere tutte le elezioni da qui a vent'anni. Tanto è da qui a settant'anni fa che lo fanno...

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martedì 17 agosto 2010

Informazione sulla Brigata "8 aprile"

La Brigata "8 aprile" è un'unità interforze delle FF.AA. costituita con lo scopo di condurre la delicata operazione "Figlia del Reggimento". La costituzione della detta brigata è stata confermata da decreto del Ministero della Guerra in data 15 giugno. La Brigata è costituita da un reggimento dell'esercito (arma di fanteria) precedentemente in servizio territoriale nella Regione Militare Bergamo Città e da un battaglione Speciale, incaricato delle azioni non convenzionali, per l'occasione distaccato dal Corpo d'Armata Speciale "Mediolanense". Il servizio informazioni della Brigata è garantito da una squadra di uomini del servizio segreto delle Forze Speciali, noto come Abwehr. Il comando della brigata è stato assegnato ad un generale già in servizio presso lo Stato Maggiore Generale. Il Parlamento ed il Capo dello Stato hanno autorizzato l'operazione per quattro mesi. Tutto il materiale eventualmente raccolto nell'operazione verrà secretato e conferito nel Dossier Pace presso i servizi segreti civili (noti con l'acronimo Serse).

Uno sfogo terapeutico, e quasi un indovinello

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martedì 20 luglio 2010

Genova. 2001.

Leonardo, di cui ho molta stima, oggi scrive di Genova, Giuliani (è anche argomento di attualità politica, grazie a quel mostro di tafazzismo di sinistra di Vendola con la sua ultima uscita), ricordando la registrazione di una conversazione tra carabinieri dopo l'uccisione del nostro facinoroso martire.

Anch'io conservo, a distanza di nove anni, un SMS che un mio compagno di scuola - allora si era assai politicamente scorretti - mi inviò allora, raccontandomi di aver visto in città una nostra compagna di scuola, che poco ci stava in simpatia e che tra i black block si sarebbe trovata bene: "Ieri in centro ho visto la ***. Speravo fosse a Genova così magari la uccidevano". Eccessivo. Scorretto. Crudele. Risi un sacco. E ce l'ho ancora, tre telefonini dopo.

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domenica 27 giugno 2010

Prima Repubblica

Premessa: venerdì, durante il week-end di formazione dei GD di Bergamo, ho preparato un gioco di ruolo (che è stato partecipato con, mi sembra, un certo entusiasmo) il cui scopo era formare un governo ed ottenere la fiducia dal Parlamento, secondo la prassi e con i protagonisti della Prima Repubblica (nel senso che ciascuno dei partecipanti doveva identificarsi con un partito e (eventualmente) una corrente. Riporto com'è andata, sostituendo ai nomi dei concorrenti i nomi "veri". Sembra divertente.

Le elezioni del 25 giugno 2010 riservano diverse sorprese al mondo politico italiano, ma quella che non sembra poter essere messa in discussione è la nettezza dei risultati: infatti, la Democrazia Cristiana è il primo partito con il 52,6% dei consensi, il che le fornisce i numeri sufficienti per non dover cercare alleati, cosa mai successa nella storia repubblicana. Secondo partito è, a sorpresa, il Movimento Sociale Italiano che ottiene il 16% dei voti validi. Segue il Partito Socialista Italiano (14,3%) che supera il Partito Comunista Italiano fermo al 13,8%. Ai partiti minori restano le briciole: l'1,8% per Democrazia Proletaria e l'1,4% per il Partito Liberale Italiano.

La nettezza dei risultati dei partiti nasconde però un grosso problema per il partito di maggioranza, che si trova fortemente polarizzato tra l'ala conservatrice degli andreottiani (32% del Consiglio Nazionale) e quella della sinistra sociale (Forze Nuove ha la maggioranza relativa con il 32,6% del Consiglio Nazionale). Il centro doroteo si ferma al 19,5%, la sinistra de La Base al 14% mentre i morotei raccolgono le briciole. Negli altri partiti, si osserva per la prima volta la corrente lombardiana, di sinistra, giungere alla guida del Partito Socialista superando l'ala craxiana, mentre il Partito Comunista è in mano ai miglioristi di Amendola (ed è di fatto irrilevante la sinistra di Ingrao e Cossutta).

Che formare un governo, a dispetto dei numeri, non sarà semplice emerge dal Congresso della Democrazia Cristiana, in cui viene eletto come segretario di compromesso Aldo Moro, privo di una maggioranza, mentre il partito passa momenti di fortissima tensione per le pressanti richieste di Carlo Donat-Cattin di inserire nel programma di governo il matrimonio per gli omosessuali: proposta questa, irricevibile per Andreotti e Forlani, e che lascia molto freddi anche gli altri leader. Il congresso DC si chiude con un fragile accordo per il riconoscimento di diritti e doveri alle coppie conviventi.

Nel frattempo, iniziano le consultazioni per la nomina del nuovo governo. I partiti minori, demoproletario e liberale, si dichiarano fuori dai giochi ed indisponibili a sostenere qualsiasi maggioranza; mentre il PCI, il PSI ed l'MSI si sono accordati per la formazione di un governo che conterebbe sull'appoggio determinante dei voti portati in dote da Carlo Donat-Cattin (che in Parlamento conta su più voti di ciascuno dei partiti dell'eventuale coalizione), pronto a spaccare la Democrazia Cristiana perché ostile all'idea di autosufficienza che ha caratterizzato la stagione congressuale. Il programma che una così composita maggioranza di governo promuove prevede la nazionalizzazione delle attività produttive, l'aumento della pressione fiscale sulle rendite ed i ceti improduttivi e la contestuale diminuzione per le fasce deboli, l'estensione del matrimonio per le coppie omosessuali, un convinto europeismo. Più problematica la posizione sull'energia nucleare, visto che si fronteggiano i socialisti decisamente favorevoli e comunisti e neofascisti contrari. La Democrazia Cristiana offre, invano, la Presidenza del Consiglio al Partito Socialista, dopo il fallimento dei tentativi di Forlani di stringere un accordo con l'MSI, rendere non più necessari i voti dei deputati fedeli a Donat-Cattin e garantire per l'Italia un governo di centro-destra.

Il Presidente della Repubblica affida, così, l'incarico di formare il governo ad Enrico Berlinguer, esponente del Partito Comunista Italiano. Il governo che si presenta al parlamento per ottenere la fiducia vede, inoltre, i socialisti Lombardi agli Interni e Craxi agli esteri ed Almirante, del Movimento Sociale, all'Economia. L'accordo tra i partiti della maggioranza prevede, inoltre, l'elezione alla presidenza della Camera del comunista Amendola. A sorpresa, però, sfruttando l'istituto del voto segreto, Benigno Zaccagnini, de La Base (ok, licenza poetica), riesce a convincere l'intero gruppo democristiano a portare presidenza della Camera il collega di corrente Ciriaco De Mita, al tempo stesso come garante dell'opposizione e risarcimento per la spaccatura del partito causata da Donat-Cattin.

A questo punto il Partito Comunista, ritenendosi sottorappresentato, invoca la sospensione della seduta del Parlamento e la ridefinizione dell'accordo tra i partiti della maggioranza. Il PCI chiede al PSI di rinunciare ad uno dei due ministeri per permettere la nomina di un ministro comunista, ma a questo punto il PSI, pesantemente corteggiato dalla Democrazia Cristiana, lascia il tavolo. Il governo Berlinguer, oltre ai voti favorevoli del Movimento Sociale, del Partito Comunista e di Forze Nuove, la corrente ormai ex-DC di Carlo Donat-Cattin, riesce ad ottenere l'appoggio esterno di Democrazia Proletaria, ma l'abbandono del PSI gli impedisce di riscuotere la fiducia. Riprendono così le febbrili trattative tra i partiti e le consultazioni al Quirinale. PCI, MSI, DP e Forze Nuove tornano a proporre Enrico Berlinguer, mentre la Democrazia Cristiana torna ad offrire la Presidenza del Consiglio al PSI, nella persona di Bettino Craxi. Il Partito Socialista, subendo gli insulti degli ex-alleati, acconsente in cambio di un ulteriore ministero di peso, gli Interni, che sarà destinato a Lombardi. La coalizione DC (priva di Forze Nuove)-PSI non ha, comunque, i numeri necessari a governare: interviene in suo soccorso il Partito Liberale, che con i suoi dieci parlamentari permette a Craxi di ottenere la fiducia, in cambio del ministero dell'Economia che viene affidato alle liberistiche cure di Renato Altissimo.

La Camera concede la fiducia ed il cosiddetto "Gruppo Democratico" (formato, invero, da partiti con differentissimi concetti della democrazia) che doveva riunire PCI, PSI, Forze Nuove e MSI rimane lettera morta. Come al solito, Democrazia Cristiana al governo: emblematica della situazione politica la fotografia che ritrae Giulio Andreotti sorridere sornione alle spalle di Craxi. Per quale motivo, si dirà, se sembra proprio essere dover l'unico insoddisfatto della soluzione, dato che la sua corrente, pur essendo ormai maggioritaria, non ha ottenuto nemmeno un posto (ministero ai dorotei, presidenza della Camera alla Base, segreteria ai morotei)? Ha finalmente avuto tutte le necessarie assicurazioni circa la propria scalata alla Presidenza della Repubblica, allo scadere del settennato dell'attuale Presidente.

Ok, ci vuole una canzone

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lunedì 31 maggio 2010

A disposizione - dal romanzo di Lui


Dopo essere rimasto a lungo in dubbio circa l'opportunità di pubblicare un capitolo che fa tanta (troppa) chiarezza sul contenuto di Lui, mi sono risposto affermativamente. Vedremo.


Non era convinto della politica di Sua Eccellenza il Ministro della Guerra. Non era convinto della politica, per essere più precisi. Se, da una parte, l'arruffapopoli romagnolo gli era sembrato scaltro ed attento, dall'altra i pochi contatti con le squadre che aveva avuto l'avevano confermato nella sua idea che non ci fosse differenza tra quanti aderivano alle organizzazioni eversive o alle cosiddette organizzazioni patriottiche. Questo, nonostante una circolare del ministero della Guerra avesse precluso ai militari le prime (e ci sarebbe mancato altro) ma non le seconde.

Pertanto, assolutamente inutile era l'autorizzazione appena richiesta. Ai Fasci avevano aderito molti militari per ragioni politiche, e quanti ne bastavano per ragioni di...sicurezza. Una sola parola, e non ci sarebbe stata federazione provinciale senza due occhi pronti a telegrafare a Roma.

Percorse le poche centinaia di metri che separavano il ministero dal comando, si presentò dal "suo" generale all'ora della colazione, che venne loro servita direttamente nello studio.

«Vede, signore...i politici hanno deciso di giocare tutte le carte in loro possesso per condurre il fascismo dalla parte dello Stato; d'altra parte, specie nella periferia, è lo Stato che sembra passare dalla parte dei fascisti. Prefetti, sottoprefetti, questori...ufficiali della Guardia Regia decenti ce n'è pochi, e la truppa si sa com'è. Inoltre, al mio ufficio sono stati segnalati alcuni episodi che vedevano coinvolti anche isolati uomini dei Carabinieri. »

Il generale Badoglio aveva abbandonato da poco l'incarico di Capo di Stato Maggiore, e da qualche settimana inanellava una missione all'estero dietro l'altra. I "politici" volevano da tempo riprendere il controllo dell'esercito, ma i primi dei suoi nemici erano i colleghi; ora sedeva insieme a loro nel Consiglio dell'Esercito, sotto il Presidente del Consiglio e l'indiscutibile Diaz.

«Colonnello, mi duole dirlo ma non possiamo aspettarci nulla di diverso, da questa situazione. Non nascondo si tratti di guerra civile. Gli italiani sono già armati gli uni contro gli altri, e le violenze e le uccisioni sono all'ordine del giorno; non ci resta che fare la nostra parte. La parte dello Stato, secondo la volontà di Sua Maestà il Re»

«Lo spazio di manovra che ci è concesso è sempre più ridotto. Come le scrissi ieri da Milano, il governo è disposto a pagare per addomesticare i fascisti»

«È una vergogna, ed i fascisti sono dei criminali. Tra l'altro, raccogliticci ed incapaci. »

«D'altro canto, bisogna riconoscere che l'opinione pubblica solidarizza più facilmente con loro che con i socialisti. Negli ultimi due anni i sovversivi sono stati molto rumorosi. Non è molto chiaro ai cittadini se il loro - relativo - chetarsi sia dovuto a ragioni interne o alla pressione degli avversari. La maggioranza è portata a credere che sia un merito, benché ottenuto con metodi non ortodossi, dei fascisti»

«Lo pensano anche molti nel governo. Giolitti è convinto, al contrario, che sia un declino naturale; e che lo stesso naturale declino investirà anche nazionalisti e camicie nere; e, conseguentemente, non ha intenzione di fare nulla. Ma per fare nulla ci sono i politici, noi dobbiamo fare qualcosa»

«Infatti, signore, infatti. Se posso permettermi di esprimere un'opinione, io mi concentrerei su due faccende: il rapporto che Mussolini ha con gli inglesi - che non è poco - e quello tra Mussolini ed i suoi scherani. C'è parecchia differenza tra lui ed i cosiddetti ras padani o toscani. Se necessario, li metteremo l'uno contro gli altri»

«Sta bene. Tra due giorni parto per la Romania - faccia lei, carta bianca. Come sempre. »

Lui si alzò facendo il saluto, e si congedò dal suo superiore. Due strette rampe di scale dopo si trovava nelle stanze del servizio I, piombato tra capo e collo del maresciallo di piantone, che aspettava il suo comandante per un orario più urbano; dopo l'orario del pranzo, per dire.

Si infilò senza dire una parola nel suo ufficio. Ci rimase per una mezz'ora abbondante, riordinando carte e rovistando tra gli schedari; diede una voce al tenente portadispacci - che era rientrato dal pranzo - e gli consegnò un biglietto in busta chiusa, senza l'indirizzo del destinatario. Quello intuì ed uscì da una porta sul retro, senza farsi vedere.

Nel frattempo, Lui cercava di ridare una parvenza di ordine ai documenti che aveva rovesciato sulla scrivania; alcuni venivano riposti nuovamente in schedari e - i più importanti - in cassaforte. Altri, e non erano pochi, infilati con cura in un paio di grosse valigie di cuoio.

Verso le sedici il tenente rientrò recando seco una busta sigillata. All'interno non c'era che un biglietto scritto a macchina, con un geroglifico di firma; fortunatamente, il mittente era inequivocabile, dato lo stemma impresso sul sigillo. Dopo averlo letto e fatto sparire nel fuoco, Lui chiuse con cura le due valigie, ormai colme di incartamenti. Poi si affacciò all'uscio dell'ufficio, ed ordinò al maresciallo di chiamare l'altro colonnello.

Il colonnello Garruccio non si fece attendere, ed arrivò in pochi minuti paonazzo in volto e costretto nella divisa che stentava a rendere più marziale la sua pinguedine. Anche se di fronte ad un suo pari grado, non si sedette e rimase in piedi davanti alla scrivania di Lui.

«Sono oltre tre anni che con molta abilità impersona il ruolo di comandante del servizio I, colonnello; da quando il generale Badoglio ritenne non fosse sicuro che, date le attività di cui ci occupiamo, fossero noti volto e nome del vero responsabile. Allora si era in guerra, e la sicurezza era rivolta soprattutto nei confronti dei nostri nemici esterni; anche ora siamo in guerra, ma il nostro nemico è più furbo, non sempre indossa una divisa e -sempre- non ha quartiere. »

«Sì, signore» Nonostante il grado e l'età, Garruccio sapeva benissimo chi comandava, in quell'ufficio «Ciò nonostante credo che abbiamo avuto discreti successi, specie nella rete di informatori all'estero»

«E la rete di informatori all'estero sarà tutto - o quasi - quello che lascerò al mio successore»

«Lei è trasferito, Signore? », domandò a Lui, più sorpreso che allarmato

«Più che trasferito, direi 'scorporato', colonnello. Ora il servizio I è cosa sua, ma si occuperà solo di spionaggio e controspionaggio militari, rivolgendosi ai nostri competitori stranieri. Non si occuperà più di faccende interne. Immagino che lei capisca»

Il colonnello Garruccio non aveva mai realisticamente pensato di poter subentrare a Lui quale capo del servizio; negli ultimi anni, oltre a firmare i rapporti che venivano indirizzati al comando supremo, al governo ed al parlamento aveva seguito solo una sezione del servizio, quella relativa agli attaché militari all'estero, che facevano convergere su Roma, per suo tramite, le informazioni che ottenevano. Delle operazioni cosiddette interne, non aveva ritenuto di voler sapere nulla - anche per sua sicurezza, come gli aveva ripetuto Badoglio quando, riorganizzando lo Stato Maggiore nel mezzo della guerra, aveva scomposto e ricombinato gli uffici per le informazioni militari. Quello appena prospettatogli era un decisivo avanzamento di carriera. E, ad ogni modo, avrebbe comunque dovuto obbedir tacendo.

«A disposizione, Signore»

Lui lo fece sedere, e si mise con pazienza ed ordine ad illustrargli gli aspetti del servizio che doveva conoscere, gli schedari a cui avrebbe avuto accesso, i canali informativi che avrebbe avuto a disposizione

«Inoltre, è inteso che se rivolgessi una richiesta al suo ufficio, ci si aspetta che mi mettiate a disposizione uomini e mezzi»

Fino a quel momento, Lui aveva evitato di accennare a quale sarebbe stato il prossimo incarico. E, dal tono con cui gli aveva parlato, non intendeva farlo.

«È il momento di scambiarci ufficialmente le consegne. Arrivederci» Così dicendo, lasciò un mazzo di chiavi ed un quaderno-cifrario sul tavolo, sollevò - non senza fatica - le due valigie e si dileguò per la scala che dava direttamente sul cortile interno, dove attendeva parcheggiata un'automobile coi vetri affumicati.

Si era fatto pomeriggio inoltrato, e Lui era atteso per l'appuntamento più importante della giornata.

Si diresse, lasciandosi alle spalle il traffico di carretti e carrozze della Roma serale, a nord della città, dove imponenti parchi ed una riserva di caccia appartenuta ad un nobile pontificio separavano Roma dal suburbio.

Entrò nel parco della villa da un ingresso di servizio, evitando i controlli dei carabinieri; si diresse a velocità ridotta fino ad un'ala non illuminata, dove fu fatto entrare da un servitore. Fu lasciato ad attendere in un salotto, con le pesanti tende completamente tirate, in modo che nessuno da fuori potesse vederne le luci accese.

Lui rivolgeva lo sguardo al portone a due ante, appesantito di stucchi dorati, quando sentì alle proprie spalle aprirsi un passaggio nascosto nella decorazione. Preceduto da due addetti della Casa Militare, il padrone di casa si presentò in divisa da Generale d'Esercito; Lui se ne sorprese, pensando che - almeno a casa - vestisse in borghese. Il primo degli ufficiali presenti, a mo' di scusa, ricordò a Lui che il padrone di casa era atteso ad una cena della Marina, e che non poteva trattenersi troppo.

Uno sguardo tagliente del padrone di casa, dal basso all'alto, fece capire ai due assistenti che sarebbe stato opportuno si ritirassero.

Quando furono soli, Lui - ancora rigido dal momento in cui il suo ospite si era mostrato - tirò un respiro.

«Maestà»

«Riposo»

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giovedì 27 maggio 2010

Confessioni di una mente pericolosa

a tutti i "signor Franco" del mondo

Mettiamo che siamo nel 1970.
Mettiamo che un gruppo di militari, ex repubblichini, industriali di destra stia preparando un golpe.
Mettiamo che a capo di tutti c'è Junio Valerio Borghese.
Mettiamo che, per gestire il cambio di regime in Sicilia, qualcuno pensi di cercare l'appoggio di Cosa Nostra.
Mettiamo che, per vari motivi, tra qui quello - umanitarissimo - di far scarcerare un paio di parenti, don Tano Badalamenti sia pronto a convincere l'intera Cupola Mafiosa a sostenere il colpo di stato.
Mettiamo che i corleonesi non sono tanto dell'idea.
Mettiamo che i corleonesi, tramite Salvo Lima e Ciancimino, hanno agganci molto rilevanti a Roma
Mettiamo che questi agganci arrivino direttamente al Ministero dell'Interno

Mettiamo che sia inviato a Palermo un funzionario del SID per sostenere, all'interno della mafia, le ragioni dei contrari alla collaborazione con i congiurati ed al colpo di stato.
Mettiamo che si faccia chiamare Franco
Mettiamo che sia io

Che noi sapessimo del tentativo di Borghese non c'è nemmeno bisogno di dirlo, figurarsi che stavamo occupando Sesto e se n'è accorto pure lui, annullando tutto. Un po' meno ovvio, certo, sarebbe raccontare come ne eravamo venuti a conoscenza, ma mettiamo, appunto, che qualche fascista abbia fatto male i propri conti tra anticomunismo politico ed avversione 'storica' per il fascismo della mafia siciliana. Insomma, a metà 1970 sapevamo del piano. In generale, certo. Comunque questi corleonesi ci avevano visto giusto, adesso uno potrebbe tirare in ballo Stati Uniti o quello che vuole, ma i fatti furono che contraemmo un debito mica male nei riguardi di un certo numero di personaggi di spicco. E, si sa, non è che fossero anni tranquilli; un gruppo di collaboratori senza scrupoli, per il bene dello Stato e della Repubblica, era manna dal cielo. Insomma, non era nemmeno la prima volta che imbarcavamo persone dal curriculum imbarazzante, questi erano solo più in vista di altri. Contraemmo un debito, ed un debito va onorato. Ma, anche senza giustificazioni, che non vi devo dare: il mio incarico era, è stato per molti anni, è stato finché il sistema ha retto, controllare, indirizzare e prestare attenzione ai cari Ciancimino, Riina e compari. Anche quando un magistrato particolarmente efficiente (e ce n'è pochi, in questa nostra Italia) riusciva ad acciuffarli, dovevo farmi in quattro per impedire che qualcuno si lasciasse convincere a parlare di questo nostro delicatissimo accordo. La cosa è durata parecchio. Almeno finché non abbiamo avuto più bisogno della mafia. Il problema è che la mafia sapeva troppe cose. Il problema è che non è che potessimo sterminare tutti i capimafia di Sicilia dall'oggi al domani (e, mi capite, non certo per impossibilità pratica). Insomma, siamo rimasti un po' sul filo del rasoio. Anche perché questi mafiosi avevano alzato un po' troppo il tiro, con quella mania delle bombe. E uccidendo Lima, certo. E, dove non si mettevano i mafiosi, c'erano i cavalieri senza macchia e senza paura della magistratura, che tanto andavano di moda. Insomma. A stare nel fango ci si sporca, anche se lo stai spalando via. È insopportabile la parte di chi fa il puro. Che due o tre scribacchini abbiano pensato di diventare famosi seminando zizzania, che se fosse stato per quelli della loro risma finivamo come un Cile o una Grecia, salvo poi fare gli scandalizzati dalle colonne di Paese Sera...

Mettiamo che adesso io me ne torno all'Afghanistan, che son problemi più seri.
Mettiamo che non mi chiamo né Franco né (ma da dove l'avete tirato fuori, poi..?) Carlo.
Mettiamo che mi sono inventato tutto.

ispirato da Repubblica di oggi

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mercoledì 26 maggio 2010

De libero arbitrio

Scena: attorno ad un tavolo, oratorio. Sera.

Educatore adolescente: E comunque io penso che sia giusto, almeno una sera, lasciare i ragazzi liberi di fare quello che vogliono
Don:Avresti ragione, la libertà è un valore importante, e costruisce responsabilità. Ma non dimentichiamoci che la libertà è un rischio, un rischio che non possiamo permetterci di correre: solo Dio lo corre, dato che ci ha voluto liberi...
Cassa:...e non è stata la migliore delle sue pensate.

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lunedì 24 maggio 2010

Di mafia e Sicilia

Quando uccisero Falcone avevo sei anni. Non ricordo praticamente nulla della strage, ma ricordo bene che elessero Scalfaro Presidente della Repubblica. Ascoltavamo la seduta delle camere riunite al giornale radio. In casa fummo contenti dell'elezione, questioni di corrente facevano sì che mio padre non amasse Andreotti. Meglio di Forlani, comunque.

Poche settimane fa era l'anniversario dell'assassinio di Peppino Impastato. E contemporaneamente di quello di Aldo Moro. Tra l'altro, l'anno era lo stesso, il 1978. So che è estremamente sgradevole classificare i morti, figuriamoci le vittime. Ma qualcuno dovrà rendere conto del fatto che ormai non si parla (almeno dalle mie parti politiche, ma altrove non se ne parla e basta) che del primo, e si dimentica il secondo. Il primo era un discretamente oscuro candidato consigliere comunale di Democrazia Proletaria (vi scuso se non ne avete mai sentito parlare), il secondo il Presidente della Democrazia Cristiana. Il primo ebbe il coraggio di denunciare mafia e mafiosi, avendone in famiglia; il secondo è di fatto il padre ideale di quello che oggi è il Partito Democratico, e comunque dell'assunzione di responsabilità politica dei comunisti. E fu ucciso (fino a prova contraria, a me piace parecchio anche la dietrologia) perché c'erano comunisti che questa responsabilità non volevano assumersela. Poi ditemi voi.

PS: il 9 maggio sarebbe anche la Festa dell'Europa, ma dai tempi della Margherita nessuno ne parla più. Già, belle cose.

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giovedì 4 marzo 2010

Sybilla

Visto che le cose non vanno mai come ce le si aspetta, uno dei modi più efficaci per non farle avvenire è immaginarsele. Nei dettagli.

Pensavo di aver formulato un pensiero arguto, e poi mi è venuto in mente di aver letto, secoli fa, qualcosa del genere

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lunedì 4 gennaio 2010

Lui


Che il blog non incontri più i miei interessi al punto di dedicargli l'ora al giorno necessaria per scrivere qualcosa d'intelligente, cosa che tentavo di fare almeno fino a prima dell'estate, è evidente e sotto gli occhi di tutti. Non pensavo, però, che sarei arrivato al punto da non avere chissà che interesse per le cronache del campo, ché il campo c'è stato, dal 30 al 3, a Morlupo (più o meno) presso Roma. Niente cronache, dunque. In compenso, un progetto più o meno completo per trovare uno scopo alla vicenda di Lui, che - nei tempi necessari, che non saranno brevissimi - dovrebbe diventare una specie di romanzo.
Qualche sprazzo è già stato pubblicato "in diretta" sul blog, eccone i link:
1910, Kant
1917, Igiene del Mondo
1920, Fert Fert Fert
1921, Giovinezza

Bene. Ora torno a lavorarci.

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